La fanta-archeologia di Valerio M. Manfredi

Che Valerio Massimo Manfredi con il suo volume di racconti Archanes (Mondadori) abbia vinto ieri il Premio Scanno, giunto alla sua 38ma edizione, ha un suo significato, al di là del riconoscimento ad un nome che riassume in sé parecchie caratteristiche: narratore, conduttore televisivo, ma soprattutto archeologo e docente universitario. Un antichista, insomma, che non solo conosce e ama la classicità greco-romana, ma soprattutto riesce a calarsi nella mentalità, nel modo di pensare e agire, di quei nostri lontani progenitori, là dove sono le nostre radici culturali.

I suoi romanzi, a partire da Palladion che risale ormai a 25 anni fa, sono un sapiente dosaggio di conoscenza approfondita e partecipe di quelle vicende e di quei miti con trame complesse in cui spesso si affaccia l’elemento fantastico e qualche volte addirittura fantascientifico, e una struttura a intrigo che ricorda il giallo, lo spionaggio e l’avventura. Insomma, Valerio Massimo Manfredi scrive romanzi e racconti «che si fanno leggere», ma che al contempo non sono superficiali, non sono anacronistici come quelli che spesso ci propinano gli americani, con modi di dire e di fare attribuiti agli antichi che si rifanno a modi di dire e di fare moderni e contemporanei: il che raggiunge vertici insuperabili di ridicolo.

Ecco perché è significativa la vincita al Premio Scanno, un premio nato nel 1972 e che dal 1975 ha iniziato a segnalare letteratura e narrativa, creando poi sezioni per il diritto, l’economia, la sociologia, la medicina e le tradizioni popolari. Lo fondò infatti Riccardo Tanturri, la cui nobile famiglia è originaria del paese abruzzese, docente di letteratura italiana, scrittore, poeta e giornalista.

Ora vince il premio letterario un libro di… avventura. Ah, ma allora si tratta di un libro per ragazzi, dirà qualcuno meravigliandosi di tanta audacia. Non è così. A parte che a questa «categoria» vengono ascritti noti capolavori di Stevenson e Conrad, le sue origini sono nobili e per nulla infantili. L’avature era quella cui andavano incontro i cavalieri medievali, un fatto non voluto, non cercato, un evento che accadeva, e che si doveva affrontare, indipendentemente dal risultato. Insomma, una vera e propria «prova» come si legge in tanti romanzi cavallereschi. Non quindi storie superficiali per affascinare i bambini, se questo per alcuni può essere considerata una diminutio.

Valerio Massimo Manfredi è stato uno dei primi autori italiani, se non il primo, a dare nella seconda metà del Novecento una dimensione «moderna» al romanzo di avventura, mescolandolo, come si è accennato, ad altri «generi» attuali: il thriller, la spy story, l’intrigo internazionale, la fantapolitica. Poi se ne sono aggiunti altri come Sergio (Alan D.) Altieri, Andrea Carlo Cappi, Stefano Di Marino, Gianfranco Nerozzi e così via, il che permette di creare finalmente una «scuola» che in precedenza non esisteva per la mancanza di opere edite.

Archanes, nelle cinque lunghe storie che lo compongono, si può considerare una piccola summa delle tematiche preferite da Manfredi. Intanto c’è Limes, forse la migliore: ambientata nel VII secolo d.C. descrive l’incontro/scontro fra i romani e i barbari, in questo caso i Longobardi. Manfredi riesce a calarsi nella mentalità degli ultimi rappresentati di una romanità già parecchio cristianizzata, e quindi profondamente modificati in certi valori, e quella dei nuovi arrivati che portano – così si capisce – una nuova linfa vitale a forze ormai esangui. In fondo il paterfamilias Eutichio Crescenzio Severo è già diviso tra Simmaco e S.Ambrogio, Rutilio Namaziano e S.Agostino. Di fronte ha dei barbari che però già si stanno romanizzando, quasi senza saperlo. Il risultato sarà inevitabile, come si può capire da quel che sarà il seguito dell’incontro, sul confine, il limes (reale e simbolico) delle due proprietà terriere, fra Serena e Cuniperto.

In Archanes e Gli dei dell’Impero siamo invece ai nostri giorni con due racconti che corrono entrambi sul filo del giallo archeologico, specialità dell’autore. Midget War e Millennium Arena ci spostano in un futuro vicino in cui la tecnologia la fa da padrone, lo spionaggio industriale e gli intrighi internazionali sono lo sfondo, insieme agli istinti primordiali dell’uomo come la vendetta e la violenza. Anche qui, nella seconda storia, emerge l’amore di Manfredi per la classicità. Uno dei personaggi, direttore di un settore dello spionaggio italiano, è uomo di azione ma anche di lettere: ama il latino, ha vinto il Certamen Ciceronianum e viene coinvolto nell’intrigo proprio mentre sta recandosi ad un concorso internazionale di poesia latina. Insomma, usa la mitraglietta e il calamo allo stesso modo!

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Tratto da Il Giornale del 12 settembre 2010.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

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