La battaglia di Ferenc Szálasi

Ferenc Szálasi (Kassa 6 gennaio 1897 – Budapest 12 marzo 1946) fu Guida della Nazione magiara, Primo Ministro del Regno d’Ungheria, Comandante Supremo delle forze armate ungheresi, capo del Partito Crocefrecciato – Movimento Ungarista. Condannato a morte con una “sentenza” del tutto antigiuridica da un “tribunale” assolutamente illegale e su tale base assassinato mediante strangolamento, è considerato un santo martire dell’Ungheria e della nazione magiara in tutti quegli ambienti che non sono stati condizionati dalla ricorrente manipolazione falsificatrice della storia. Il nostro giudizio su Ferenc Szálasi, dunque, potrà essere solo un giudizio largamente positivo.

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Il padre di Szálasi, Ferenc Szálasi senior, era stato un funzionario subalterno della fanteria, andato in pensione col grado di capitano. Di cinque figli che ebbe, ne indirizzò quattro alla carriera militare. Tra questi, Ferenc Szálasi junior terminò le otto classi del realginnasio militare, poi frequentò l’imperial-regia accademia ufficiali; dopo la grande guerra frequentò l’accademia dello Stato Maggiore, chiamata Scuola di Guerra. Fu questo il suo titolo di studio più alto; ma il suo esame più importante fu quello da ufficiale di Stato Maggiore e il suo grado militare più elevato fu il grado di maggiore dello Stato Maggiore. La sua preparazione militare, la sua cultura in altri campi, la sua intelligenza del tutto straordinaria, il suo carisma personale, la sua severità accompagnata dal buon cuore, la sua prontezza a venire in aiuto, la sua impareggiabile operosità, il suo autocontrollo, il suo spirito di giustizia lo resero proverbiale negli ambienti dell’esercito.

Benché fosse un famoso ufficiale di Stato Maggiore, eminente anche tra i più illustri (lo vollero inviare a Parigi come attaché militare, anche per la sua eccellente conoscenza delle lingue), egli tenne in scarsa considerazione la carriera militare e intese essere un capo politico. Le personalità ungheresi alle quali si ispirò furono il defunto vescovo Ottokár Prohászka e il primo ministro Gyula Gömbös. Tra i capi stranieri, per lui le personalità esemplari furono Benito Mussolini e Adolf Hitler. Sappiamo che Szálasi ammirò molto anche Corneliu Zelea Codreanu, con cui si incontrò intorno al 1937; e ciò nell’ambito di una trattativa basata su una affinità spirituale, cameratesca e dottrinale, grazie alla quale i due poterono avvicinare le rispettive posizioni anche in rapporto alle questioni più controverse.

In Ungheria tra il 1930 e il 1945 sorsero numerosi partiti, alleanze, unioni, comunità e movimenti di estrema destra; ce ne erano anche di nati in precedenza, ma cominciarono ad attivarsi in quel periodo. Nel 1932 sorse il Partito Nazionale Fascista Ungherese [Magyar Országos Fasiszta Párt], che fu diretto dal duumvirato Gyula Ostenburg-Moravek e Pál Prónay. Questo partito però non ebbe lunga vita, mentre sorsero altri partiti e nuove formazioni.

Guido Knopp, Tedeschi in fuga. L'odissea di milioni di civili cacciati dai territori occupati dall'Armata Rossa alla fine della Seconda guerra mondiale Un Partito Nazionalsocialista Ungherese [Magyar Nemzetiszocialista Párt] venne fondato da Zoltán Meskó, un ex esponente del partito governativo che si era presentato alla seduta del Parlamento in camicia bruna, con un bracciale rosso su cui spiccava un cerchio bianco con una croce uncinata nel mezzo. Siccome le autorità ungheresi proibirono ben presto l’uso del simbolo della svastica, lo storico Bálint Hóman (che fu anche ministro dei culti e della pubblica istruzione) propose a Zoltán Meskó di scegliere un simbolo meno noto, ma che avesse a che fare con la nazione ungherese e definisse l’orientamento militante della nuova visione del mondo. A richiesta di Meskó, Hóman suggerì di scegliere la croce coi bracci terminanti a punta di freccia: la croce frecciata. Vi sono diversi indizi che tale simbolo fu l’emblema guerriero di Re Ladislao I il Santo, della casa di Turul-Arpád. Se prima i nazionalsocialisti ungheresi erano chiamati soltanto nazionalsocialisti, in seguito alla scelta di questo simbolo furono detti “croci frecciate” [nyilaskeresztesek]; quindi, in maniera abbreviata, “frecciati” [nyilasok].

Nel 1935 Ferenc Szálasi fondò il Partito della Volontà Nazionale [Nemzeti Akarat Pártja], che ebbe come sigla l’acrostico NAP [in ungherese: “Sole”] e si contrappose al partito governativo, il Partito dell’Unità Nazionale [Nemzeti Egység Pártja], avente come sigla NEP. Nel suo emblema non c’era ancora la croce frecciata, ma la sigla NAP vi figurava scritta coi caratteri “runici” székely-magiari. In seguito Szálasi si opporrà all’appropriazione dell’emblema del suo partito da parte di altri gruppi nazionalsocialisti.

Più tardi sorsero altre insegne ed emblemi, soprattutto nelle frazioni crocefrecciate e nazionalsocialiste. Il “poeta e guida del popolo” Zoltán Böszörményi fondò il Partito Nazionalsocialista Crocefalcato [Kaszáskeresztes Nemzetiszocialista Párt]. Il partito dei “crocefalcati” o “falcati” aveva come emblema quattro falci disposte a formare una croce uncinata, con una testa di morto al centro. L’uso di questo emblema alludeva contemporaneamente all’orientamento “rurale” del partito e alla morte che esso minacciava ai nemici. Altre iniziative partitiche frazionistiche si accompagnarono all’uso della croce coi bracci a forma di clave, sicché si ebbero anche le “croci clavate” o “clavigeri”.

Per lo più, le formazioni nazionalsocialiste ungheresi si basavano su una ibridazione di posizioni desunte dal nazionalsocialismo tedesco prima e dal fascismo italiano poi. I partiti del conte Sándor Festetics, di Zoltán Meskó e del conte Fidél Pálffy, però, non erano organismi fondati su una imitazione o su imitazioni incrociate, ma potevano essere considerati come adattamenti ungheresi del nazionalsocialismo, adattamenti autonomi anche sotto il profilo ideologico.

Nel 1935 Szálasi fece un significativo passo avanti, sotto ogni punto di vista: diede vita non a un puro e semplice adattamento ungherese del nazionalsocialismo (anche altri lo fecero), ma a un nazionalsocialismo ungherese autonomo e sovrano: l’ungarismo.

Il termine “ungarismo” era stato usato per la prima volta, nella sua accezione politica, da una personalità di grande influenza pubblica: il già menzionato Ottokár Prohászka, vescovo di Székesfehérvár; poi era stato usato anche da altri. Ma l’ungarismo di Szálasi fu una esclusiva creazione di Szálasi stesso.

L’ungarismo, se vogliamo tradurre il concetto, non significa semplicemente “magiarismo”; anzi, in primo luogo non significa ciò, ma piuttosto “idea ungherese d’impero” e combina tale concetto con un nazionalsocialismo autonomo e propriamente ungherese.

Da una parte Szálasi mirò alla formazione di un nazionalsocialismo propriamente ungherese, dall’altra volle far nascere un fascismo quasi propriamente ungherese, e ciò in una perfetta unità, che presentasse però sostanziali divergenze sia nei confronti del nazionalsocialismo tedesco, sia del fascismo italiano. Ad esempio, l’ungarismo era qualificabile come razzista in una misura decisamente scarsa rispetto al nazionalsocialismo tedesco; ma era un po’ più vicino al razzismo di quanto non lo fosse il fascismo italiano.

Ferenc Szálasi diede all’ungarismo l’idea del conazionalismo, un’idea comunitaria che oltrepassa sia la concezione esclusivamente nazionale (nazionalismo) sia la concezione internazionale (internazionalismo). Il conazionalismo da una parte costituisce una affermazione del concetto di comunità plurinazionale, dall’altra la perfetta cooperazione dei nazionalismi, il nazionalismo per così dire comune, solidale, disposto alla collaborazione. Il conazionalismo non è né nazionalismo né internazionalismo, ma è al contempo entrambe le cose: sostanzialmente costituisce il superamento e la perfetta sintesi di entrambi.

Ferenc Szálasi chiamò “personalità popolari” le nazionalità disposte a collaborare in modo positivo e con qualificazioni valutabili entro il quadro della nazione e nell’interesse della nazione. (Né la popolazione ebraica d’Ungheria né la popolazione zingara vivente in Ungheria furono considerate realtà etniche costituenti “personalità popolari”). Secondo l’ungarismo, la cooperazione delle nazionalità che si trovano al livello di “personalità popolare” si sarebbe dovuta attuare in conformità con le idee del conazionalismo. Queste ultime si sarebbero dovute affermare nelle relazioni estere dell’Ungheria ungarista, nel rapporto reciproco dei paesi e degli imperi della Nuova Europa e anche nelle relazioni mondiali, nel complesso della politica internazionale.

Ferenc Szálasi sperava che il mondo, dopo una conclusione vittoriosa della seconda guerra mondiale, sarebbe stato ordinato dal Grande Reich germanico, dall’Italia e dal Giappone e che gli alleati del Tripartito – tra cui l’Ungheria, il popolo ungherese come popolo guida dell’Europa centro-sud-orientale – avrebbero partecipato a questo riordinamento concernente la sorte del mondo; gli alleati del Tripartito, tra i quali l’Ungheria, avrebbero avuto un ruolo di primo piano a livello regionale. Szálasi era disposto alla più stretta alleanza, collaborazione e convivenza postbellica tra Grande Reich germanico e Ungheria; ma non avrebbe mai accettato una incorporazione dell’Ungheria nel Reich come una sua provincia, e ciò in contrasto con alcuni nazionalsocialisti ungheresi che non solo ritenevano verosimile, ma addirittura auspicavano, la realizzazione di un “Gau-Ungarn” in seguito alla guerra vittoriosa.

Come abbiamo accennato, Ferenc Szálasi stimava sia Benito Mussolini sia Adolf Hitler, ma più il primo del secondo. La stima di Szálasi per Hitler fu grande, ma non fu mai illimitata. Verso la fine della guerra i Tedeschi adottarono sconsideratamente certe misure che ferirono la dignità di Szálasi nella sua qualità di capo supremo dell’esercito; fu allora che egli si rivolse a Hitler con una lettera di vibratissima protesta. In genere, non tollerò mai il minimo tentativo di diminuire il rango dell’Ungheria. La grande stima che Szálasi ebbe per Hitler venne a cadere nel momento in cui, in carcere, apprese che il Führer si era tolto volontariamente la vita. Sembra che in conseguenza di ciò una profonda disistima abbia intaccato l’ammirazione precedente; se non in misura totale, certo in modo definitivo.

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Julius Evola ha scritto che tra i capi dei movimenti “nazionali” d’anteguerra da lui personalmente conosciuti Corneliu Z. Codreanu fu “una delle figure più degne e spiritualmente orientate”; decisamente il Capitano della Guardia di Ferro rappresentò un grado più elevato, sotto ogni riguardo, che Mussolini, Hitler o chiunque altro.

Da più persone degne di totale fiducia che conobbero Ferenc Szálasi molto da vicino, sappiamo quale personalità egli sia stato. Ebbe un’intelligenza incomparabilmente profonda, una istruzione straordinaria, una grande cultura, sentimenti profondi, una forza di volontà difficilmente immaginabile, un coraggio veramente fuori del comune, un’oculatezza equilibrata, un grado elevatissimo di saggezza, qualità autentiche di statista e di capo militare. Fu una personalità eccezionale nella storia dell’Ungheria, dell’Europa, del mondo intero.

Dopo aver toccato le sue fondamentali caratteristiche di uomo e di capo, volgiamoci a vedere quale fu la serie degli eventi storici in rapporto ai quali – e svolgendovi un ruolo direttivo – Szálasi poté arrivare su quel piedestallo storico su cui arrivò e che senza dubbio gli spettava da tempo.

Nel 1943, quando la guerra cominciò a rivelarsi sfavorevole per il Tripartito e per i suoi alleati, il Reggente d’Ungheria Miklós Horthy di Nagybánya e il suo primo ministro Miklós Kállay di Nagykálló cominciarono a tastare il terreno presso gli Alleati occidentali per vedere in che modo l’Ungheria potesse “saltar fuori” dal conflitto, ma in modo da non finire sotto l’egemonia sovietica e possibilmente in modo da non doversi scontrare col Grande Reich germanico. Gli Alleati occidentali erano abbastanza riservati; prima rivolsero a malapena la parola agli inviati ungheresi; poi, nel 1944, fecero sapere agli Ungheresi, in maniera sempre più netta, che si poteva prendere in considerazione solo una capitolazione incondizionata; diversamente, l’Ungheria avrebbe dovuto offrire la propria resa direttamente ai Sovietici. (I Tedeschi vennero subito a conoscenza di tutte le trattative, in ogni particolare e nel modo più esatto possibile).

Di Miklós Kállay, si può dire che fosse una persona onesta sul piano personale, ma era straordinariamente ambiguo sul piano politico, tanto che la sua era detta la “politica dell’altalena”. Egli rese talmente incostante la politica estera, interna e militare dell’Ungheria, che il Grande Reich germanico non la poté più tollerare se non a proprio rischio.

Joerg Friedrich, La Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto i bombardamenti alleati 1940­1945 Allora, dopo la metà del marzo 1944, il Reggente Horthy ricevette da Hitler un invito pressante a recarsi nella sua residenza al castello di Klessheim. Dissuaso da alcuni e sollecitato da altri, il Reggente, benché recalcitrante, accolse l’invito e andò a Klessheim. Dopo la cortese accoglienza, Hitler comunicò al Reggente, con un tono alquanto duro, che a suo giudizio la situazione dell’Ungheria non era più sostenibile. Disse di esser venuto a conoscenza del comportamento da traditore di Kállay e di avere sperimentato, da parte ungherese, la mancanza della necessria volontà di continuare a combattere. Kállay, secondo Hitler, doveva andarsene immediatamente; ma questo non bastava, perché il Führer ritenne necessario inviare provvisoriamente in Ungheria delle truppe che ristabilissero l’ordine, incoraggiassero a una più accentuata partecipazione alla guerra e mettessero al sicuro l’Ungheria – direttamente – e il Reich – indirettamente. Il Reggente protestò, ma l’azione ebbe luogo; al suo rientro a Budapest, la presenza delle truppe tedesche era un fatto compiuto.

Tra il 19 marzo 1944 e il 10-15 aprile 1945 non si poté neanche parlare di un’occupazione militare tedesca dell’Ungheria, ma solo di una presenza militare dell’alleato tedesco. Questa presenza non poté, in generale, essere salutata con gioia, ma fu una inevitabile conseguenza della “politica dell’altalena” di Kállay; d’altronde, considerando la graduale avanzata dell’esercito sovietico, la presenza tedesca era obiettivamente necessaria. Le autorità tedesche, collaborando gomito a gomito con le competenti autorità ungheresi, fecero un repulisti veramente grande e, potremmo dire giudicando a posteriori, davvero apprezzabile. Sicuramente anche in questo ambito vi furono degli eccessi – inevitabili, in una tale situazione – ma venne stabilito un ordine notevole e indubbiamente degno di approvazione.

L’ambiguo primo ministro venne licenziato. Gli succedette una persona irreprensibile sotto ogni aspetto, compreso quello politico: il tenente generale in congedo Döme Sztójay, già ambasciatore a Berlino, che godeva della fiducia sia del Reggente sia dei tedeschi. Ben presto la cricca liberale, anglofila e filogiudaica che circondava il Reggente passò nuovamente all’offensiva. Acquisita la certezza che gli Alleati occidentali avrebbero riconosciuto solo ed esclusivamente la resa incondizionata dell’Ungheria davanti all’URSS, costoro cominciarono a prendere in esame le possibilità di un contatto coi Sovietici. Il 24 agosto 1944 la cricca si liberò di Döme Sztójay, costringendo alle dimissioni il primo ministro, che era sì malato, ma era in grado di svolgere le sue funzioni.

Il nuovo primo ministro fu il generale comandante di corpo d’armata Béla Lakatos, un militare politicamente ignorante, dalla mentalità ristretta, antitedesco, ma capace di nascondere i suoi sentimenti antitedeschi; il Reggente lo nominò capo del governo allo scopo deliberato di “saltar fuori” dalla guerra.

Nel frattempo il Reggente aveva ricevuto un paio di volte Ferenc Szálasi. Dopo la seconda udienza, quest’ultimo aveva constatato che il Reggente -anche se questi non glielo aveva detto esplicitamente- si preparava alla capitolazione. La convinzione di Szálasi venne confermata tanto dalle fonti informative di cui quest’ultimo disponeva, quanto dal controspionaggio tedesco.

Ferenc Szálasi, i dirigenti e la totalità dei militanti del Partito Crocefrecciato – Movimento Ungarista decisero di impedire con ogni mezzo la capitolazione. Per iniziativa di Szálasi, si formò in seno al Parlamento l’Alleanza Nazionale Legislativa, che raggruppava tutti i risoluti difensori della lealtà dell’Ungheria nei confronti del Reich. Alla Camera Alta, questa presa di posizione fu condivisa anche dai duchi e granduchi di Absburgo Lorena.

Nell’ottobre del 1944 il Reggente mandò una delegazione ai Sovietici, per trattare l’armistizio. Era già stato stabilito che l’Ungheria non poteva fissare nessuna condizione, ma si impegnava a deporre le armi per poi impugnarle di nuovo rivolgendole contro il Reich; vale a dire, avrebbe cominciato a combattere al fianco dei Sovietici contro quello che era stato il suo alleato fino a un momento prima.

Christopher Ailsby, SS. Hell on the Eastern Front - The Waffen-SS in Russia 1941-1945 Il tradimento consumato ai danni dell’alleato è ritenuto dappertutto un tradimento della patria. In Ungheria, questo non era solo un concetto del diritto consuetudinario; era anche una legge scritta, approvata dalle due Camere del Parlamento, firmata ed emanata dal Reggente, senza nessuna riserva. E le leggi erano leggi anche per il Reggente. Anche se non poteva essere chiamato a rispondere in tribunale della loro inosservanza, il Parlamento poteva intimargli di correggersi. Se non lo avesse fatto o avesse persistito nella condotta illegale, allora il Parlamento gli avrebbe potuto intimare le dimissioni; qualora non avesse soddisfatto neanche a questa richiesta, il Parlamento lo avrebbe potuto rimuovere e destituire. Ma, come vedremo, ciò non avvenne.

Pino Romualdi, Fascismo Repubblicano Mentre la delegazione era nel bel mezzo delle trattative, il Reggente si decise a compiere il passo finale. Il 15 ottobre fece leggere alla radio un proclama, in cui si dichiarava che l’alleanza militare coi Tedeschi veniva denunciata e che si dava l’avvio a trattative di armistizio; di aggressione contro gli alleati tedeschi, però, il proclama non parlava. In effetti, Horthy non avrebbe voluto attaccare i Tedeschi, egli voleva solo “saltarne fuori”; ma sapeva bene che non era affatto possibile “saltarne fuori” veramente; sapeva che avrebbe dovuto necessariamente attaccare l’esercito tedesco. Solo, per mitigare l’ira dei Tedeschi, nel suo proclama non faceva il minimo cenno al successivo attacco contro di loro. I Tedeschi però sapevano che i Sovietici non avrebbero permesso al Reggente di sabotare la decisione da loro presa (cioè che l’Ungheria attaccasse il Reich); e sapevano che ciò era chiaro anche per il Reggente.

Inoltre i Tedeschi sapevano che nel giro di un giorno o due il Reggente avrebbe compiuto il suo “passo”; ma non sapevano che il 15 ottobre avrebbe diffuso via radio il suo proclama, proprio dopo che l’ambasciata tedesca a Budapest era stata informata dell’avvenuta richiesta di armistizio. I Tedeschi intrapresero subito una serie di contromisure, sul piano diplomatico, poliziesco, militare. A tali azioni si associarono subito, armi in pugno, i militanti crocefrecciati; con loro, altri armati, come gli uomini della Alleanza Cameratesca del Fronte Orientale [Keleti Arcvonal Bajtársi Szövetsége].

Adolf Hitler era ormai giunto alla conclusione che solo Ferenc Szálasi potesse diventare capo dello Stato e del governo: solo Szálasi disponeva di un gran numero di uomini armati e il suo partito era il più popolare e il più forte. Parecchi avrebbero visto più volentieri, alla guida dell’Ungheria, persone ben più filotedesche di Szálasi. Persone del genere non mancavano (László Baky, Kálmán Hubay, il conte Fidél Pálffy, Olivér Rupprecht di Virtsolog, Jenö Ruszkay, András Mecsér), ma dietro di sé non avevano la forza di cui disponeva invece Szálasi.

Davanti al legato Veesenmayer e all’ambasciatore Rahn, il Reggente per un po’ si ostinò a sostenere la sua posizione circa l’armistizio. Poi però venne a sapere che i Tedeschi avevano fatto prigioniero suo figlio, Miklós Horthy junior, il quale dopo la lettura del proclama era andato a incontrare i portavoce di Tito – fatto, questo, che agli occhi dei Tedeschi risultava estremamente grave. Allora cominciò ad avere dei dubbi e delle esitazioni.

Il giorno successivo, Ferenc Szálasi chiese a Horthy di nominarlo primo ministro e di rassegnare le dimissioni. Horthy rifiutò. In cinque casi rifiutò di dimettersi e in cinque casi dichiarò di essere disposto a farlo. Anche i Tedeschi fecero di tutto per dargli modo di dimettersi; gli promisero che, se lo avesse fatto, avrebbero lasciato il paese e gli avrebbero rimandato suo figlio. Finalmente, il 16 ottobre, Horthy acconsentì a nominare Ferenc Szálasi primo ministro e quindi a dare le dimissioni sia verbalmente sia per iscritto.

Szálasi decise di cambiare tutti i capi militari fino ai comandanti di reggimento; i nuovi capi di reggimento avrebbero effettuato i cambiamenti nei gradi inferiori. Tali provvedimenti non furono necessari. La generalità dei comandanti di reggimento, fatta eccezione per uno o due individui, si oppose subito al tradimento ai danni dell’alleato, non accettò la decisione del Reggente e si schierò immediatamente con Ferenc Szálasi.

La fanteria, la gendarmeria e la polizia non erano disposte, a nessun livello, a cessare le ostilità nei confronti dell’esercito sovietico e ad attaccare i Tedeschi, vale a dire a proseguire la guerra a fianco di quello che fino a quel momento era il nemico. Le forze armate volevano continuare la guerra, ma a fianco del Grande Reich germanico. E continuarono a combattere gomito a gomito con il Servizio del Partito e il Servizio Nazionale.

Il Reggente nominò Ferenc Szálasi, con tutti i crismi della legalità, presidente del consiglio dei ministri del Regno d’Ungheria; poi, in maniera altrettanto conforme ai canoni giuridici, rinunciò alla carica di Reggente. In seguito alle sue dimissioni, le competenze che fino allora erano toccate al capo dello Stato passarono, de iure, al Consiglio Nazionale; la direzione degli affari di Stato operativi andò in parte al primo ministro e in parte fu trasmessa al Consiglio di Reggenza appositamente istituito. Ferenc Szálasi depose il giuramento di capo del governo davanti al Consiglio Nazionale.

Il 4 novembre 1944, su proposta del Consiglio Nazionale, il presidente del consiglio Ferenc Szálasi fu eletto all’unanimità Guida della Nazione d’Ungheria dalle due Camere del Parlamento riunite in seduta congiunta e col numero legale. Per quanto concerne la legalità, non esistono, né possono esistere, riserve o dubbi.

Le forze armate germaniche e magiare si lanciarono al contrattacco con rinnovata energia contro l’esercito sovietico. Come in ogni altro settore, così anche sul piano militare il nuovo capo dello Stato e del governo introdusse notevoli cambiamenti, finalizzati ad un più uso più efficiente del potenziale bellico ungherese.

Ciò tuttavia non poté mutare il corso degli eventi: nel maggio 1945 Ferenc Szálasi venne fatto prigioniero dalle forze armate statunitensi e dagli ebrei che ne indossavano l’uniforme, i quali in autunno lo consegnarono alle sedicenti “autorità” ungheresi. Nel febbraio 1946 Szálasi fu “giudicato” colpevole e condannato a morte mediante impiccagione, insieme con altri sei compagni, dopo un tragicomico “processo popolare”. Il 12 marzo 1946 ebbe luogo l'”esecuzione”: venne assassinato con altri tre.

Morì come un eroe, come un santo. Santo e martire del suo paese e della sua nazione: di ciò sono consapevoli tutti coloro che una propaganda diabolica non ha reso sordi, ciechi e insensibili a tutto ciò che è esemplare e superiore.

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4 Responses

  1. Mauro Trande
    | Rispondi

    Concordo pienamente con le Tue affermazioni, sia storiche sia politiche. Purtroppo la storia viene scritta dai vincitori (invece la Storia viene scritta dagli Eroi…)

    Onore a Ferenc Szàlasi.

    Grazie a Te per avrLo ricordato.

    Mauro Trande

  2. Camomil
    | Rispondi

    I fascisti ungheresi delle croci frecciate di Szalasi non sono anche accusati di aver perseguitato o perlomeno osteggiato l'eroe italiano Giorgio Perlasca nella sua opera di salvataggio degli ebrei? Mi sembra che tempo fa in televisione, non so su quale canale, fosse andato in onda uno sceneggiato su Perlasca che sosteneva questa tesi.

    • boymilit
      | Rispondi

      Perlasca scoppiata la seconda guerra mondiale, è mandato come incaricato d’affari con lo status di diplomatico nei paesi dell’Est per comprare carne per l’Esercito italiano.
      L’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) lo coglie a Budapest: sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al Re rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana,
      ED Eì QUINDI INTENATO per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici.

      Quando i tedeschi prendono il potere (metà ottobre 1944) affidano il governo alle Croci Frecciate, i nazisti ungheresi, che iniziano le persecuzioni sistematiche, le violenze e le deportazioni verso i cittadini di religione ebraica.

      Si prospetta il trasferimento degli internati diplomatici in Germania.
      Approfittando di un permesso a Budapest per visita medica PERLASCA FUGGE.

      SI NASCONSE prima presso vari conoscenti, quindi grazie a un documento che aveva ricevuto al momento del congedo in Spagna trova rifugio presso l’Ambasciata spagnola, e in pochi minuti diventa cittadino spagnolo con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca, e inizia a collaborare con Sanz Briz, l'Ambasciatore spagnolo che assieme alle altre potenze neutrali presenti (Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano) sta già rilasciando salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica.

      VEDI IN QUESTO SITO CULTURALE HANNO UNA LORO PARTICOLARE IDEA DEGLI EROI…
      Ferenc Szálasi e le sua croci frecciate si resero complice dell'olocausto…ma sono "eroi da onorare"…
      ..e forsi motl pensano che l'olocausto non sia mai esistito..
      ..o che compiacere i nazisti sia stato un atto astuto per difendere il prorpio popolo…

  3. andrea mantellini
    | Rispondi

    Qualcuno è in gradi di darmi notizie di un ufficiale tedesco delle (SS???) , il Capitano Bleiber e del suo collaborazionista ungherese delle Croci Frecciate l'ufficiale Vaina?Che fine fecero nella Budapest "liberata" dai Sovietici?Grazie.

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