Il vuoto e le cianfrusaglie

Perché questa apparente incompatibilità fra centrodestra e cultura? I termini sono stati giustamente indicati da Stenio Solinas: perché Forza Italia non ha mai avuto un vero interesse alla cultura, quanto alla managerialità della politica, e quindi la cultura può essere anche quella degli avversari; mentre Alleanza Nazionale ha imboccato la strada della schizofrenia culturale, perché (aggiungo io) ha paura della sua cultura d’origine.

Già nel ’95 si polemizzò su queste colonne a proposito dello stesso argomento. Se ne vedono gli effetti pratici: Urbani, ministro dei Beni Culturali di FI, passerà alla storia solo per aver «sdemanializzato» la Venere di Cirene in modo da regalarla a Gheddafi, e per aver rimandato in Etiopia la Stele di Axum. An, fatto sintomatico, non si è mai voluta prendere in carico quel ministero, eccetto nel ’94, eppure era il partito che aveva alle spalle la più solida cultura del centrodestra, ma…

Ma, a partire dal Congresso di Fiuggi, ha cominciato a riposizionarsi per la paura di essere «troppo di destra». Maldestramente, si deve dire. Ha man mano dismesso la sua tradizione culturale, ancorché estremamente variegata, prima per non scegliere, poi per scegliere una via di mezzo liberal-cattolica indicando a un certo punto come riferimenti addirittura Don Sturzo ed Einaudi, infine per approdare a una cultura che definirei movimentista, che cerca di fare il verso a quella di sinistra con riscoperte e appropriazioni che in sé non sono un male, come ha notato Solinas, purché non siano del tutto indebite.

Il risultato è una grande confusione. Il vuoto apertosi alle spalle di An lo si riempie con tutto quel che capita a tiro, comprese le cose inutili, le cianfrusaglie e le patacche. Si vedano a esempio le icone scelte dall’ultima kermesse di Azione Giovani, quasi tutti illustri sconosciuti tratti dalla «società civile», non certo simboli per mobilitare i ragazzi. La scoperta di un neo-antifascismo radicale, fatta in quella occasione, non è stato soltanto un fatto politico, ma ha avuto indubbie ricadute sulla cultura, sancendo la fine dei punti di riferimento ancora più o meno validi. Se, come si è ammesso, si è sbagliato tutto e hanno ragione gli avversari, ovvio che ha anche ragione e ha vinto dal punto di vista ideale la loro cultura, quella di sinistra ancorché «democratica». Di conseguenza, mi sembra logico che si vada alla ricerca di nuovi riferimenti, sia a livello alto che popolare, per sostituire quel che si è abbandonato (senza il minimo dibattito ma calando diktat dall’alto).

Però per far questo occorrono solidi punti di riferimento valoriali e simbolici che a questo punto non si hanno più: tutto fa brodo. Al contrario bisognerebbe scegliere e appropriarsi di una «visione del mondo» che però non esiste più. Ecco il perché della confusione e della provocazione fine a se stessa. Ed ecco il motivo per cui il Partito, o Popolo della Libertà che sia, si accinge a diventare una nuova versione della «balena bianca»: la «politica del fare» a noi, mentre agli avversari, alla sinistra in genere, al Pd che sia, la cultura… La meta non è infatti il grande calderone democristiano del Partito Popolare Europeo?

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Tratto da Il Giornale del 3 dicembre 2008.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

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