La Quarta teoria politica di Aleksander Dugin. Una filosofia del Nuovo Inizio

Aleksander Dugin ha svolto, subito dopo la caduta del Muro, un ruolo essenziale in Russia: ha contestualizzato e tradotto le opere di Evola e di Guénon. Esponente di primo piano del movimento euroasiatista, è oggi punto di riferimento teorico imprescindibile, per chi si ponga oltre i confini dell’intellettualmente corretto. Il lettore italiano può finalmente aver contezza della rilevanza speculativa della proposta di questo pensatore, grazie alla recente pubblicazione della sua opera   più importante e sistematica. Ci riferiamo a La Quarta teoria politica, comparso nel catalogo della NovaEuropa Edizioni (per ordini: info@novaeuropa.it, euro 28,00). Si tratta di un libro davvero rilevante, nel quale il filosofo fa i conti con la realtà contemporanea e chiude la partita con le tre teorie politiche che hanno connotato di sé il secolo XX: liberalismo, comunismo e fascismo. Il volume è arricchito da un interessante saggio introduttivo di Luca Siniscalco, mirato a contestualizzare, sotto il profilo teoretico e politico, il contributo di Dugin, oltre che dalla prefazione dell’autore in cui la quarta teoria politica è presentata in relazione al Logos italiano.

Lo studioso russo si confronta con “il problema del nostro tempo”, non solo con l’aridità esistenziale che lo contraddistingue, ma anche con lo stallo politico e la situazione di paradossale sospensione della storia nella quale siamo costretti a vivere, data la presunta insuperabilità del modello produttivo del capitalismo cognitivo e del sistema politico della governance che lo rappresenta.  Dugin, preso atto dello stato delle cose, si fa latore di un progetto che potrebbe determinare il corso del futuro del mondo. Proposta di grande ambizione la sua, sostenuta però da un atteggiamento pratico, che gli consente di individuare le difficoltà epocali che il percorso implica. Il filosofo, in un contesto storico diverso, riprende le fila della discussione intellettuale imposta dal miglior Spengler, relativa agli anni della decisione. Stiamo attraversando, infatti, anni consimili, in cui si impongono, a chi voglia determinare un cambio di rotta, scelte radicali. Per questo, La Quarta teoria politica, sostiene l’autore, è opera in fieri, un appello lanciato a quanti vogliano essere della partita, affinché contribuiscano all’elaborazione degli obiettivi da conseguire e definiscano i mezzi da utilizzare.

Dugin individua punti fermi da cui muovere. Tra essi l’imprescindibile necessità di trascendere le categorie politiche espresse dal secolo ideologico per antonomasia, il Ventesimo. Mette in luce i tratti negativi che hanno connotato il liberalismo, il comunismo ed i fascismi. Il primo, espressione tipica della ratio illuminista, ha, fin dalle origini, inscritta nel proprio DNA la deriva economicista ed utilitarista, che l’hanno reso atto a sconfiggere, in quanto pienamente conforme alla struttura del Moderno, le altre due teorie politiche. Il comunismo non fu che una reazione indotta alle perversioni del sistema borghese-capitalista. Il fascismo fu un tentativo di superamento di entrambe le precedenti proposte che, per riuscire nell’impresa, fece appello ai valori tradizionali. L’alleanza strategico-militare tra i rappresentanti della prima e della seconda teoria politica, USA-URSS, sommate alla follia dell’hitlerismo e del razzismo biologico, determinarono l’uscita dal teatro della storia dei fascismi. Non rimaneva allora che la “guerra fredda”, luogo di confronto tra liberalismo e comunismo. Da essa, è ben noto, sorse, dopo il 1989, il mondo globalizzato a trazione statunitense e capitalista.

La  Quarta teoria politica deve mirare al superamento politico-esistenziale della situazione attuale caratterizzata dallo sfarinamento, manifestatosi all’inizio degli anni Settanta, del progetto della Modernità solida, nella post-modernità liquida. A tal fine, delle precedenti teorie politiche, è necessario recuperare esclusivamente i tratti positivi: del comunismo, come ricorda Siniscalco, “l’acuta identificazione delle contraddizioni del capitalismo e la natura di mito escatologico, del fascismo la tutela dell’ethnos e della comunità, del liberalismo il valore della libertà umana […] in senso personalistico” (p. XIX). In ogni caso, bisogna lasciarsi alle spalle il clivage destra-sinistra, come rilevato da De Benoist, estraneo alla configurazione della società contemporanea. Dunque, qual è il soggetto della storia cui il filosofo russo guarda con estremo interesse? E’ il Dasein, l’Esser-ci, teorizzato da Heidegger la cui funzione, per la storia d’Europa, è ritenuta da Dugin destinale. Il Dasein si dà sempre nel mondo, ossia in una collocazione storico-geografica, in relazione agli altri e nell’inevitabile relazione vitale con la morte” (p. XXII).

L’Esserci in Heidegger, rileva Dugin, è in stretto rapporto con il Geivert, il Quadrato che consente di intendere, oltre la comprensione impostasi con la metafisica, la relazione Essere-Evento. In tal senso il Dasein è l’uomo reintegrato nelle sue possibilità originarie, l’uomo tradizionale aperto al cosmo e all’influenza delle potestates che lo animano, oltre il dualismo razionalista soggetto-oggetto. Il nostro mondo, per il tradizionalista russo, si sta avviando verso una   catastrofe certa. Al suo sopraggiungere, il Dasein acquisirà una dimensione più profonda e si trasformerà in Soggetto Radicale.  Chi è costui? Tale soggetto corrisponde all’Individuo assoluto di Evola. Da ciò si evince l’aspetto più interessante delle tesi duginiane: produrre una sintesi teorica di pensiero di Tradizione e filosofia heideggeriana, al fine di sottrarre il primo allo scacco del necessitarismo storico, esito della dottrina dell’involuzione delle caste. Con ciò Dugin valorizza ai massimi livelli l’azione storico-politica, che viene ad assumere tratti poietici, magico-rituali, demiurgici, da cui emerge lo sfondo slavofilo della teoresi del pensatore russo.

La post-modernità ha liquidato la Modernità, realizzando, ad un tempo, la “grande perdita” ma aprendo possibilità sconfinate “La Quarta teoria politica deve trarre la sua oscura ispirazione dalla post-modernità […] dall’avvento della società dei simulacri, interpretando tutto ciò come un incentivo a combattere, piuttosto che come un destino” (p. 19). La battaglia contemporanea si configura quale tentativo di conversione della post-modernità, nell’arcaismo di un pensiero pre-moderno rinnovato. Chiosa Siniscalco, “Il postmodernismo sviluppa una filosofia terrestre del caos e dell’indistinto. Dugin mira invece ad una ‘metafisica del Caos’, in senso greco” (p. XXXI). Quella del russo è una riproposizione, aggiornata alla fase attuale del processo di decadenza, delle tematiche della Rivoluzione conservatrice, un Cavalcare la tigre dell’epoca postmoderna. L’Esserci, infatti, si dispiega in un mondo spazio-temporalmente definito, conosce il limes, la frontiera e l’apprezza in antitesi al mondo globalizzato. Un passo importante, quello di Dugin, che guarda alla Città della co-appartenenza dei passati, dei presenti e dei venturi, la Città degli Dei, la Città della Tradizione.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".
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