La crociera della nave corsara Pinguin

L’incrociatore ausiliario Pinguin (noto anche con il nome in codice di Schiff 33, ossia Nave 33), comandato dal capitano di vascello Ernst-Felix Kruder, è stato una delle navi corsare tedesche più importanti della seconda guerra mondiale; una di quelle che hanno riportato i maggiori successi nella guerra al traffico commerciale alleato; e una di quelle che sono andate incontro al destino più glorioso, ma anche più tragico. Infatti, la sua carriera di corsara venne troncata dall’incontro con un incrociatore pesante britannico, contro il quale non aveva la minima speranza di salvezza. Eppure, affrontò ugualmente il combattimento e fu colato a picco dopo una lotta disperata nelle acque dell’Oceano Indiano.

La sua fine avvenne in circostanze analoghe a quella della sua nave gemella, l’Atlantis del capitano di fregata Bernhard Rogge, del quale abbiamo già avuto occasione di parlare diffusamente (cfr. F. Lamendola, La crociera della nave corsara «Atlantis»,11 marzo 1940 – 22 novembre 1941). Entrambe furono sorprese in mare aperto da una nave da guerra inglese, giunta con troppo tempismo per pensare a una semplice coincidenza. A differenza dell’Atlantis, però, che venne abbandonata dall’equipaggio, sotto le bordate del nemico, senza aver sparato neppure un colpo, il Pinguin scelse di perire combattendo, sparando fino all’ultimo con i suoi antiquati cannoni della prima guerra mondiale, e facendo sventolare fieramente sull’albero la bandiera di battaglia.

Secondo le migliori tradizioni della Marina imperiale germanica, Kruder si sacrificò al suo posto di comando, insieme a quasi tutto l’equipaggio; e, prima di scomparire tra i flutti con la carcassa della sua nave divorata dalle fiamme, riuscì a mettere a segno alcuni colpi che danneggiarono seriamente il nemico, tanto più potente sia per armamento che per corazzatura, nonché – cosa più importante di tutte – per velocità.

Nell’articolo sopra citato, abbiamo riportato la descrizione della fine dell’Atlantis, così come l’ha rievocata, in un suo libro di memorie, uno degli ufficiali di Rogge, Ulrich Mohr. Il lettore sarà forse rimasto colpito dal particolare di Mohr che, nell’imminenza dello scontro decisivo, va dall’ufficiale pagatore per riscuotere il suoi stipendio, in previsione dei tempi duri della prigionia. Pur con tutto il rispetto per coloro che vissero sulla propria pelle il dramma della guerra sul mare, non possiamo fare a meno di pensare che non è quello l’atteggiamento che ci si aspetterebbe a bordo di una nave, pochi istanti prima della prova del fuoco, da parte di uno dei principali collaboratori del comandante.

Si ha l’impressione che sia Rogge, sia i suoi ufficiali, abbiano dato un po’ per scontato che i cannoni sarebbero loro serviti solo fino a quando si fossero trovati davanti delle innocue carrette del mare, da saccheggiare e da colare a picco, senza correre il benché minimo rischio; ma poi, quando furono a tu per tu con una vera nave da guerra, non presero seriamente in considerazione la possibilità di adoperarli per combattere. Ci sia consentito pensare dire che gli ufficiali di una nave da guerra, allorché questa viene a contatto col nemico, forse non dovrebbero pensare, in primo luogo, a garantirsi la sicurezza economica per il futuro, anzi non dovrebbero pensare affatto al loro futuro di probabili prigionieri, ma piuttosto concentrarsi esclusivamente sulla prova delle armi che li attende, da un istante all’altro.

Così è nella tradizione di qualsiasi marina da guerra che si rispetti, e così era anche in quella tedesca durante la seconda guerra mondiale.

Ma chiudiamo questa parentesi sul contegno dell’Atlantis, di cui abbiamo già parlato a suo tempo, e torniamo alla lunga e spettacolare crociera del Pinguin.

Questo era, in origine, il mercantile Kandelfels, di 7.800 tonnellate, della Società armatrice Hansa; il quale, fra l’autunno del 1939 e la primavera del 1940, era stato trasformato in incrociatore ausiliario, secondo le solite modalità in uso nella Marina tedesca.

Lungo 155 metri e largo 19, con un pescaggio di 7 metri, poteva sviluppare una velocità massima di 18 nodi; e i suoi capaci depositi di carburante gli assicuravano un’autonomia di crociera di ben 60.000 miglia nautiche, viaggiando alla velocità di 10 nodi.

Era armato con 6 cannoni da 150 mm., alcuni pezzi di piccolo calibro e 6 tubi lancia-siluri; portava anche un carico di 300 mine da depositare davanti a una serie di obiettivi sensibili del nemico. Una catapulta per due idrovolanti gli assicurava i mezzi per la ricognizione a distanza. L’equipaggio era di 400 uomini.

Kruder non era un comandante distaccato e formale, come altri della Kriegsmarine, ma un uomo sensibile e generoso, oltre che un ottimo marinaio. Formatosi all’epoca della prima guerra mondiale, aveva partecipato alla battaglia dello Jutland del 1916 (che gli storici tedeschi preferiscono chiamare del Dogger Bank); e, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, era divenuto comandante dei dragamine. La sua perdita lasciò un vuoto notevole: ufficiali come lui non capitano tutti i giorni nelle forze armate di alcun Paese.

Così ne delinea la figura e, poi, rievoca la sua tragica fine, il saggista Massimo Picollo nella sua valida monografia Gli incrociatori corsari tedeschi. Le navi del tradimento (Giovanni De Vecchi Editore, Milano, 1971, pp. 59-60, 80-81):

… il capitano Kruder proviene dalle file della marina da guerra imperiale, dove era entrato volontario. Nel 1917 era guardiamarina a bordo della corazzata Koning e su di essa si era particolarmente distinto alla battaglia dello Jutland, quale comandante di una torre prodiera. Dalla Koning, Kruder passò al naviglio sottile: dragamine e incrociatori leggeri; assunse poi il comando della prima flottiglia dragamine e ancora ricopriva tale carica quando gli venne assegnato il Pinguin.

Pervaso di una grande umanità e di una profonda carica umana, a stento represse da una rigida severità esteriore, Kruder aveva sempre creato con gli uomini a lui sottoposti un’atmosfera di efficiente affettuosità. Era sempre stato considerato, dal secondo ufficiale all’ultimo marinaio, un padre, anche se volutamente burbero.

Tutto ciò si ripete pure sul Pinguin: erano bastate infatti le poche parole che Kruder aveva rivolto all’equipaggio: «Voglio una nave efficiente, pulita e felice» e quelle che aveva poi aggiunto agli ufficiali: «Preoccupatevi sempre che gli uomini ai vostri ordini stiano bene. Ogni parvenza di eventuale attrito deve essere deferita a me». (…)

Quando il fumo della catastrofe si dirada, sul mare non v’è più traccia del corsaro: solo una decina di uomini annaspano affannosamente nelle acque, alla disperata ricerca di un relitto cui aggrapparsi.

Il Cornwall li raccoglie ed i suoi marinai guardano i superstiti tedeschi quasi fossero uomini di una specie diversa, capaci di ogni impresa, e per lungo tempo non riusciranno a convincersi di aver eliminato il famoso Pinguin lo Schiff 33, il migliore incrociatore fantasma tedesco, scomparso in un vortice di fiamme, con la bandiera della Kriegsmarine, il comandante ritto sul ponte, i suoi ufficiali e pressoché tutto il suo equipaggio.

La crociera del Pinguin ebbe inizio il 22 giugno 1940, quando lasciò la Germania e riuscì, camuffato sotto le spoglie del mercantile sovietico Pechora, a forzare il blocco inglese nel Mare del Nord, passando vicino all’isola Jan Mayen e infilandosi, poi, nel gelido Canale di Danimarca, fra le coste della Groenlandia e quelle dell’Islanda, dovendo affrontare condizioni meteorologiche proibitive.

I corsari del Kaiser

Una volta guadagnate le acque dell’aperto Oceano Atlantico, la nave corsara volse la prua direttamente verso la parte meridionale di esso, per recarsi all’appuntamento con un sommergibile tedesco rimasto a corto sia di nafta che di viveri; appostandosi poi, in cerca di prede, sulle rotte commerciali passanti nelle vicinanze delle isole di Capo Verde.

Nell’Atlantico del Sud, prima di oltrepassare l’isola di Ascensione, il Pinguin assunse le sembianze del piroscafo greco Kassos; indi catturò una serie di navi alleate, l’una dopo l’altra: il britannico Domingo de Larrinaga (5.400 tonnellate); poi, doppiato il Capo di Buona Speranza, la petroliera norvegese Filefjell, al largo del Madagascar, dalla quale prelevò 500 tonnellate di preziosa nafta; un’altra nave inglese, la British Commander (7.000 t.) e un’altra bella nave norvegese, la Morviken (5.000 t.).

Nell’Oceano Indiano la nave corsara sembrava aver trovato la sua «riserva di caccia» ideale, così come, poi, nelle acque antartiche a sud del Capo di Buona Speranza e intorno all’isola Bouvet, ove incrociavano le flotte baleniere norvegesi, impegnate nella caccia ai grandi cetacei dell’emisfero meridionale. Il Pinguin vi giunse entro la metà di gennaio del 1941, e vi fece un bottino ricchissimo nello spazio di neppure quarantott’ore.

La crociera del Pinguin nei mari antartici è stata così riassunta da Caius Bekker nella sua opera Storia della Marina del Terzo Reich, 1939-1945 (titolo originale: Verdammte See. Ein Kriegstagebuch der deutschen Marine, Gerhard Stalling Verlag, Oldenburg, 1972; traduzione italiana di Giorgio Cuzzelli, Longanesi & C. Editori, 1977, vol. 1, p. 204):

Già alla metà di gennaio 1941, la Nave 33 Pinguin, dagli inglesi chiamata Raider F, agli ordini del capitano Ernst-Felix Krüder, ha trovato prede «opime» nell’Antartide. Tanto per cominciare, si avvicina non visto alla nave appoggio per baleniere norvegese Ole Wegger e al mercantile Solglimt, appena giunto per rifornirla, e conquista di notte, all’abbordaggio, le due navi senza sparare un colpo. La stessa sorte tocca ventiquattr’ore più tardi a una seconda flottiglia di baleniere. Marinai del Pinguin abbordano la nave appoggio Pelagos, chiamano a raccolta, servendosi della radio di bordo, le baleniere, e catturano anche queste.

Il capitano di vascello Krüder manda in patria, presidiate da pochi uomini, tre navi da 12.000 tonnellate ciascuna: le due navi appoggio aventi a bordo ventiduemiladuecento tonnellate di olio di balena, un articolo estremamente benvenuto nella Germania circondata dal blocco, l’altrettanto preziosa nave cisterna, e undici baleniere. Solo tre baleniere vanno perse, tutte le altre raggiungono indenni i porti francesi.

Secondo la stima dell’Ammiraglio Friedrich Ruge, il carico di olio di balena condotto nei porti francesi dalle baleniere catturate dal Pinguin era l’equivalente della razione di margarina per tutta la Germania di parecchi mesi.

Va notato che gli spettacolari successi di Kruder nei mari antartici sono da attribuirsi in gran parte all’abile sfruttamento delle intercettazioni radio norvegesi e nella trasmissione, altrettanto abile, di messaggi falsi. Era stata, dunque, una vittoria conquistata essenzialmente dall’operatore radio sui tasti del proprio apparecchio; una vittoria dell’astuzia, più che della forza.

Fu in questo modo che Kruder, in meno di due giorni, era riuscito a catturare 14 navi, 20 mila tonnellate di olio di balena e 10.000 tonnellate di nafta. Da quel momento egli divenne un mito fra gli equipaggi della Marina tedesca; le sue gesta correvano di bocca in bocca, assumendo toni da leggenda.

Prima di spingersi verso l’Antartico, Kruder aveva diretto la sua nave fino in Australia, ove aveva deposto due campi di mine, uno davanti alle coste nord-occidentali, un altro davanti a quelle sud-orientali, fra Sydney e Melbourne; altre mine erano state deposte da una sua nave appoggio al largo di Capo Agulhas, sulla punta meridionale dell’Africa.

Diverse navi nemiche urtarono in seguito sulle mine e saltarono in aria; fra esse, il primo mercantile americano a cadere vittima della seconda guerra mondiale, il piroscafo City of Rayville, di 5.800 tonnellate.

Dopo la caccia grossa nei pressi dell’isola Bouvet, il Pinguin – nel febbraio del 1941 – risalì a nord-est e si concesse una pausa nel rifugio, relativamente sicuro, delle disabitate isole Kerguélen, nella parte più meridionale dell’Oceano Indiano, a 50° di latitudine Sud.

Terminato quel periodo di riposo, Kruder riportò la sua nave a settentrione, sulle principali rotte commerciali, servendosi del secondo idrovolante per la ricognizione aerea (il primo era andato perduto).

Fu così che alla fine, il 9 maggio 1941, comandante e marinai finirono per andare incontro al loro tragico destino.

Complessivamente, il Pinguin, nel corso della sua crociera durata meno di 11 mesi, catturò 28 navi nemiche per una stazza di 136.00 tonnellate lorde; mentre altre 5 unità, per almeno 29.000 tonnellate di stazza lorda, saltarono sulle mine da esso posate.

Proprio quelle mine, però, dovevano rivelarsi la rovina per la nave corsara.

Ne aveva a bordo ancora 130, infatti, le quali, al momento del combattimento con il Cornwall, saltarono in aria, provocandone l’esplosione e il suo rapido inabissamento, con la perdita della quasi totalità dell’equipaggio.

L’ultima vittima dell’incrociatore corsaro fu la nave cisterna British Emperor, che Kruder volle catturare per far fronte al grave problema della scarsità di nafta nei serbatoi del Pinguin. Prima di essere colato a picco, il bastimento inglese aveva tentato una inutile fuga e aveva fatto in tempo a lanciare disperati messaggi radio di soccorso, i quali – sfortunatamente per i Tedeschi – vennero captati dall’incrociatore pesante Cornwall, di 10.000 tonnellate e con otto cannoni da 203 mm., che subito accorse e riuscì a portarsi a tiro della nave corsara, grazie ai suoi 31 nodi di velocità (quasi il doppio dell’avversario).

Il Pinguin tentò un ultimo inganno, dapprima cercando di farsi passare per la nave norvegese Tamerlane, poi trasmettendo alla nave britannica una fantasiosa informazione, per metterlo su una falsa pista.

Ma ciò a nulla valse, e si giunse, così, alla resa dei conti.

Le ultime ore del Pinguin sono state narrate da M. Izzo nel suo libro Pirati e corsari nel XX secolo (Giovanni De Vecchi Editore, Milano, 1972, pp. 191-92).

Il lungo grido di aiuto lanciato dalla petroliera prima di morire non poteva non essere stato raccolto da qualcuno. Le tristi previsioni del capitano Kruder non tardarono a rivelarsi esatte. L’appello era stato raccolto dal Cornwall, un incrociatore pesante inglese che si lanciò alla caccia della nave affondatrice. Kruder sentiva di avere ormai le ore contate. Dopo ore d’inseguimento l’incrociatore avvistò la nave tedesca, ma dopo il primo attimo d’esultanza la perplessità si impossessò del comandante: la nave inseguita non era il Pinguin ma il mercantile norvegese Tamerlane. Avvicinandosi egli avrebbe finito con l’esporsi all’eventuale tiro della nave corsara, ma a molte miglia di distanza la nave continuava a presentare l’aspetto del tutto innocuo del mercantile norvegese.

Kruder sapendosi osservato continuò il gioco sotto le spoglie del mercantile norvegese e cercò di mettere fuori strada l’avversario segnalando di aver avvistato una nave corsara tedesca in direzione opposta. L’incrociatore inseguì la pista falsa con meticolosa pignoleria per ore e ore, ma quando con l’aiuto del ricognitore fu certo che navi tedesche sul tatto di mare perlustrato non ce n’erano, non ebbe più dubbi. Il mercantile norvegese non poteva essere che il Pinguin.

Poco dopo il Cornwall piombò sul Pinguin camuffato. L’incrociatore poteva sfruttare una potenza molto maggiore di quella del piccolo Pinguin che però tentava in tutti i modi di difendersi e di attaccare. In breve, lo scafo del Pinguin venne squarciato da una serie di fiancate che distrussero i comandi in sala macchine; poi i cannoni del Cornwall centrarono il deposito munizioni. L’esplosione fu spaventosa, le fiamme avvolsero la nave corsara mentre frammenti di acciaio piovevano dappertutto. Gli uomini si gettarono in mare, poche lance riuscirono ad allontanarsi dal Pinguin che affondava. Kruder, al suo posto, morì insieme con la sua nave.

Così, giocando d’astuzia fino all’ultimo, Kruder era stato quasi sul punto di beffare il comandante avversario, il capitano di fregata Manwarring, allorché fece segnalare di essere appena sfuggito per miracolo a una nave corsara tedesca, e spedendo il Cornwall alla ricerca, tanto affannosa quanto vana, di quell’inesistente avversario.

Un colpo di genio che il comandante Rogge e il telegrafista dell’Atlantis non ebbero, quando, nel novembre successivo, si vennero a trovare nella medesima situazione: con i cannoni di una vera nave da guerra puntati contro, mentre questa – tenendosi fuori tiro – procedeva all’identificazione del vascello corsaro.

Rogge, infatti, decise di restare passivamente ad attendere l’inevitabile; Kruder, al contrario, scelse la strada della lotta, nella tradizione del Cap Trafalgar durante la prima guerra mondiale (cfr il nostro articolo Una battaglia fra due transatlantici: «Carmania» e «Cap Trafalgar», 14 settembre 1914).

Tuttavia, in quelle poche ore in cui il Cornwall si allontanò alla ricerca dell’ipotetica nave corsara, il Pinguin ebbe, sia pure teoricamente, una possibilità di salvezza. Ma, non potendo certo sottrassi alla caccia imminente coi suoi 16 nodi orari contro i 31 dell’incrociatore britannico, sarebbe stato necessario che le condizioni atmosferiche o il buio della notte venissero in suo soccorso. Se ci fosse stato un piovasco o un banco di nebbia, avrebbe potuto salvarsi; proprio come aveva sperato di salvare le sue navi von Spee, l’8 dicembre 1914, quando tentò la fuga davanti alle navi da battaglia Invincible e Inflexible, nella vana ricerca di un provvidenziale acquazzone.

In conclusione, possiamo dire che la condotta del comandante Kruder rivela non solo coraggio e determinazione, ma anche una rara combinazione di perizia marinara e di inventiva, fantasia e spirito d’improvvisazione; qualità delle quali, in genere, il soldato tedesco difetta, sopperendo ad esse con la perfetta disciplina e la totale fiducia nell’organizzazione della quale fa parte e che provvede a dare gli ordini.

Questo elemento, forse, ci aiuta a comprendere la differenza di condotta fra il comandante Rogge e il suo collega Kruder.

L’Atlantis, una volta scoperto e fermato dal Devonshire, si abbandonò passivamente al proprio destino, come se avesse perduto completamente la facoltà di usare il proprio spirito di iniziativa, che è – in fondo – la qualità fondamentale richiesta a una nave che debba condurre, del tutto isolata, una lunga crociera sui tre oceani, agendo contro il traffico mercantile nemico e cercando di sfuggire alla caccia delle navi da guerra.

Nel caso dell’ultima battaglia del Pinguin, invece, noi vediamo tale qualità esprimersi fino all’ultimo respiro, unita alla ferma determinazione di non cedere senza lotta.

L’Atlantis, probabilmente, è più famoso presso il grande pubblico, forse anche per merito del libro di Ulrich Mor, che ha raggiunto – tradotto in inglese – un gran numero di lettori; ma, più ancora, per il film di Duilio Coletti Sotto dieci bandiere (1960), una produzione italio-americana che mette particolarmente in evidenza le doti umane del comandante tedesco, impersonato dall’attore Van Heflin.

Ma il Pinguin meriterebbe di essere ricordato anche di più, se è vero che, nella carriera di una nave corsara, oltre al numero delle prede (che Mohr, assai impropriamente, chiama vittorie) e al tonnellaggio delle navi nemiche affondate, contano elementi di valutazione di tipo meno appariscente, ma non meno significativi, quali l’audacia, la determinazione e la capacità di improvvisare una linea d’azione, anche nelle situazioni più difficili o impreviste.

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Francesco Lamendola, laureato in Lettere e Filosofia, insegna in un liceo di Pieve di Soligo, di cui è stato più volte vice-preside. Si è dedicato in passato alla pittura e alla fotografia, con diverse mostre personali e collettive. Ha pubblicato una decina di libri e oltre cento articoli per svariate riviste. Tiene da anni pubbliche conferenze, oltre che per varie Amministrazioni comunali, per Associazioni culturali come l'Ateneo di Treviso, l'Istituto per la Storia del Risorgimento; la Società "Dante Alighieri"; l'"Alliance Française"; L'Associazione Eco-Filosofica; la Fondazione "Luigi Stefanini". E' il presidente della Libera Associazione Musicale "W.A. Mozart" di Santa Lucia di Piave e si è occupato di studi sulla figura e l'opera di J. S. Bach.

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