La tutela del popolo lavoratore negli ordinamenti della Germania in guerra

Berlino, 24 luglio 1943.

Quando tutto un popolo combatte e lavora con ogni energia possibile, quando ogni individuo compie il massimo sforzo per conseguire un vittorioso risultato finale, bisogna concludere che il suo morale è altissimo. I dubbi occasionali non possono significare la realtà dei fatti. Le parole pronunciate per amore di originalità o per dimostrare uno «spirito indipendente» non scalfiscono — alla resa dei conti — neppure una pallottola di fucile.

Un popolo in linea

Un popolo è in linea quando i suoi cittadini compiono con esattezza e con energia il proprio dovere. Orbene, il popolo germanico compie questo dovere al cento per cento. Una prima constatazione è questa: l’elemento più sano della Germania nazionalsocialista è il suo popolo — diremo più chiaramente la «classe proletaria che forma il nerbo delle forze armate e dell’esercito dei lavoratori». Le rare debolezze, le altrettanto rare riserve si incontrano in un certo strato sociale che non è borghesia attiva e che potrebbe essere definita «borghesia parassitaria».

Sono coloro che più di tutti hanno subito la dannosa influenza della «cultura americana», sono coloro che in una vita comoda trascorsa fra denaro di più o meno legittima provenienza (ad ogni modo non sudato) e niente lavoro, hanno assorbito attraverso il cinematografo, la letteratura, la propaganda e il moderno edonismo statunitense in base al quale nessun concetto morale deve impedire di godersi la vita il meglio possibile, non importa a spese di chi. Orbene, se il popolo germanico è oggi compatto nella lotta, ciò non è dovuto al caso. Le realizzazioni sociali compiute dal Nazionalsocialismo sono più vive che mai in tempo di guerra, e da questa loro vitalità il proletariato germanico trae la convinzione che questa volta si batte non già per una classe predominante, ma unicamente per se stesso.

La prova più evidente del concetto di giustizia sociale che persegue il Governo germanico è data dal razionamento. Chi più di altri soffre per la guerra? Il popolo. Da dove escono le centinaia di migliaia di eroi che in lontani campi di battaglia combattono e muoiono ? Dal popolo. Da dove le centinaia di migliaia di operai e di contadini che col loro quotidiano lavoro danno alle Forze Armate le armi per combattere e alla comunità germanica i mezzi di sussistenza? Dal popolo.

E’ quindi il popolo, cioè la massa dei soldati e dei lavoratori che deve essere più di ogni altra favorita. E le leggi lo favoriscono.

E’ ora inutile fare l’elenco in grammi di quanto più siano favoriti i lavoratori manuali o intellettuali in paragone alla categoria sociale che sopporta minori sacrifici. Basti dire che le razioni del lavoratori raggiungono fino il triplo di quelle dei normali cittadini. Anche nelle recenti disposizioni che hanno ridotto le razioni settimanali di carne da 350 grammi a 250, il concetto di preferire la massa lavoratrice risulta evidente quando si consideri che chi usufruiva di assegnazioni extra non vede diminuito questo extra.

In altre parole, l’operaio che aveva diritto a due razioni settimanali di carne (cioè 700 grammi in totale) vede oggi questa doppia razione diminuita solamente di 100 grammi anziché di 200. Inoltre — e questo è un fattore essenziale per il benessere del popolo — il potere d’acquisto della moneta nazionale è identico al periodo prebellico per quanto riguarda i generi di prima necessità. Il pane, i grassi e la carne hanno i medesimi prezzi dell’anteguerra.

Tutto per chi lavora

E l’estrema rigidità delle leggi, la spietata caccia alla «borsa nera», e la dura severità dei Tribunali che contempla la pena di morte anche per reati annonari che possono sembrare minimi, queste realtà economiche e giuridiche hanno come effetto che veramente in Germania il popolo vive molto meglio della borghesia: mangia di più, ottiene più facilmente indumenti ed aiuti, gode di una assistenza medica gratuita e adeguata alle necessità; trova nelle amministrazioni nazionali, provinciali e cittadine un appoggio ed una comprensione totalitarie. In queste condizioni è naturale che la massa del popolo sia fermamente decisa a non mollare.

Se l’uso di questa espressione è consentito in tempo di guerra quando il vero privilegio è solamente quello di vestire l’uniforme, diremo che è logico che la classe privilegiata — quella lavoratrice — non abbia nessuna voglia di cessare una lotta che oltre a garantirgli i privilegi odierni gliene assicura di maggiori e di più fecondi in un domani vittorioso. In questo favorire le classi lavoratrici è visibile il calcolo politico di una mente rivoluzionaria.

I capi del Nazionalsocialismo sanno benissimo come e perchè la loro Rivoluzione sia riuscita. Sanno che la loro bandiera è uscita vittoriosa da un’asperrima lotta politica perchè il popolo lavoratore era scontento, disoccupato, vittima delle fiuttuazioni dei prezzi e dei salari. Sanno anche che il nerbo delle forze rivoluzionarie è sempre costituito — nella società moderna — dagli operai. Per questo, a parte il fatto che il Nazionalsocialismo salito al potere aveva il dovere di mettere in pratica il programma di giustizia sociale sui quale aveva imperniato la propria vittoria, sono consci — per personale esperienza — che per impedire nuovi disordini è necessario prevenire i bisogni materiali e morali di quella massa operaia che costituisce la vera forza della Nazione.

Non a caso, oltre alla borghesia che spende poche energie nel quotidiano lavoro, anche la classe impiegatizia è sottoposta a sacrifici più duri di quella operaia. Oltre alle considerazioni di carattere politico e sociale vi sono quelle mediche. Complicate tabelle stabiliscono le calorie che forniscono i vari cibi e le calorie necessarie per compiere un determinato lavoro. Ora è evidente che un Tizio che rimane seduto nel suo ufficio otto o dieci ore al giorno, consuma meno calorie di un minatore. Rigide sono le tabelle e altrettanto rigida l’applicazione pratica.

Quanto alle eccezioni che in pratica si verificano, vi sono dei medici che, stabilita l’anomalia, stabiliscono i supplementi di carne, di grassi e di uova. Questo per gli ammalati, per i convalescenti, per gli affetti da disfunzioni croniche.

Nessuno si lamenta

Diremo subito che prima che un medico firmi un documento del genere il soggetto è ben studiato. Il risultato di questi studi amministrativo politico e sociali è nell’odierna Germania veramente eccellente. Il governo di Hitler ha solide e profonde radici non solo nell’enorme maggioranza dei tedeschi ma anche e principalmente in quegli strati sociali che, più fra tutti, fanno la guerra e che della guerra maggiormente soffrono i pericoli e le dure prove.

Certamente nelle città della Germania occidentale, provate quanto quelle dell’Italia fascista, di tanto in tanto si levano voci accorate. Non sarebbe umano rimanere impassibili di fronte a tanta barbarie e a tanta delinquenza. Ma appunto dalle atrocità del nemico risalta agli occhi di tutti l’impellente necessità di vincere, bisogna liberare l’Occidente europeo da un nemico che domani possa ricominciare questa orribile storia di uccidere le donne e i bambini che formano i più preziosi tesori della razza germanica.

Già da tempo in Germania sono cessati i lamenti; l’orrore della realtà ha vinto anche la paura di morire. Si tace e si lavora. E se si parla, si parla lavorando. Oppure combattendo. È un identico modo di servire la Patria. Chi s’illude di vedere il fronte interno crollare in Germania commette gravissimo errore; un errore del quale prima o poi dovrà pagare le conseguenze.

Più solida e più umana che mai, moralmente rafforzata dall’eroico contegno dell’Italia alleata che soffre degli stessi dolori, la Germania di Hitler — l’intero popolo dei lavoratori attende con calma e fiducia quello che porterà il domani.

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Tratto da La Stampa del 25 luglio 1943.

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Felice Bellotti è stato un giornalista italiano, autore di numerosi reportage di viaggio e di guerra e di una quindicina di libri. Alcune informazioni sulla sua vita si possono leggere sul blog Huginn e Muninn.
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