La concezione della storia di Vico

Giambattista Vico (Napoli, 23 giugno 1668 – 23 gennaio 1744)
Giambattista Vico (Napoli, 23 giugno 1668 – 23 gennaio 1744)

La grande crisi nella coscienza storica che si manifestò nel periodo che intercorre tra Voltaire e Bossuet trovò la sua espressione più significativa nell’opera di Gianbattista Vico intitolata La Scienza nuova. Dobbiamo mettere in evidenza che la brillantezza intellettuale di Vico non fu compresa dai suoi contemporanei, cosicché egli visse in povertà ed inoltre fu quasi ignorato dai suoi contemporanei.

Prima di cominciare a prendere in considerazione la concezione della storia di Vico vogliamo riassumere quello che egli scrisse in una lettera spedita ad un amico. In tale lettera Vico dice testualmente che dopo aver pubblicato la sua opera a Napoli nel 1725 ebbe l’impressione di averla pubblicata non in una grande città ma in un deserto, in quanto tutti coloro ai quali Vico aveva inviato una copia della sua opera quando lo incontravano facevano finta di niente, non davano il minimo segno di averla ricevuta e non dicevano neanche una parola sull’idea che si erano fatta dell’opera. Nella lettera Vico ammette che sentendosi umiliato dal comportamento adottato da quelli che avevano letto la sua opera, evitava di frequentare i luoghi pubblici, proprio per non incontrare nessuno di coloro ai quali aveva inviato la Scienza nuova. Nonostante Vico facesse il possibile per stare lontano dai luoghi più frequentati di Napoli, quando si verificava un incontro con qualcuno che aveva ricevuto una copia del libro, Vico lo salutava in maniera frettolosa senza fermarsi neanche un minuto a parlare.

Nonostante il fatto che il libro non ebbe successo Vico era consapevole di avere creato qualcosa di nuovo e di duraturo: la prima ricostruzione empirica della storia umana, sebbene in tale ricostruzione siano presenti alcuni elementi contraddittori o quanto meno poco chiari.

Il motivo per il quale Vico ebbe risultati così deludenti dalla pubblicazione della sua opera è molto semplice: le idee che egli vi esprimeva erano totalmente ed assolutamente in contrasto con le idee prevalenti nella sua epoca, nella quale dominavano incontrastate le idee di Cartesio. Secondo Cartesio l’unica vera scienza era la nuova scienza naturale fisico-matematica. Di conseguenza per Cartesio la storia non poteva essere considerata una scienza. Al contrario, Vico sosteneva che la storia era una scienza, fatto che oggi ci sembra una cosa ovvia ma che al tempo dell’autore napoletano sembrava un’affermazione priva di senso proprio perché dominavano le idee di Cartesio. Il filosofo francese partì dall’idea molto radicale che bisognava dubitare di tutto ciò che non era completamente certo, per giungere attraverso il dubbio metodico a costruire una scienza vera, spazzando via l’edificio costruito da quelle che Cartesio considerava delle pseudoscienze. Tra tali pseudoscienze Cartesio includeva anche le scienze storiche. Secondo il filosofo francese gli storici che pretendevano di conoscere la storia dell’antica Grecia o dell’antica Roma ne sapevano meno di quello che sapevano un cuoco o un contadino che erano vissuti nell’antica Grecia e nell’antica Roma. A dire di Cartesio la conoscenza del latino non era sufficiente per comprendere la storia romana. Molto famosa era la frase di Cartesio che ora citeremo: “La domestica di Cicerone conosceva meglio del miglior storico dei tempi di Cartesio gli avvenimenti storico-politici che avevano avuto Cicerone come protagonista”. Cartesio pensava che solamente le scienze naturali erano vere scienze, in quanto con l’aiuto delle idee matematiche (per Cartesio la matematica era il vero linguaggio della natura) potevano giungere a conoscenze certe e non inficiate da affermazioni pseudoscientifiche. Per dirla in altro modo, Cartesio pensava che il mondo fisico poteva essere ricostruito scientificamente con l’ausilio delle idee matematiche.

Vico, pur vivendo in un’epoca dominata dalle idee cartesiane, si permise il lusso di capovolgere completamente il concetto di scienza elaborato da Cartesio, sostenendo che l’unica vera scienza era la storia, definita dal filosofo francese una pseudoscienza. Vico si scagliò contro le idee cartesiane non solo sostenendo che la storia era una vera scienza, ma negando la possibilità che l’uomo potesse conoscere il mondo fisico, cosicché per Vico la scienza naturale tanto esaltata da Cartesio non era una scienza, perché conoscere il mondo fisico era al di fuori della portata delle capacità dell’intelletto degli uomini. Ma su quali basi Vico affermava che gli uomini potevano conoscere scientificamente solo la storia, mentre non potevano avere una conoscenza scientifica del mondo fisico e naturale?

Secondo Vico l’uomo poteva conoscere scientificamente solo la storia perché gli esseri umani erano i creatori della storia. Al contrario, gli uomini non potevano conoscere il mondo naturale – il cosmo fisico – perché l’universo non era stato creato dagli uomini, ma da Dio. Proprio perché l’universo era una creazione divina solamente Dio poteva conoscerlo perfettamente. Possiamo dire che Vico si presentava agli occhi dei suoi contemporanei come l’Anticartesio per eccellenza, e per questo motivo l’autore napoletano venne completamente emarginato in tutti gli ambienti intellettuali totalmente affascinati dalla filosofia di Cartesio.

Dopo aver spiegato i motivi che determinarono l’emarginazione di Vico da parte dei suoi contemporanei ed i deludenti risultati ottenuti con la pubblicazione della “Scienza nuova”, esporremo ora le principali idee presenti nell’opera di Vico.

Possiamo dire in maniera molto sintetica che la vera protagonista della storia è per Vico la Provvidenza, considerata dall’autore napoletano la legge dalla quale la storia riceve la sua direzione ed il suo ordine. Secondo Vico non può esservi alcun mondo storico fondato sull’ateismo poiché tutte le civiltà, le leggi e le istituzioni che hanno caratterizzato in tutti i periodi storici il mondo degli uomini si fondavano su qualche forma di religione, sia essa vera o falsa, cristiana o pagana. Anche gli uomini primitivi secondo Vico non erano privi di senso religioso e di istituzioni sacre. A detta dell’autore napoletano quanto più l’uomo è primitivo tanto più egli si sente sopraffatto dalla potenza della natura, ragion per cui l’uomo primitivo più di quello in possesso di conoscenze sofisticate desidera credere nell’esistenza della divinità, considerata una potenza superiore in grado di salvarlo dalla potenza e dai pericoli presenti nella natura.

L’uomo primitivo si rendeva conto che, se da un lato doveva avere timore della divinità se non tributava ad essa onore e sacrifici, dall’altro era consapevole che poteva procurarsi la protezione degli dei, che essendo superiori alla natura potevano proteggere gli uomini dal potere delle forze naturali. Vico mette in evidenza anche che a suo dire la parola divinitas derivava da divinatio, l’arte di prevedere e di indovinare ciò che la potenza divina voleva dagli uomini. Per dirla in altro modo, l’interrogazione degli oracoli che era presente anche nelle antiche civiltà era finalizzata a conoscere la volontà divina riguardo alle azioni politiche, militari e sociali dell’uomo.

Cerchiamo ora di approfondire il concetto di provvidenza presente nel pensiero di Vico. Secondo Vico l’uomo abbandonato a sé stesso è tiranneggiato dall’egoismo, dedito soltanto alla sua utilità personale che finirebbe per distruggere tutta la vita sociale e storica se fosse lasciata libera di raggiungere i suoi scopi. Soltanto la provvidenza divina, secondo Vico, può tenere a freno l’egoismo degli uomini: tale egoismo porterebbe l’uomo a distruggere l’intera razza umana facendola sparire dalla faccia della Terra. In sintesi Vico afferma che la provvidenza trasforma i vizi naturali degli uomini, che cancellerebbero tutta l’umanità dal globo terrestre, in una “felicità civile”.

Malgrado la sua origine soprannaturale la provvidenza così come Vico la concepisce agisce tuttavia in modo così naturale da identificarsi con le leggi sociali dello sviluppo storico. Di conseguenza egli non attribuisce alla provvidenza quel carattere trascendente e miracoloso che caratterizza, per fare un esempio, la concezione della provvidenza presente nel pensiero di Agostino. Secondo Vico Dio è così onnipotente che può dirigere il corso degli eventi storici utilizzando esclusivamente i mezzi naturali presenti nella storia stessa. In ogni caso Vico è d’accordo con gli autori cristiani per quanto riguarda la concezione della natura umana, considerata da Vico troppo corrotta e troppo debole per trasformare l’anarchia in ordine ed i vizi in pregi.

L’esaltazione della provvidenza si accompagna in Vico ad una polemica contro la fede nel fato, e nel caso degli stoici e degli epicurei Vico sostiene che la differenza tra la provvidenza e il fato o il caso sta nel fatto che la provvidenza per conseguire il suo fine universale si serve della libera, anche se corrotta, volontà umana. Al contrario la dottrina del fato elaborata dagli stoici nega totalmente il valore della volontà umana e della libertà degli uomini. Vico cerca di salvare sia il principio della provvidenza che domina la storia e indirizza il corso degli eventi in una determinata direzione, sia la libertà della volontà umana. A tale scopo (salvare provvidenza e libero arbitrio) Vico sottolinea più volte con estrema fermezza che la provvidenza si serve della volontà corrotta degli uomini senza eliminare tale libero arbitrio umano.

Tuttavia nonostante tutti gli sforzi di Vico appare evidente che nella concezione vichiana la provvidenza e la libertà degli uomini non hanno lo stesso peso. Il fatto che la provvidenza è più importante della volontà degli uomini è dimostrato dal fatto che, alla fine, l’ultima parola tocca sempre alla provvidenza, che imprime alla storia il corso che giudica più appropriato.

Un altro punto controverso e discusso del pensiero vichiano è la distinzione che lo scrittore fa tra la vera religione e le religioni false, tra il cristianesimo ed il paganesimo. Per Vico la religione cristiana e le religioni pagane sono sullo stesso piano benché la religione cristiana sia quella vera e quelle pagane siano false religioni. Per giustificare questa conclusione piuttosto spregiudicata alla quale egli giunge, afferma che ciò che unisce e mette sullo stesso piano la religione cristiana e quelle pagane è che sia l’una che le altre sono state volute dalla provvidenza in periodi storici diversi. Ma come può la provvidenza stabilire una continuità tra la fede pagana in Giove, il dio del cielo, del tuono e del fulmine, a cui le nazioni pagane attribuivano il potere di comandare sia sugli uomini che sugli dei, con la vera fede del Dio cristiano? Certamente la risposta che Vico dà a questa domanda è uno dei punti cardine del pensiero vichiano. La risposta che Vico dà a questa domanda di fondamentale importanza è che la provvidenza, la quale nella storia provvede alla conservazione del genere umano, ha condotto le prime generazioni umane alla verità attraverso l’illusione delle false religioni pagane poiché in quel periodo storico gli uomini erano incapaci di comprendere la vera religione. Quindi l’unico scopo della provvidenza è quello di impedire che gli esseri umani, a causa della loro natura corrotta, si autodistruggano facendo in tal modo sparire la razza umana dal pianeta Terra. Nei tempi antichi la provvidenza si servì delle false religioni pagane proprio per evitare che gli uomini si autodistruggessero.

La provvidenza, non essendo ancora gli uomini in grado di comprendere la vera religione, dovette manifestarsi ai pagani col tuono e col fulmine per rendere gli uomini di quel periodo storico religiosi e civili suscitando in loro un forte timore nei confronti della divinità. Nella religione pagana Giove era il capo degli dei che spesso si manifestava agli antichi greci e romani con tuoni e fulmini terribili ed inoltre spesso puniva la hybris umana con durissime punizioni. Tale punizione nel mondo greco prendeva il nome di nemesis, per cui possiamo dire che nel paganesimo aveva molta importanza questo schema: gli uomini compivano azioni malvagie, oppure diventavano troppo superbi ed arroganti convincendosi di poter raggiungere qualsiasi traguardo (così cadevano nella hybris); a questo punto spesso si scatenava la nemesis divina, che serviva sia a far in modo che gli uomini si rendessero conto dei loro limiti rinunciando alla superbia, sia a fare in modo che gli uomini, per timore della punizione divina, smettessero di compiere azioni malvagie.

Dobbiamo anche tenere presente che nella religione greca e romana gli uomini erano soliti tentare di propiziarsi il favore di Giove e di tutte le altre divinità pagane al fine di essere protetti dai vari pericoli che li minacciavano sia in tempo di pace sia in tempo di guerra. Di conseguenza nella religione pagana greca e romana avevano molta importanza i sacrifici che i sacerdoti compivano per assicurare sia alla comunità, sia al singolo individuo, il favore degli dei. Giove in particolare non era visto solo come una divinità che puniva gli uomini, ma anche come un dio che li aiutava. Anche le altre divinità olimpiche a volte erano considerate come divinità capricciose che potevano anche colpire gli uomini per colpe non particolarmente gravi o semplicemente perché giudicavano insufficienti i sacrifici che gli uomini compivano in loro onore, mentre altre volte erano viste come divinità che proteggevano gli uomini dai vari pericoli che li minacciavano.

Vico descrivendo nella Scienza nuova la fine del mondo e della religione pagana, nonché la nascita della religione cristiana e la sua graduale affermazione non parla di Gesù Cristo come fulcro della storia mondiale. Molto più importante dell’incarnazione di Cristo è per Vico la descrizione delle istituzioni del cristianesimo primitivo e del modo in cui tali istituzioni crearono un nuovo mondo diverso da quello pagano. Di conseguenza Vico nella sua opera, pur essendo un cristiano convinto, non parla molto della vita e della missione che Dio aveva affidato a Gesù. Vico vede nell’inizio dell’era cristiana soprattutto un ricorso storico, una seconda epica età barbarica (più avanti parleremo della teoria dei corsi e ricorsi storici che costituiscono senza dubbio la teoria più famosa del pensiero di Vico). Il nuovo corso storico comincia per Vico dopo il tramonto di Roma: tale nuovo corso ha come fulcro non più il culto di Giove e degli altri dei pagani ma la religione cristiana, che Vico considera l’unica vera religione rivelata da Dio. Tuttavia in Vico non c’è nessuna presenza di una tendenza apologetica, anche se come abbiamo detto prima egli si riconosceva pienamente nella religione cristiana e non dubitava minimamente che essa fosse la vera religione. Possiamo dire in sintesi che nella sua opera Vico non si pone come fine quello di difendere la religione cristiana, come pure non si pone il fine di attaccare e criticare la religione pagana. Nello stesso tempo però Vico nella sua opera esaltò spesso le virtù eroiche dei pagani come la forza, la prudenza e l’amore per la gloria. Appare senza dubbio evidente nella Scienza nuova il fatto che Vico era fortemente affascinato dal mondo pagano, e attribuiva grande importanza alle tradizioni, ai valori e al livello culturale che caratterizzarono il mondo greco e romano. In particolare Vico mostrò molto interesse per la mitologia greca e romana, che egli giudicò degna del massimo rispetto e non semplicemente un insieme di assurdità. Come sostenne più tardi anche Schelling, Vico era fermamente convinto che bisognava studiare con attenzione la mitologia pagana, perché da tale studio si potevano approfondire le conoscenze intorno al mondo greco e romano.

Prima di occuparci della teoria dei corsi e ricorsi storici riteniamo opportuno metter in evidenza che soltanto occasionalmente Vico parla nella sua opera del carattere e dell’origine divina della religione cristiana e parimenti soltanto occasionalmente mette in evidenza il fatto che il popolo ebraico era diverso da tutti gli altri popoli, in quanto Dio lo aveva scelto come il suo popolo eletto. Comunque, tutte le volte nelle quali Vico parla degli ebrei mette in evidenza che tale popolo rappresenta un’eccezione rispetto alla natura e allo sviluppo comune di tutti gli altri popoli. Proprio perché gli ebrei erano il popolo eletto da Dio essi, a differenza di tutti gli altri popoli che dovettero attraversare un’età divina e un’età eroica per giungere alla terza età dominata dalla razionalità, grazie alla particolare rivelazione che Dio concesse loro giunsero alla età degli uomini dominata dalla razionalità senza dover passare prima attraverso le due età che precedono le età degli uomini. Proprio perché Vico riconobbe il carattere eccezionale del popolo ebreo rispetto a tutti gli altri popoli non lo inserì nel suo schema storico dal momento che il fatto di essere il popolo eletto lo sottraeva alle regole che sono alla base dell’evoluzione storica.

Detto ciò possiamo finalmente occuparci della principale teoria di Vico, ovvero la teoria dei corsi e ricorsi storici, che ci permetterà di comprendere fino in fondo la complessa concezione della storia vichiana. Seguendo un’antica tradizione egiziana Vico afferma che la storia è caratterizzata dall’esistenza di tre età che ciclicamente si ripetono (vogliamo subito mettere in evidenza che nel pensiero vichiano la concezione ciclica della storia occupa un posto di fondamentale importanza, sebbene tale concezione della storia sia incompatibile con il concetto cristiano di storia, poiché per il cristianesimo la storia presenta un andamento lineare e non è assolutamente ciclica. La concezione ciclica della storia era riscontrabile nel mondo pagano sia nell’antica Grecia sia a Roma).

Vico distingue tre età che ciclicamente si ripetono sempre e comunque: l’età degli dei, l’età degli eroi e l’età degli uomini. Per quanto riguarda l’età degli dei, Vico dice che essa è caratterizzata dal fatto che gli uomini vivono sotto un regime strettamente teocratico e prima di compiere qualsiasi azione e qualsiasi scelta sono soliti interrogare gli oracoli, che a dire di Vico sono le più antiche istituzioni della storia.

Dopo l’età degli dei segue l’età degli eroi, la quale è caratterizzata non più dalla teocrazia, ma dal dominio delle classi aristocratiche che sostengono di aver il diritto di comandare e di governare gli Stati in quanto sono superiori per natura ai plebei, al popolo.

Dopo l’età degli eroi le civiltà umane entrano nell’età degli uomini. In tale età tutti gli individui sono convinti dell’uguaglianza della loro natura umana e respingono nella maniera più assoluta la pretesa degli aristocratici di governare gli stati mediante regimi oligarchici. In tale età si affermano i principi della democrazia e della libertà.

L’età divina è caratterizzata dalla teocrazia, quella eroica può essere considerata l’età della mitologia mentre quella umana deve essere definita l’età della razionalità. Vico definisce le due prime epoche “poetiche” nel vero senso della parola, cioè fantasticamente creative. Queste tre età conducono gli uomini dall’anarchia all’ordine e dalla fantasia alla razionalità. Tuttavia non bisogna credere che nel pensiero vichiano esista l’idea di un progresso continuo dell’umanità verso stadi sempre più civili, in quanto gli uomini una volta giunti nella terza età vanno incontro ad un processo di decadenza e di regresso, per cui l’intera umanità ritorna di nuovo ad un nuovo stadio barbarico e deve ricominciare daccapo il suo cammino basato sui corsi e ricorsi storici. Secondo Vico il primo ricorso si è già verificato una volta e precisamente dopo il crollo di Roma col ritorno dell’epoca barbarica nel Medioevo. Quindi a detta di Vico noi stiamo vivendo nel secondo corso cominciato appunto con l’inizio del Medioevo in quanto il primo corso storico è finito con la caduta di Roma.

A questo punto il pensiero di Vico diventa molto problematico, e a dire il vero poco chiaro, perché egli non dice se alla fine di questo secondo corso storico (o primo ricorso storico) si avrà un terzo corso storico ovvero un secondo ricorso. Dobbiamo aggiungere che non solamente su questa questione il pensiero di Vico è poco chiaro, ma anche su altre questioni. Anzi, in alcuni casi Vico cade in vere e proprie contraddizioni. Per fare un esempio, non si riesce a capire come Vico riesca ad accettare una concezione ciclica della storia pur dichiarando più volte a chiare lettere di credere senza nessun dubbio nella religione cristiana, la quale esclude nella maniera più categorica qualsiasi tipo di concezione ciclica della storia, che renderebbe priva di senso l’incarnazione di Cristo. Per il cristianesimo la storia ha un andamento lineare, che parte con la creazione del mondo e termina con la seconda venuta di Cristo (parusia) che coinciderà con la fine del mondo e con la definitiva sconfitta del Diavolo. In ogni caso, a parte questa evidente contraddizione presente nel pensiero vichiano, pur non chiarendo se alla fine di questo corso storico vi sarà un terzo corso, Vico lascia supporre – tenendo presente le sue affermazioni considerate nella loro globalità – che vi sarà un terzo corso storico e dopo di questo anche un quarto, un quinto corso storico e così via all’infinito, dal momento che egli sostiene una concezione ciclica della storia. In sintesi la provvidenza secondo Vico serve solo a salvare l’umanità dall’autodistruzione, ma non assicura un miglioramento progressivo dell’umanità e quindi tutti questi corsi e ricorsi storici non servono a raggiungere alcun fine trascendente (ad esempio la realizzazione del Regno di Dio sulla Terra che secondo la Bibbia è il fine ultimo della storia) ma neanche un fine prettamente umano, come ad esempio il progresso scientifico dell’umanità o la costituzione delle condizioni per permettere un progressivo ma costante miglioramento culturale del genere umano.

Vico stesso si rende conto che la sua idea di provvidenza che ha come unico scopo di evitare l’autodistruzione del genere umano è poco convincente. Il fatto che Vico abbia percepito questo problema insito nella sua concezione di provvidenza è provato indirettamente dal fatto che egli verso la fine della sua opera prende in considerazione la possibilità che il processo storico guidato dalla provvidenza abbia un suo fine ultimo, che dia un senso alla storia stessa. Egli riflette sulla situazione politica che esisteva nel suo periodo storico, caratterizzata dal fatto che le monarchie cristiane, che regnavano non solo in Europa, ma anche su popoli non europei, stavano diffondendo anche tra le popolazioni extraeuropee la religione predicata da Cristo. Secondo Vico la predicazione della religione cristiana voluta da tali monarchie in altri continenti stava creando un’umanità migliore, che col tempo si sarebbe diffusa tra tutti i popoli della Terra. Tuttavia Vico esprime in maniera molto confusa questo concetto di miglioramento progressivo della razza umana grazie all’azione di evangelizzazione. Inoltre dobbiamo anche mettere in evidenza che tale concetto espresso da Vico nella parte finale della sua opera lo fa cadere in un’evidente contraddizione con tutto quello che ha affermato sulla provvidenza in quasi tutto il resto della sua opera, ove ha sempre affermato che l’unico fine della provvidenza è salvare il genere umano dall’autodistruzione. Quindi possiamo ribadire che questa idea espressa nell’ultima parte della Scienza nuova è la prova inconfutabile che Vico si è reso conto che la sua idea di provvidenza era un’idea poco credibile e anche in contrasto con la concezione cristiana di provvidenza. In sintesi la concezione vichiana della provvidenza è un limite presente del suo pensiero, un evidente punto debole della sua concezione della storia.

Il problema di fondo è che l’opera di Vico si presenta fortemente ambigua in diversi punti. Si potrebbe dire che il pensiero vichiano si colloca a metà strada tra Voltaire e Bossuet, cercando di conciliare l’inconciliabile: proprio questo tentativo di conciliare idee non compatibili tra loro è la principale causa delle contraddizioni e delle ambiguità presenti nel pensiero di Vico. Egli non sostituisce alla provvidenza come Voltaire un progresso continuo del genere umano dovuto esclusivamente all’intelligenza dell’uomo e non a Dio ma non accetta nemmeno l’idea di Bossuet di una provvidenza trascendente che si pone fini molto più ampi della provvidenza vichiana. Per dirla in altro modo, Vico ha cercato di formulare una concezione della storia che comprendeva elementi del pensiero pagano e del pensiero cristiano, cosicché non poteva che cadere in contraddizioni e in affermazioni poco chiare ed ambigue.

L’ambiguità dell’opera di Vico è dimostrata anche dal fatto che la sua opera fu soggetta subito ad una grande varietà di interpretazioni molto diverse tra loro. Ora citeremo tre di tali interpretazioni che dimostrano come le teorie di Vico davano spazio addirittura ad interpretazioni totalmente opposte tra loro. La prima interpretazione che citeremo è quella del giornale dell’Accademia di Lipsia, che avanzò l’idea che addirittura Vico fosse un gesuita molto conservatore che aveva scritto la sua opera con l’unico scopo di costruire una concezione della storia finalizzata a svolgere un’azione apologetica a favore della Chiesa Cattolica romana.

La seconda interpretazione che citeremo è quella dei cattolici conservatori italiani che attaccarono l’opera di Vico perché videro nel pensiero vichiano un tentativo di mettere in dubbio la concezione biblica della storia nonché il potere trascendente che Dio esercita sulla storia stessa.

Infine, i socialisti anticlericali italiani esaltarono molto l’opera di Vico, e la ristamparono e la diffusero in tutti i modi alla fine del XVIII secolo, perché considerarono la Scienza nuova un’arma che poteva servire loro per preparare più facilmente la rivoluzione che essi intendevano scatenare quanto prima.

In sintesi Vico è apparso agli autori della prima interpretazione un gesuita conservatore e reazionario al servizio della Chiesa Cattolica; ai cattolici conservatori è apparso un eretico che voleva negare la concezione biblica della storia, mentre ai socialisti italiani anticlericali è apparso un autore che esprimeva idee rivoluzionarie molto vicine alle idee socialiste.

Appare evidente che queste tre interpretazioni totalmente opposte tra loro sono dovute esclusivamente alle ambiguità e alle contraddizioni del pensiero di Vico, che come abbiamo detto si considerava un cattolico che non metteva assolutamente in dubbio che la sua religione era l’unica vera.

A nostro avviso Vico non si rese pienamente conto che la sua concezione della storia conteneva una critica implicita della concezione biblica della storia, poiché egli, essendo molto affascinato dal mondo classico, voleva a tutti i costi conciliare la concezione ciclica della storia tipica del pensiero pagano con la concezione biblica della storia. Comunque nella concezione storica di Vico sono presenti molti elementi interessanti che ci spingono ad affermare che nonostante queste contraddizioni ed ambiguità Vico è un pensatore degno della massima ammirazione, che senza dubbio avrebbe meritato più rispetto e considerazione da parte dei suoi contemporanei.

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4 Responses

  1. gugli
    | Rispondi

    molto chiaro e ben concertato

    complimenti al commentatore

  2. Idee | ilcantooscuro
    | Rispondi

    […] a chi non affascinano quei bestioni, e sul tema dell’Hydropunk, in un’ottica vichiana, sul passaggio ciclico tra l’età degli uomini a quella degli dei, e qualche riflessione sull’hard science […]

  3. Alessandro A. Papandreu
    | Rispondi

    Articolo che sintetizza in maniera ottima per la pratica e fa rilevare le idee di Giambattista Vico, riguardanti la Storia.
    Mi ha aiutato di ripensare i miei studi presso la Scuola Italiana di Atene, negli anni 1961-1967 ,studi ginasiali e liceali, i quali ero molto fortunato di avere con degli ottimi professori
    italiani. Mi ricordo del mio professore di Lingua e Letteratura Italiana, Alfredo Mera, oriundo di Milano che penso che puo’ essere ancora in vita.Oggi ho 68 anni e sono neurochirurgo-primario, in pensione, presso un centralissimo ospedale di Atene. Grazie a tutti i pensatori italiani che mi hanno aperto la mente e la mente di tutta l’umanita;.

  4. Mario Bellotti
    | Rispondi

    A me pare che la critica alla contraddittorietà e confusione del pensiero vichiano sulla provvidenza divina, generatore di tre opposte interpretazioni (a cui aggiungere la quarta riportata nel presente articolo: la concezione biblica della storia strettamente “lineare”), possa essere letta in verso capovolto, ovvero come la necessità di svolgere il nucleo della filosofia di Vico, rimasto solo parzialmente compreso e dal quale si tralasciano ogni volta pezzi diversi.
    Da una parte, la concezione implicita che ha Vico dell’unica vera religione cristiana versus tutte quelle pagane va necessariamente immersa nell’humus culturale della sua Napoli, la capitale europea più prossima a Roma, più che legarla al singolo Bossuet.
    Dall’altra parte, ritengo che l’autore dell’articolo sopravvaluti il valore di Scienza che noi contemporanei attribuiamo alla Storia, tuttora largamente inferiore a quello che le attribuiva Vico: egli chiede, più o meno esplicitamente, che gli strumenti della matematica e delle altre “scienze pure”, gelosamente custoditi da Cartesio nella loro astrattezza, siano invece messi al servizio della ricostruzione e comprensione della Storia creata dall’Uomo, senza timore di contaminare le une e l’altra.
    Infine, i cicli storici sono categorie per così dire matematiche che Vico raccoglie e propone per studiare antropologicamente il progresso civile, il quale – a differenza della Provvidenza monodirezionale e linearmente orientata verso l’Alto – può avere e ha in effetti un andamento sinusoidale.
    Lo stile in cui scrive Vico è senz’altro ostico, ma la sostanza del suo pensiero ben più chiara e luminosa di quanto ingenerosamente scritto qui.

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