La destra siamo noi? No, non tutti. Sull’ultimo libro di Giampaolo Pansa

la-destra-siamo-noiGiampaolo Pansa è giornalista e scrittore di vaglia, dotato di un’esperienza senza pari. Da cronista coraggioso ha attraversato l’intera storia della Repubblica: la cosa la si evince dalla lettura dei suoi libri, nei quali non solo ha mostrato l’invidiabile capacità del ritrattista di qualità, ma anche il suo particolare “fiuto” professionale, capace, in poche battute, di far emergere nei personaggi presentati, il volto celato dalla maschera pubblica. Ne La destra siamo noi. Una controstoria italiana da Scelba a Salvini, da poco nelle librerie per Rizzoli (euro 19,90), queste qualità consentono all’autore di entrare nel mondo, poco conosciuto nei suoi aspetti propriamente umani, della “destra” italiana.

Il canovaccio del racconto è dato dai colloqui che Pansa immagina di intrattenere con un personaggio inventato, l’ex-poliziotto Giorgio Morsi, addetto alla Divisione Affari Riservati del ministero dell’Interno e conoscitore, al pari di Pansa, di molti “misteri” nostrani. Lo stile sobrio e coinvolgente, agevola la lettura: inoltre, il giornalista si avvale, quale base documentale, del suo archivio sterminato relativo a cose e persone della nostra storia. Presenta, pertanto, una destra dai mille volti, a volte ambigui e contrastanti tra loro. Tale descrizione, pur avendo in sé alcuni aspetti di verità, ci pare non del tutto plausibile sotto il profilo politologico. Non capiamo, ad esempio, come sia possibile inserire in questa controstoria, alcuni medaglioni anonimi dedicati a personaggi coinvolti nell’inchiesta “Mani pulite”, appartenenti alla sinistra e ai partiti dell’arco costituzionale, solo perché furono, una volta indagati, fatti passare quali corpi estranei agli apparati nei quali avevano militato, e in quanto tali assimilabili agli “stranieri in patria”, ai “fascisti”. Non condividiamo neppure l’individuazione di una “destra” di sistema che avrebbe avuto un suo percorso sotterraneo nella vita della prima Repubblica, da Eugenio Cefis a Licio Gelli, e che sarebbe tornata a mostrarsi in Silvio Berlusconi. La vocazione presidenzialista, di riformismo costituzionale, non è sufficiente a renderla parallela all’altra destra, quella politica, alla quale sono dedicate le pagine più riuscite del libro.

Pagine davvero coraggiose, lo sappia il lettore. Infatti, nell’analisi del periodo post-bellico, in più di una circostanza Pansa torna sulle stragi gratuite degli ex-fascisti e/o di non-comunisti, compiute da gappisti o da militanti togliattiani, delle quali ampiamente ha trattato nel suo libro più noto, Il sangue dei vinti. Va oltre, presentando le violenze compiute da membri del PCI nei confronti dei fratelli “internazionalisti”, riesumando l’omicidio dimenticato di Mario Acquaviva; o rileggendo criticamente la drammatica stagione degli anni di piombo e dello stragismo “nero”. Al riguardo, viene ricordato il tentativo elusivo, e perciò complice, messo in atto da tanta stampa “libera”, mirato ad accreditare come “nere” le “presunte BR”. Vengono, inoltre, narrate le vite spezzate di tanti militanti di destra, Mazzola e Giralucci, Ramelli e i fratelli Mattei, che caddero in agguati mortali tesi loro da rampolli (per lo più impuniti) della borghesia radical chic.

Il ritratto dell’editore Franco Freda, accusato della strage di piazza Fontana e assolto in Cassazione, dimostra che Pansa tenta un approccio senza livore preconcetto a queste problematiche, giungendo infine a sostenere: “Sono propenso a ritenere che tanto Freda quanto Ventura non abbiano avuto niente a che fare con piazza Fontana. E penso che i milioni di parole scritte per dimostrare il contrario…siano stati un gigantesco imbroglio” (p. 142). E ancora, a proposito della strage di Bologna, oltre a ricordare le tesi dell’accusa nei confronti di Mambro e Fioravanti, cita i momenti salienti della controinchiesta condotta da Gian Paolo Pellizzaro per il periodico “Area”, diretto da Gabriele Marconi. Le tesi del giornalista tendevano a scagionare la coppia dei Nar, attribuendo la strage al gruppo terroristico messo in piedi dal mitico Carlos: la strage sarebbe stata progettata in sintonia con il Fronte popolare palestinese, come rappresaglia a seguito dell’arresto di tre “compagni” che trasportavano armi per il Fronte stesso.

Scorrendo il volume, il lettore incontrerà molte “figure” ma anche “controfigure” che hanno animato il mondo della destra. Tra le prime va sicuramente annoverato il principe Borghese accusato del ben noto colpo di Stato. La lapidaria conclusione cui giunge Morsi, esprime in sintesi il pensiero dell’autore sul personaggio e sull’accusa “Un golpe falso, un combattente vero” (p. 160). Un ruolo di primo piano nella storia politica del MSI viene naturalmente attribuito ad Almirante e a Rauti, il primo ritenuto in qualche modo il simbolo quint’essenziale delle idealità e dell’immaginario dell’uomo di destra. Non possiamo sottacere, per evidenti ragioni, quanto viene detto a proposito de “il Borghese” di Mario Tedeschi e di Gianna Preda “Al “Borghese” non avevano paura di niente e tiravano dritto per la loro strada…E il primo a comportarsi così era il direttore, Mario Tedeschi” (p. 307). Gianna Preda “era davvero una donna che valeva tre uomini…ha scritto sino all’ultimo giorno di vita, fino alla vigilia di essere uccisa da un cancro” (p. 303), fu la “tigre” de il Borghese.

Ecco, ci pare che con questo mondo ideale, dai forti riferimenti etico-politici, l’altra “destra” che emerge dall’analisi di Pansa, abbia poco a che fare. Sia chiaro, anche alcuni dei personaggi ricordati in tale contesto hanno avuto un loro spessore: Scelba fu democristiano che svolse un ruolo storico significativo, ma la sua “legge” fu antesignana dei confini invalicabili del politicamente corretto. Lo stesso dicasi di Fanfani, cui nel volume è dedicato un capitolo. Inoltre, l’onestà e il coraggio mostrati da Giorgio Ambrosoli nei confronti della Repubblica, sono valori da rispettare, ma altri rispetto a quelli della destra politica, con i quali non possono essere confusi. Per concludere, sappia il lettore che nel libro non mancano note di colore, perfino storie etero ed omosessuali, nelle quali sarebbero stati coinvolti personaggi di primo e di secondo piano delle diverse “destre”, come quella di un noto intellettuale transitato dal MSI al FUORI. Nell’epoca del trionfo dell’unisex ci auguriamo che non sia questo l’esito ultimo di un intera area politica! Dai medaglioni di Pansa è possibile trarre stimoli ed esempi diversi.

Un ultimo appunto, il giudizio negativo su Salvini e la Lega nazionale e sovranista “Il capo del Carroccio è davvero un esemplare politico del nostro tempo: furbastro,volgare, pronto a sfidare il ridicolo ” (p. 398), ci pare affrettato. Aspettiamo l’evolversi degli eventi, prima di giudicare in termini definitivi.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".

2 Responses

  1. Sepp
    | Rispondi

    Pansa osanna i partiti di destra che i liberatori hanno insediato e che mai apertamente hanno osato ribellarsi all’invasione. Una destra che umiliava gli altoatesini.

  2. steeler
    | Rispondi

    Perché quello che pensa su Freda non l’ha detto a tempo debito? perché ha atteso quasi 50 anni? Che senso ha più oramai….

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