La popolazione nordica dell’India antica

Bodhisattva. Monastero di Shahbaz-Garhi, arte del Gandhara, I-III secolo. Museo Guimet, Parigi.
Bodhisattva. Monastero di Shahbaz-Garhi, arte del Gandhara, I-III secolo. Museo Guimet, Parigi.

Sembra che anche i nordici indiani siano passati per il Caucaso, secondo Hüsing verso il 1700 a.C. Per moltissimo tempo essi erano stati tanto strettamente associati con i persiani che tutte e due le stirpi parlavano la stessa lingua, l’indo-iraniano (detto anche “ario”). Le tracce di questa lingua comune (l’indo-persiano) indicano un che ci fu un itinerario comune seguito da queste due popolazioni dalla Russia meridionale fino al Caucaso. Si deve presupporre che i popoli indo-persiani abitassero l’Europa Sud-orientale per molto tempo, perché nelle lingue ugro-finniche si trovano, fra le parole allogene acquisite più anticamente, un considerevole numero di parole indo-persiane. Ne segue che le stirpi indo-persiane (cioè: quelle stirpi di razza nordica che poi si stanziarono in India e in Iran, dove diedero origine a popoli storici) dovettero abitare nell’Europa Sud-orientale quali vicini di genti di lingua ugro-finnica (e di razza baltico-orientale). Ancora ai tempi di Erodoto (nel V secolo a.C.), la Russia centrale e settentrionale era abitata da genti di lingua ugro-finnica; perciò è probabile che la Russia meridionale sia stata la zona di incontro fra gli indo-persiani e le genti di lingua ugro-finnica. Anche i nomi di diversi fiumi indicherebbero che la Russia meridionale sia stata il luogo temporaneo di residenza degli indo-persiani, nomi che possono essere spiegati come derivanti dalla parola persiana danu = fiume (osseto don), come Don, Dnepr (Danapris), Dnjestr (Danastrus), Donau [Danubio]. Anche l’archeologia ha identificato questa zona Sud-est europea come un luogo di permanenza di genti indo-iraniane.

Già prima del 1400 a.C. gli indo-persiani devono essere penetrati in zone adiacenti a quelle degli ittiti (prevalentemente di razza levantina); questo è indicato da parole indo-iraniane prese a prestito dalla lingua ittita. Non molto tempo dopo, gli indo-persiani devono avere raggiunto la zona armena. Verso il 1400 a.C. gli indiani acquistano una fisionomia specifica, nelle terre armene, e chiamano sé stessi “Hari”, cioè “i biondi”.

religiosita-indoeuropeaNelle saghe indiane antiche, gli dei e gli eroi sono sempre descritti come “biondi”. Una vecchia saga indiana indica il Kasmir come loro prima contrada di popolamento; mentre sia i Veda indiani che l’Avesta iraniano racchiudono tracce di una festa solstiziale invernale, il che può essere spiegato soltanto in base a un’origine Nord-europea. Nelle lotte fra Indra e in mostro Vrtra sembrerebbe che i Veda indichino ancora il combattimento dell’estate contro l’inverno; e gli indiani, come i romani, si immaginavano che la sede degli dei fosse nel Nord. I combattimenti descritti nel poema indiano Rig-Veda (come è stato scoperto per la prima volta da Brunnhofer) hanno come scenario l’Afghanistan. Dall’Afghanistan seguì la migrazione verso le pianure indiane e la diffusione dalla valle dell’Indo verso Est e Sud-est. Gli immigrati portarono con sé l’architettura lignea e la costumanza dell’arsione dei cadaveri, e avevano una struttura sociale di relativamente alto livello. Nei documenti indiani più antichi le genti conquistatoci di lingua indoeuropea vengono descritte come “grandi”, “bianche”, “chiare” e di “bell’aspetto”, mentre gli aborigeni del luogo vengono detti “dalla pelle scura”, nonché “piccoli”, “neri” e “con il naso piatto” o “senza naso”. È indicativo il fatto che la parola indiana per ‘casta’ (varna) significa lo stesso che ‘colore’. Ancora adesso, dopo millenni, gli indiani di alta casta sono riconoscibili dalla loro pelle più chiara e l’europeo nordico – così successe a Häckel (vedi figura a margine) durante un suo viaggio in India – causa la sorpresa degli indiani, che pensano che egli deva appartenere a una casta superiore. E gli antichi indiani si immaginavano il loro dio supremo – Indra, dio della tempesta, biondo dalla barba rossa come simile a loro; nel quale, secondo le vecchie poesie religiose, ha da vedersi la figura di un genuino eroe nordico.

I Veda danno testimonianza che, per gli antichi indiani, una numerosa famiglia era segno di ricchezza. C’è da credere che la mortalità infantile nella classe degli immigrati nordici fosse relativamente alta – perfino nell’Europa meridionale, durante l’estate, i bambini nordici sono più in pericolo dei bambini di razze più scure. È anche probabile che gli indiani siano divenuti consapevoli dei pericoli del meticciato, in una regione alla quale essi erano male adattati. Perciò, una rigidissima legislazione garantì le caste, impedendo il mescolamento fra i signori nordici e i nativi. Il libro delle leggi di Manu (scritto all’inizio del nostro computo cronologico ma che conservava lasciti molto più antichi), il codice giudiziario più antico dell’India, contiene leggi dirette ad impedire il meticciato nonché tutta una serie di interessantissime indicazioni eugenetiche. Sembra che il meticciato sia stato evitato per moltissimo tempo; e furono quei tempi di ancora relativa purezza razziale a produrre i canti eroici, la filosofia indiana del brahmanesimo e la poesia indiana, tutte testimonianze della forma indiana dell’anima nordica. Le creazioni intellettuali indiane meritano continuativamente di essere apprezzate, e non cessano mai di stupire. Quale sia per noi il significato del pensiero indiano, è stato indicato in modo preciso da H. St. Chamberlain nel suo libretto Arische Weltanschauung [Visione del mondo ariana]” (1917). Gli indiani erano un insieme di popoli nordici aventi una loro specifica fisionomia, e presso di loro si riscontra un accordo di religione, pensiero e poesia ancora non disgiunti e vicini alla fonte primigenia dello spirito nordico, che poi si sviluppano in una creatività intellettuale. In quei tempi primordiali la lingua indiana – che ci è stata trasmessa nella sua forma sanscrita – sviluppò tutte le sue ricche potenzialità e ci sono stati degli eruditi della linguistica i cui lavori, nel campo della grammatica, non sono stati uguagliati e tanto meno superati.

Bodhisattva, arte del Gandhara, II-III secolo. Collezione privata.
Bodhisattva, arte del Gandhara, II-III secolo. Collezione privata.

Potrebbe darsi che sia stato l’insorgere di Buddha (nato nel 570 a.C.) e della sua dottrina, il buddhismo, che non è più di spirito nordico, che abbia irreversibilmente disciolto lo spirito di consapevolezza razziale di questo splendido popolo. Originato in una regione dove la popolazione indiana nordica era scarsa e diffuso, a quanto sembra, soprattutto da missionari non nordici, il buddhismo distrusse le vecchie tradizioni fedeli alla razza; e al posto della filosofia indiana antica mise una problematica dottrina della salvazione, la quale (e questo è fondamentale) non faceva appello soltanto alla classe dominante nordica, ma a genti di ogni casta e razza. La coraggiosa specificità della sapienza indiana arcaica fu dilacerata dal buddhismo, che a essa sostituì lo spirito della rinuncia, al punto che il grande pensatore indiano Sankara, nella sua confutazione del buddhismo, gli rimproverava di “non avere proposto se non il suo proprio immenso squilibrio oppure il suo odio per il genere umano”.

Il buddhismo non da segno di alcun pensiero creativo e non fa altro che avversare e distruggere ciò che nei tempi antichi era stato creato dal brahmanesimo. Dalla sintonia che l’India arcaica concedeva a tutta la natura, il buddhismo trasse la negazione della volontà di riproduzione. È possibile che attraverso il suo consiglio di evitare l’amore carnale e la sua avversione per il matrimonio e per la proprietà esso abbia contribuito alla scomparsa del sangue nordico; in quanto probabilmente furono più gli elementi nordici che accolsero questa nuova dottrina, che dall’antichità indiana aveva preso molto, che non persone provenienti dalla classi inferiori dalla pelle scura. Il saggio brahmano si dedicava a una vita di contemplazione e di pensiero soltanto dopo che era stato sposo e padre, aveva preso parte alla vita pubblica e conosciuto i suoi figli e nipoti. Il buddhismo, invece, era contrario sia al matrimonio che al radicamento del singolo nel suo popolo, slegandolo dal divenire storico. Al buddhismo ci si può riferire come alla “manifestazione del trionfo di una potenza distruttiva”.

È del tutto ovvio che anche la situazione climatica dell’India deve avere contribuito alla denordizzazione del popolo indiano. In ragione delle loro caratteristiche genetiche maturate nell’Europa Nord-occidentale, la costituzione degli indiani nordici non era appropriata per la vita nelle regioni tropicali. L’ambiente indiano deve avere esercitato una vera selezione a rovescio nei riguardi della componente nordica della popolazione. Già in Asia Minore, durante l’estate, la mortalità infantile fra i bambini biondi è molto superiore a quella dei bambini scuri.

Sia questo tipo di controselezione che il meticciato devono avere portato alla decadenza della civiltà indiana. L’attacco mecedone contro l’India (327 – 326 a.C.) dimostrò già allora quanto debole fosse lo stato indiano. La penetrazione delle popolazioni che i greci chiamavano indo-sciti (anch’esse provenienti dal Nord-ovest) sembra che abbia portato a una ripresa dell’elemento nordico. Essi fondarono, nell’India Nord-occidentale, un regno che durò dal 120 a.C. fino al 400 d.C. e che per un certo tempo (dopo circa il 45 d.C.) portò la sua frontiera occidentale fino ai bordi della Persia. In questo regno “indo-scita” si ebbe anche un rinascimento della poesia indiana. Fu nel IV o V secolo d.C. che Kalidasa – il più grande poeta indiano di cui si sappia il nome – scrisse le sue grandi poesie.

L’instaurazione del dominio mongolo (che durò dall’VIII secolo fino al 1536) segna la vittoria della componente asiatica della popolazione dell’India. La religione, il pensiero e la creazione artistica rispecchiarono, dopo, soltanto i tratti del substrato indostano e dei meticci scuri che adesso predominano in India. “Lo spirito indiano, sempre più alienato dall’antico arianesimo, diede origine agli dèi dell’induismo, con le loro immagini policefale e dalle molte braccia, carichi di sensualità, crudeltà e sregolatezza”.

Eppure, ancora nei secoli VI o VII d.C. ci dovette ancora essere una debole presenza di sangue nordico. Gli affreschi di Ascianta, che sono di quell’epoca, rappresentano, assieme a esemplari uguali agli indiani moderni, genti di alta statura, dal naso e il viso stretto, dal colorito chiaro, bionde e dagli occhi azzurri. Oggidì il colorito chiaro si da solo occasionalmente, e gli occhi chiari ancora meno frequentemente. Alcune stirpi delle frontiere Nord-occidentali, fra le quali Kisley aveva incontrato dei biondi dagli occhi azzurri, hanno distintamente conservato il sangue nordico in proporzione un poco maggiore; come forse è anche il caso dei sikh, la cui statura media è di 1,71 m.

Altrimenti, sono le caste indiane più alte – i bramini – a mostrare più chiaramente una componente nordica. Essi hanno una statura media di 6 – 9 cm più alta di quella delle caste inferiori, hanno un colorito più chiaro in confronto al marrone o marrone-nero delle medesime, hanno nasi e visi più stretti. Fra i bramini della zona di Bombay ancora adesso si trovano individui dagli occhi grigi. – La lingua indiana: oppure, più esattamente, quel che è divenuto della lingua indiana dopo il meticciato – è ancora parlata in vaste zone dell’India, ma il sangue di coloro che quella lingua introdussero è scomparso quasi senza lasciare traccia. Dal punto di vista linguistico, gli attuali abitatori dell’India sono nella loro grande maggioranza indoeuropei, ma somaticamente sono il risultato della mescolanza di diverse razze scure. Ma anche nella parlata si può riscontrare l’influsso degli strati non-nordici del popolo indiano, almeno nella sintassi: “Dal punto di vista sintattico, è lecito dubitare che le lingue indiane moderne possano ancora essere classificate come indoeuropee“.

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Brani tratti da Tipologia razziale dell’Europa, Ghénos, Ferrara 2003.

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Hans Friedrich Karl Günther (Friburgo in Brisgovia, 16 febbraio 1891 – Friburgo in Brisgovia, 25 settembre 1968) è stato un antropologo tedesco. Fu un esponente di spicco della teoria della razza e grande sostenitore dell'eugenetica. Tra le sue opere maggiori si ricordano Rassenkunde des deutschen Volkes (1922), Rassenkunde Europas (1924), Adel und Rasse (1926), Rassengeschichte des hellenischen und des römischen Volkes (1929), Die nordische Rasse bei den Indogermanen Asiens (1934), Frömmigkeit nordischer Artung (1934), Herkunft und Rassengeschichte der Germanen (1935), Formen und Urgeschichte der Ehe (1940), Das Bauerntum als Lebens- und Gemeinschaftsform (1941), Platon als Hüter des Lebens (1966).

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