Il pensiero come a priori assoluto: una sintesi operativa

Sin dai suoi esordi il pensiero umano, filosofico prima, scientifico poi, si è posto come obiettivo la ricerca del fondamento del sapere, in quello che via via si presentava come suo campo d’indagine. La filosofia ha cercato l’assoluto fondamento dell’essere esistente, scorgendolo prima nell’arché dei fisici milesi. Sostanze materiali pervase dal divino, theòs, erano l’acqua, l’aria, il fuoco, l’indefinito(apèiron). Si passò poi al gioco dei contrari, dei complementari, degli opposti, governato dal Logos, la ragione, l’ordine armonico del Tutto con cui il pensiero umano scorgeva una certa affinità e analogia.

Fu la volta, poi, del numero, cifra di ciò che il genio greco chiamò Kosmos. Si arrivò infine ai Sofisti che posero l’accento su un aspetto molto importante, la relatività del sapere nei confronti dell’uomo che pensa ed intuisce tale sapere. Con Socrate e Platone la Filosofia prese la strada della trascendenza; liberatasi dalle antiche rivelazioni può liberamente e razionalmente rivolgersi alle realtà ultra sensibili. Realtà ultrasensibili, infatti, sono le idee, le essenze, le forme archetipiche delle realtà sensibili. Ma realtà ultrasensibili sono anche gli atomi e il vuoto di Leucippo e Democrito. Il pensiero ha acquisito la sua autonomia.

fisicaCon Aristotele il pensiero, così fortificato e liberato, può di nuovo immergersi con novello spirito nel sensibile e percorrere sicuro la strada dell’immanenza. Le idee iperuranie, le essenze ultrasensibili , il pensiero autonomo, razionale, si tuffa nel sensibile, per capirne e svelarne i nessi nascosti e le connessioni necessarie; è la scienza ellenistica. Ma allo stesso tempo il pensiero percorre la sua strada in autonomia, volgendosi al mondo dell’interiorità, a ciò che nell’individualità cosciente ha maggiore affinità con le pure idee: il Nous, l’Egemonikòn, l’Hen, la Luce intellegibile. Siamo all’aphele panta di Plotino, l’esigenza dell’Io di distinguersi da tutto ciò che è altro da sé.

Tale processo ha un suo corrispettivo in Oriente con la nascita e lo sviluppo del Buddhismo (evidentemente non in senso sincronico ma diacronico e tipologico). Cos’è il messaggio del Buddha, infatti, se non un richiamo possente all’autonomia interiore, alla liberazione della mente e di quella che è la sua essenza connaturata, vimala prabhā, luce immacolata auto cosciente ed auto sussistente. Alla stessa libertà e autonomia spingono i sistemi tantrici, in particolare quelli dello Śivaismo, che analizzeremo con una certa cura nel prosieguo. In essi comincia ad albeggiare la necessità di osservare il pensiero discorsivo, quello che il Buddhismo delle origini e la sapienza upanişadica spingevano ad abbandonare, ad osservare con la pura coscienza, con una consapevolezza portata ad una auto sussistenza inusuale per l’uomo comune, il sorgere delle impressioni sensorie, o di sentimenti e stati d’animo; sorprendere istinti e passioni nel loro primo lampeggiare nell’animo e risolverli in quella che è la loro vera essenza, la pura luce autocosciente del pensiero. Scoprire che in essi, in particolare nel medio, cioè quando uno cessa e comincia l’altro, nell’interstizio tra un pensiero e l’altro, scorgere che proprio là lampeggia il potere di coscienza di Śiva, l’Io-sono.

In queste scuole si comincia ad avvertire l’importanza, per l’uomo del presente e profeticamente per quello che sarà l’uomo contemporaneo d’Occidente, nella prospettiva soteriologica e conoscitiva prospettata qui, del pensiero individuale, da questi venerabili maestri riconosciuto come la “strada maestra” nella “ascesa verso il Supremo”. Tutto questo appare come un processo per il quale la potenza metafisica dell’essere, il fondamento spirituale del mondo si riversa via via, in maniera sempre più spinta e totale nell’immanenza, nell’interiorità umana ed albeggia come facoltà di esprimere in concetti i nessi immateriale del mondo solido, della dimensione terrestre: è la nascita della scienza moderna. I primi scienziati moderni, Galilei, Keplero, Newton, Copernico, erano dei mistici del pensiero, la realtà del cosmo in essi si palesava nella forma di possenti immaginazioni congelate e sigillate nel linguaggio esatto e affilato della matematica. È come se in essi si ritrovasse l’antica scienza sacerdotale trasformata. Il mondo non si rivela più nel linguaggio liturgico della religione secolare, né nel linguaggio segreto e simbolico dei misteri né tantomeno nei rituali dell’antichità pagana. Il Divino ora si rivela nell’intuizione della legge scientifica, dei legami nascosti tra le realtà del cosmo, «se Dio si rivela, si rivela al pensiero», dirà Hegel, e aveva ragione; probabilmente non esiste forma più alta di rivelazione del divino, del Logos che regge e governa tutti i mondi, che il suo lampeggiare come in una nuova creazione nella mente umana, sotto forma di verità ultrasensibile dell’osservazione sensibile.

summa-pitagoricaSembrerebbe che quanto più il pensiero si purifichi, si distingua, diventi autonomo, da un lato, tanto più dall’altro esso si immerga nel sensibile riaffiorandone come intuire scientifico. Ma veniamo ad analizzare il processo interiore che porta alla scoperta dell’assoluta autonomia del pensiero. Da un punto di vista storico si può dire che le idee filosofiche occidentali che maggiormente influenzarono il pensiero, in un’epoca che grosso modo coincide coi primi secoli della nostra èra furono certamente, insieme allo Stoicismo romano, quelle del Neoplatonismo di Plotino (III sec. d.C.)[1] e dei suoi epigoni, Porfirio, Proclo e Giamblico. Tra l’altro, molto probabilmente Ammonio Sacca, maestro di Plotino e di Origene, padre Cristiano, ebbe contatti con maestri buddhisti discendenti dei missionari inviati nel III sec. a.C. da Aśoka, l’imperatore della dinastia Maurya. Una comunità buddhista, inoltre, è testimoniata ad Alessandria d’Egitto da Clemente alessandrino nel II sec. d.C. . Ma al di là di contatti storicamente attestati ed influenze esteriori, quello che interessa è che un anelito simile, sia nato quasi contemporaneamente, per vie differenti e connaturate alle sensibilità che ebbe ad incontrare, in Occidente ed in Oriente.

In Oriente, come si diceva, si assiste allo sviluppo di scuole di pensiero più attente alle facoltà spirituali individuali che non alla liberazione da esse. In seno al Buddhismo si sviluppano le scuole della Sola Mente (citta-matra), con Vasubandhu (IV sec. d.C.) prima e i maestri Śantarakşita e Kamalaśila (VIII sec. d.C.) poi, attenti a mostrare la natura essenzialmente mentale, di percezioni e stati d’animo, oltre che di categorie apparentemente inoppugnabili nella loro oggettività come spazio, tempo e materia, attraverso una “sillogistica” raffinata e sottile, che sapienti quali Diññaga e Darmakirti, avevano già portato ad una perfezione mai raggiunta in Oriente. Servendosi della logica del paradosso, d’altro canto, già il grande Nagarjuna, nelle celeberrime Stanze del cammino di mezzo, (Madyamaka karikā) attraverso paradossi via via più iperbolici aveva dimostrato (II sec. d.C.) l’equazione Nirvāņa-Samsāra: l’identità essenziale tra la mente liberata e trasfigurata nel suo archetipo universale e il mondo fenomenico dominato dalla triade rāga, dveşa e avidyā (attaccamento, avversione, ignoranza), quale modalità assoluta di esperire il medesimo contenuto, oggetto e movente dei moti disordinati dell’animo. Sarà delle opere del ciclo del Kālacakra tantra (il tantra della ruota del tempo), infatti, in particolare i commentari scritti o attribuiti al grande maestro e mago himalayano Naropā (956 – 1041 d. C.) , l’immagine del fiore di luce-coscienza che sboccia nel deserto della vacuità, vacuità che, paragonata alla visione di una vergine che partorisce nell’etere (quindi vuota e senza appoggio o nesso causale alcuno che non sia la mente stessa), divora ogni appoggio e trafigge da parte a parte essere e non essere.

upanisadSul versante Hindù si assiste ad un processo simile, con il fiorire delle scuole śivaite e vişnuite della mano sinistra, scuole che con una penetrazione sempre più sottile dei processi mentali, porteranno a grande chiarezza la necessità di conoscere i moti più sottili della mente individuale e non semplicemente evitarli, il che costituisce probabilmente un unicum nella storia spirituale dell’India. In opere come il Vijñāna Bhairava (la conoscenza del tremendo) o le Spanda Karikā (strofe della vibrazione) e nelle grandi epitomi in versi dei maestri del Kaśmir, Somānanda, Utpaladeva e Abhinavagupta, troviamo un potente impulso a conoscere i più sottili processi e moti della mente, nelle trame della vita quotidiana. Ad esempio nel Vijñāna B. (opera databile a cavallo dei secoli VII-VIII d.C.) quando si parla delle vie (112!) di accesso alla realtà suprema, al cuore spirituale, si consiglia, tra le altre, di portare l’attenzione sulla gioia cagionata ad esempio dalla vista di un proprio caro dopo lungo tempo o sulla percezione del sorgere dell’eccitazione conseguente all’abbraccio o all’immaginazione di una fanciulla, o sullo spavento che si prova allo spalancarsi improvviso di un precipizio davanti o quando si è in fuga da un campo di battaglia, ed in genere di fronte a tutti i moti dell’animo: ira, invidia, offuscamento, brama ecc…, nel manifestarsi di un dolore fisico o morale, o nel caso di tosse, starnuto ecc… oppure ancora al comparire improvviso di un evento qualsiasi; ebbene, chi riesca a stare davanti a tali oggetti o eventi con la mente concentrata, immota, priva di costruzioni mentali, in sintesi, chi riesca a realizzarne l’effetto sorpresa senza perderlo o esserne travolto, ebbene costui, sarà in grado di realizzare la natura di altrettante energie del Sé, di quei moti che nell’uomo comune causano, viceversa, l’attaccamento e sono fonte di ulteriore offuscamento. Nelle Spanda Karikā si consiglia, inoltre, di stare attenti all’intervallo tra un pensiero e l’altro, poiché è là che si schiude l’energia pensante, la forza che pervade entrambi ed è all’origine di essi. Infine, per completare questa brevissima rassegna, non possiamo esimerci dal citare Abhinavagupta, che, nel commento ad un’opera di Utpaladeva (Īśvarapratyabhijñā kārikā; Le strofe sul riconoscimento del Signore), dice senza metafore che anche nell’accorgersi di un oggetto che ci sta davanti, ad esempio un vaso, nell’atto istantaneo di comprendere che oggetto sia (diremmo noi, nel manifestarsi del concetto), nel momento in cui sorge la consapevolezza della sua natura: “ecco un vaso!” : si manifesta come in un lampo la potenza di conoscenza, il Logos del Signore, e quindi questo pensiero individuale va usato come strada privilegiata e abbreviata nella salita verso lo spirituale. Non occorre altro per capire come in questa singola affermazione ci sia tutto Hegel e tutta la scienza moderna nonché esplicito richiamo profetico alla moderna via allo Spirito, oggetto di queste pagine.

In Occidente, nei secoli successivi, si assisterà ad un processo duplice e complementare. Da un lato la scienza, perduto il suo iniziale moto metafisico, salvo rari ricercatori ancora capaci di intuire autentico, diventerà, perduta la guida del soggetto pensante, schiava del suo oggetto, portando ad una tecnocrazia dalle tinte alquanto fosche. D’altro canto il pensare filosofico cercherà di rispondere alle sue domande sul fondamento in molteplici modi, arrivando a scoprire, alla fine di questa ricerca, come non esista certezza alcuna al di fuori del pensiero che pone tale certezza, che non c’è altro senso del pensare che scoprirsi fondamento della verità di qualsiasi proposizione, a prescindere dal suo contenuto, scoprire il suo essere assoluto fondamento del sapere, come ben individuarono Hegel, prima, e Gentile poi, con la dottrina del pensiero pensante o Autoconcetto[2]. Il pensiero, infatti, a ben guardare è l’unica realtà in cui essenza ed esistenza coincidono, in cui l’apparire, il fenomeno e la sua legge sono uno. Se ad esempio si considera il pensiero puro che si esprime nella geometria, si avrà la prova di questo. Nel caso di un triangolo non si può parlare di intuizione sensibile se non nel momento in cui decido di disegnarlo e percepisco il disegno, per il quale avrò usato del gesso, della grafite, o inchiostro, ma nel momento in cui considero l’idea del triangolo, cioè il triangolo stesso al di la del mezzo con cui lo rappresento sensibilmente, quindi il suo concetto, mi si presenta immediatamente come sua stessa legge o essenza. In realtà non ha neppure senso parlare del suo concetto perché il triangolo è un concetto, è già un’essenza che non ha bisogno d’altro per mostrarsi nella sua verità. Il discorso vale ugualmente per tutte le altre realtà naturali o artificiali. Tutti gli oggetti artificiali, prodotti dall’uomo, ad esempio, hanno come essenza il pensiero dell’inventore e del costruttore, ed anche questo pensiero, una volta “estrapolato” e ricostruito a partire dalla sua apparizione sensibile, si dà come manifestazione e legge ad un tempo, così come apparve per la prima volta nella mente del suo ideatore.

la-filosofia-della-libertaQuesta fu la grande intuizione di Goethe: nel pensiero, l’essere e l’apparire, l’in sé e il per sé, direbbe Hegel, coincidono in un unico atto dello spirito, in un’unica, semplice intuizione, pura, libera. Intuizione individuata chiaramente, messa a nudo e sviluppata da Rudolf Steiner allorché ebbe a curare, ancora ragazzo, le opere scientifiche di Goethe[3], e che egli fece confluire nella sua filosofia della libertà, canone e base filosofica della Scienza dello Spirito, cui ci rifacciamo in questo scritto. A ben guardare, aveva ragione Hegel, duemila e passa anni di lavoro serissimo, nella Filosofia, nelle Scienze, nel Sapere, avevano come unico scopo la scoperta di questa verità fondamentale, che qualcuno[4], con geniale semplicità ha definito il “fiore dell’Occidente”, la chiave di volta della conoscenza, distillato metastorico della vicenda spirituale dell’Umanità terrestre. Ma tale estratto, quint’essenza, è un seme che va sviluppato e curato, non con altra filosofia, esso è un compito pratico, il più pratico, il “realmente pratico”: sperimentare la coincidenza tra essere ed apparire nell’atto di pensare un contenuto. Considerando che ordinariamente quella coincidenza non è mai sperimentata, anzi si sperimenta piuttosto la distanza, l’alterità di pensiero e realtà, quindi l’astrattezza nel pensare come nell’agire di un pensiero che non riesce a penetrare il mondo come il mistero di sé stesso.

Si capisce, a questo punto che portata “rivoluzionaria” possa avere l’atto, la decisione di volgere a tale esperienza: “prendere” un oggetto costruito dall’uomo, il più semplice, proiettarlo nel lume interiore, risolverne l’astrattezza sintetizzandone le note sensibili che lo compongono, in determinazione simbolica, segno, immagine del contenuto elaborato e di cui ci si serve per pensarlo; procedere oltre, con determinazione, coraggio marziale, estrarre da quel pensiero la determinazione volitiva a-concettuale ed informale: dal volere il pensare al pensare il volere: qualcosa c’è, si “sente senza sapere” quel qualcosa che c’è, si conosce senza pensare, si pensa senza concetti né immagini, nel silenzio denso e spesso di un atto a-spaziale e a-temporale. A questo punto insistere, perseverare, è la porta del “Pensiero Vivente”, bisogna bussarci fino alla nausea, fino alla noia più mortale, fino a fiaccare, sfibrare, stressare l’inerzia dell’intelletto cerebrale; stiamo evocando la Forza vera, viva, creativa, spirituale; il malato non vuole guarire, bisogna forzarlo, con costanza, fermezza, perseveranza, calma attesa, ecco la via… Allargare, protrarre, approfondire, raffinare il “pre – sentimento” intuitivo suscitato, questa la tensione costante che dobbiamo imprimere a noi stessi, il resto è dialettica, retorica, paura, agitazione. Se si volesse indicare qual è, al giorno d’oggi la via occidentale allo Spirito: senza dubbio è la via del pensiero. In essa tutte le vie s’inverano in una luce nuova, libera, tersa: l’azione e la contemplazione, i misteri, l’iniziazione, la religione, la filosofia, le scienze, sono incenerite dalla scienza sperimentale dello Spirito, del Pensiero Vivente, il Logos, l’a priori assoluto.[5]

La concentrazione del pensiero quindi, come abbiamo indicato è l’architrave della moderna via al soprasensibile, poiché è nel pensiero che la coscienza per divenire individuale ha dovuto “scendere nella tomba” del misurato, pesato, diviso. Per resuscitarlo, per farlo “risorgere” sono d’aiuto alcuni altri esercizi, ad esempio, quelli del volere e del sentire. Può essere utile, per cominciare, una sequenza di cinque esercizi per sei mesi. Ma prima di passare a questo val la pena notare un altro processo, rintracciabile stavolta, nell’ambito delle religioni; un processo triadico che avrebbe come prima tappa il politeismo antico, un’epoca non sempre storicamente sovrapponibile in civiltà differenti ma che da un punto di vista metastorico ha una valenza simile, quindi un’epoca in cui l’uomo vivrebbe in una sorta di coalescenza veggente con le forze spirituali della natura, è l’epoca degli dei delle sorgenti, del Dio del tuono, delle divinità dei cicli stagionali, dei boschi ecc…È l’epoca, ad esempio, narrata nei Veda Indiani, nell’Avesta, la religione della Grecia e della Roma prisca, come quella celtica o germanica. In essa gli dei vivono accanto agli uomini ed ispirano miti e leggende, visioni fondate sulla realtà vivente della natura, vista ancora sub specie interioritatis ma in questa epoca, come non si può parlare di natura vera e propria, così come siamo abituati noi moderni, cioè una natura esteriore, così non si può parlare di una individualità pienamente sbocciata, è una unica interiorità vivente percepita “panicamente” in una coalescenza tra Io e Mondo. Segue a questa “età dell’oro”, l’epoca della morte di Dio, del recidersi di questo legame immediato con la trascendenza e dell’assurgere a grande importanza della figura monocratica di una divinità suprema e trascendente che in un certo senso renderebbe superfluo il culto reso agli spiriti di natura. È l’epoca delle grandi riforme religiose, Zarathustra, Akenaton, Mosè, Krishna ecc. Infine vi è l’incarnazione, la discesa del principio divino nel mondo e lo sbocciare di una nuova alba, del ritorno dello spirito nella natura e del suo ritrovarlo nel cuore dell’uomo come microcosmo, il farsi uomo di Dio: è l’epoca delle corrispondenze tra i piani dell’essere e le parti occulte dell’individualità umana. Ritroviamo tutto questo nelle grandi sintesi ellenistiche, in Plotino, Proclo, Porfirio e nella dottrina indiana dei cakra oltre che nelle opere attribuite ad Ermete Trismegisto, o che ad esse si rifanno, nelle quali si fa un parallelo tra le parti sottili e occulte dell’uomo e le sfere planetarie. Ritroviamo qualcosa di simile anche nell’Occidente cristiano in un discepolo di Jackob Böhme, George Gichtel, che nella Theosofia Practica propone una micro cosmologia del tutto simile a quella dei saggi dell’India, anche se totalmente occidentalizzata con nel Cuore, centro dell’essere, la divinità solare del Christo. Prima ancora troviamo questo tentativo nella Commedia di Dante, anche se come riferimento morale alle virtù corrispondenti ai vari cieli, specchio paradisiaco e trasfigurato delle perversioni e brutture infernali.

Quindi in un certo senso l’universo coi suoi processi e piani si riversa totalmente nell’uomo, investendolo di un ruolo tutt’altro che comprimario nella palingenesi universale e nella parusìa attesa e ventura. Tutto ciò si manifesta primariamente come pensiero cosciente dell’intuizione scientifica ed in genere in ogni intuire. Il momento conoscitivo nel conoscere, vale a dire quello che si è indicato come coincidenza tra apparire ed essere, tra materia e forma, in cui soggetto e oggetto coincidono è la base di ogni cammino ulteriore, base e conseguimento imprescindibile per ogni ulteriore passo avanti della civiltà umana. Quel momento fuggevole e inconscio che balena quando si afferra un significato, che è un intuire fatto di conazione all’essere, pura volontà d’essere, va messo a nudo e sperimentato con attitudine scientifica, vale a dire con lo stesso piglio del ricercatore che osserva un fenomeno per spiegarlo, solo che questo fenomeno di cui parliamo non ha bisogno di spiegazione, in quanto esso è lo spiegare stesso che non ha bisogno di altri rimandi per essere. Questo è il punto in cui Parmenide ed Hegel si incontrano e sono veri: «invero lo stesso sono l’Essere e il Pensare».

Ma passiamo agli esercizi preliminari di cui parlavamo. Il primo esercizio da considerare è la concentrazione del pensiero di cui abbiamo spiegato lo spirito poco sopra, esso è il primo della serie ma a dire il vero non andrebbe abbandonato mai poiché è l’archetipo di ogni esperienza interiore ulteriore. Alcune considerazioni ulteriori vanno fatte. L’oggetto scelto. Esso deve essere:

Un oggetto artificiale, costruito dall’uomo , dal quale si possa estrarre, quindi, tutto il pensiero che l’ha concepito, cosa non direttamente attuabile, ad esempio, con una pianta, che ha il pensiero in sé, come legge organica immanente, del suo sviluppo. L’oggetto artificiale, invece, ha il pensiero fuori di se, le sue parti sono assemblate in maniera astratta, cioè estrinsecamente l’una all’altra, non organica a partire da un pensiero esterno ad esso, presente nella mente del costruttore, quindi isolabile e contemplabile in se stesso.

In secondo luogo, un oggetto semplice. È un esercizio di “forza”. Di un oggetto semplice la sintesi è più agevole, meglio una matita o un bicchiere che un’automobile.

Non interessante: non deve attirare il pensiero, è il pensiero che per autonoma determinazione deve muovere verso l’oggetto.

Un esempio. Si evochi l’oggetto scelto, ad esempio un bicchiere, si passino in rassegna, con logica concatenazione, le caratteristiche che ne fanno appunto un bicchiere: il materiale (vetro o plastica), la forma, l’utilizzo. Si cerchi di essere essenziali, basta il minimo indispensabile di rappresentazioni; si evitino gli aggettivi poiché apportano una coloritura personale all’esercizio che non deve appartenergli. Si possono usare le parole unite alle immagini, solo le parole o solo le immagini. Le sole immagini sono più potenti ma più difficili da mantenere, si proceda per gradi. L’esercizio deve proseguire così per almeno cinque minuti senza alcuna distrazioni. Se la distrazione si verifica o si risale il corso deviato di pensieri fino alla deviazione oppure semplicemente si prosegue non appena ci si accorge della distrazione. Un primo segno di progresso può essere quello di accorgersi rapidamente di essersi distratti e di correggersi rapidamente. All’inizio è dura tenere l’oggetto quindi non si tema di sbagliare se si tenta l’esercizio anche più volte al giorno, a seconda delle esigenze, l’arte si apprende con la pratica.

tecniche-della-concentrazione-interioreL’esercizio è completo se alla fine di esso si ricava una immagine sintesi che riassume l’oggetto e i pensieri pensati per descriverlo. Non è importante la forma che riveste basta che riassuma adialetticamente il suo pensiero. In ogni caso, poiché ciò che conta è il nocciolo intuitivo che si evoca pensando all’oggetto (quel quid che balena quando si intende prendere un piatto e non si va a prendere uno spillo), tanto la ricostruzione preliminare, quanto l’immagine sintesi, hanno un valore puramente strumentale. L’immagine riassuntiva, quindi, può essere un particolare della prima parte dell’esercizio, la prima immagine, l’ultima, quella dell’oggetto stesso alla fine della ricostruzione o quella che viene fuori insistendo nell’operazione, un segno, un simbolo, una rappresentazione, un disegno, qualsiasi cosa contenga e trasmetta il contenuto di pensiero elaborato; far emergere questo è lo scopo dell’esercizio; la sua contemplazione, libera dalla forma rappresentativa che l’ha trasmesso è il passo successivo. A questo punto dovrebbe venire a mancare anche il pensiero, la rappresentazione dell’azione che si sta compiendo, il suo senso per l’io contingente quotidiano e campeggiare solo la pura volontà impersonale in cui soggetto e oggetto, conoscente e conoscibile, forma e materia, apparire ed essere, sono uno. Lo stesso sforzo, che nella prima parte o nei primi tempi era necessario, ora viene sostituito da una forza più sottile, che fluisce quanto più si riesce ad essere in uno stato di quiete psichica e fisica, cioè a non opporre ostacoli al pensare che ora pensa in noi.[6] Quello che viene meno, in realtà è lo sforzo fisico, bruto, cui siamo abituati dalla nascita e viene sostituito da un’attività più intensa ma sottile che può manifestarsi proprio quando in piena coscienza, cessa la prima forma di sforzo. Tuttavia il rilassamento non va cercato direttamente quasi a mo di condizione per la concentrazione, ma deve venire come frutto del progresso nell’esercizio. La concentrazione può essere ulteriormente rafforzata integrandola con alcune varianti. La prima è quella della distrazione volitiva: si sceglie un corso di pensieri che ci attiri e lo si segue fino ad una certa soggezione ad esso, fino a perdersi in esso in una certa, controllata, misura, poi di colpo lo si sostituisca con un corso di pensieri che ci sia indifferente, profondandosi anche in esso. Si esegua tale operazione alcune volte. Una variante di questo può essere quella di opporre al pensiero piacevole uno spiacevole, estrarne le due sintesi e contemplarle, mettendole a confronto[7]. Un’altra variante importante all’esercizio e la contemplazione delle forme geometriche.[8] Si proceda così. Si scelga un triangolo, ad esempio rettangolo, lo si contempli, immaginandolo ovviamente, poi se ne immagini uno uguale ma più piccolo, poi uno più grande, poi di varie dimensioni, infine si torni a quello di partenza, percependone l’unità di fondo al di là delle differenze dimensionali: indipendenza dallo spazio metrico.

Ora si faccia in questo modo, si immagini il triangolo universale, questo non è possibile se il pensiero resta statico, dobbiamo metterlo in moto e immaginare un triangolo che si muova, i cui lati ed angoli varino in continuazione, che assuma, quindi, varie forme: isoscele, scaleno, equilatero, rettangolo, acutangolo, ottusangolo. Una volta impadronitisi di tale immaginare si sarà realizzata l’indipendenza dal tempo, poiché si tratta di un triangolo che è contemporaneamente tutti i triangoli. Sarà ora naturale passare alla terza fase, quella della contemplazione pura del concetto, che a questo punto sarà senza forma alcuna, un puro immaginare intuitivo in cui si sente raccolto tutto ciò che è triangolo o “triangolarità” senza che si debba rappresentare alcun triangolo particolare o generale; «è come concentrarsi su un nulla». Qui si sperimenta la pura assiomaticità del pensiero, il fatto che qualcosa sia vero non in sé ma in quanto tessuto di pensiero, fatto di pensiero. Il triangolo è quello che è poiché obbedisce ad una legge (ad es. che la somma degli angoli interni sia 180°), quella legge è vera perché c’è il pensiero che la pensa, il vero di quella legge non sta nella legge stessa ma nel pensiero. Con questo esercizio tale assunto viene sperimentato come lo scienziato sperimenta i suoi fenomeni attraverso l’esperimento fisico.

Arrivati a questo punto è difficile dire quanto tempo occorra per liberare l’“etere della testa”, cioè l’insieme di alte forze cosmiche che formarono il cervello ed il sistema nervoso nel passato e che continuano ad elaborarlo nel periodo prenatale.

Tali forze si esprimono precipuamente nella pura attività nervosa e nel pensiero scientifico e logico (anche se nella forma inversa, riflessa). Scopo della concentrazione è ridare vita a quest’etere del pensiero congelato nel cervello sotto forma di pensiero dialettico. Insistere volitivamente nel movimento che sta alla base del pensiero ordinario, servendosi della minima determinazione e significazione di un pensiero obiettivo, come quello di un oggetto artificiale è la chiave per accedere a quel sistema di forze cosmiche viventi : «in Lui era la Vita e la Vita era la Luce degli uomini».

Come risulta dalle indagini interiori del “Maestro dei nuovi tempi”, nel pensiero riposa l’etere della vita, il più elevato. Difatti il sistema nervoso è l’unico sistema organico che riceve direttamente l’elaborato delle sostanze materiali che compongono gli alimenti; gli altri sistemi ricevono le forze di cui abbisognano direttamente dall’etere cosmico, attirato verso l’uomo dagli alimenti, i quali in questo caso fungono da accettori, catalizzatori, stimolatori di attività. Tali energie si trasformano, sotto l’azione di altre forze (esseri spirituali di rango elevatissimo) in sostanza organica adatta alla vita umana cosciente. Il sistema nervoso riceve, viceversa, anche la sostanza minerale degli alimenti, esso è un sistema inerte, nel senso che ha una vitalità ridotta al minimo allo scopo di riprodurre fedelmente le immagini e i pensieri e consentire, grazie ai corpi calcarei dell’epifisi, la coscienza terrestre nel mondo della quantità.

Perché sia possibile ciò occorre il concorso dell’azione di tutti gli ordini di forze del cosmo e della loro sintesi, il Logos stesso: «e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». In tale processo avviene una vera e propria transustanziazione della materia fisica che viene riportata al suo livello eterico (quintessenza) e trasformata in materia nervosa, mediatrice dell’autocoscienza; processo similare avviene con le percezioni, il cui estratto “minerale”, si unisce a quello alimentare, in una “zona” in cui l’uomo comune e addormentato nel sonno senza sogni, formando quello che gli iniziati chiamano cibo stellare o nuova eucarestia. Si intuisce, così, la potenza di un’azione che tenda a liberare forze di tale rango. L’Uomo non è un secreto dell’Universo, né i suoi pensieri sono il risultato di processi chimici, tantomeno la sua esperienza terrestre ha un semplice valore mondano. Al contrario: l’Uomo e la meta delle gerarchie, scopo e compendio delle attività creative che hanno creato e creano incessantemente il mondo. Come l’adagio ermetico ama recitare, il microcosmo è specchio e riverbero creativo del macrocosmo. Quando l’uomo pensa i grandi e piccoli nessi della realtà si avvera il «colloquio risolutivo della Natura con se stessa», lo spirito acquista coscienza di sé nell’anima dell’Uomo, la creazione giunge a compimento e può ripartire con nuovo impulso e vita.

Ma tornando alla preparazione del pensiero immaginativo, il secondo esercizio da attivare è quello dell’azione pura; scegliere un’azione semplice, non interessante, che normalmente non si compierebbe affatto, possibilmente sempre alla stessa ora, e concentrarsi su ciò che avviene in noi mentre la si sta compiendo. Afferrare il sentimento di spinta all’azione suscitato, sentirlo al centro della fronte e riversarlo nel Cuore, trattenerlo qualche istante e terminare l’esercizio. L’esercizio serve a liberare la volontà dall’abitudine ad agire unicamente sotto l’impulso della necessità esteriore o interiore della vita; l’azione può essere quella di temperare una matita scelta apposta allo scopo o innaffiare un fiore procurato per l’evenienza: azioni semplicissime, prosaiche che però hanno lo scopo di immettere coscienza nel volere e nell’azione. Dopo un mese, si proceda alla liberazione del sentimento: scegliere determinate occasioni in cui si sia portati dalle circostanze a provare emozioni e passioni forti e si tenti l’esercizio dell’equanimità, si tenti e ci si eserciti a frenare il manifestarsi violento di quei moti interiori, siano essi positivi (gioia ecc…) o negativi (ira, invidia, tristezza ecc…). Dopo un po’ si comincerà a provare una calma inusuale, la si senta nel Cuore e da qui la si faccia fluire nelle mani, nei piedi e infine nella testa. Dopo aver così proceduto per un altro mese si passi alla liberazione del giudizio: ci si eserciti a vedere e notare sempre il lato positivo dell’esistenza ed anche quando esso è meno evidente occorre sforzarsi di trovarlo poiché esso seppur nascosto è sempre presente anche nelle situazioni e negli esseri più impensati. Dopo un po’ si avvertirà un senso di pace e di conciliazione generale che tenderà ad espandersi oltre noi stessi, suscitando a volte la sensazione di espandersi oltre il proprio corpo nell’immenso; lo si faccia fluire attraverso gli occhi verso lo spazio circostante. Nell’ultimo mese si tenti la liberazione della memoria: bisogna imparare a non farsi condizionare in maniera pregiudiziale dalla passata esperienza, quindi a liberarsi dai pregiudizi di ogni natura, morali, sociali, etnici, culturali ecc, ad essere “spregiudicati” riguardo a ciò che ci accade cercando di osservare e valutare le cose per quello che esse sono e solo quando si hanno elementi assolutamente certi per esprimersi, in sintesi a non esprimersi e valutare in maniera impulsiva ma anche in questo caso a immettere coscienza e consapevolezza nei nostri atti di giudizio. Prestare attenzione a ciò che viene dalla spazio circostante, all’energia sottile cha fluisce verso di noi attraverso occhi, orecchie e pelle.

Infine, si dedichi il sesto mese alla ricapitolazione e all’armonizzazione di quanto fatto, eseguendo gli esercizi a seconda della circostanza e cercando un certo equilibrio nel ritmo con cui li si esegue. L’armonia suscitata la si faccia fluire come segue: dal Cuore alla mano destra, al piede sinistro, alla testa, al piede destro alla mano sinistra e ritorno al Cuore come un pentagramma che è anche il simbolo del corpo eterico o corpo delle forze formatrici, sigillo di come tali forze fluiscono nell’essere umano. Questi esercizi tendono ad attivare e rendere possibile il pensiero immaginativo ma è solo l’inizio, sono esercizi di formazione che vanno proseguiti indefinitamente o sostituiti dalla pratica madre della concentrazione che secondo alcuni contiene in sé tutto ciò che serve per andare oltre, comunque in ogni caso il cammino va cominciato con la serie di esercizi indicata. [9]

Dopo essersi impadroniti in certa misura della concentrazione, si può affiancarle la meditazione che differisce dalla prima per il fatto che si rivolge ad un contenuto di pensiero già elaborato proveniente dalla tradizione spirituale o comunque frutto di reale esperienza soprasensibile di reali indagatori e pertanto capace di suscitare forze spirituali. In stato di silenzio interiore, senza formulare alcun pensiero proprio, si proponga alla coscienza il contenuto in questione, un’immagine, una frase dal contenuto spirituale e lo si faccia risuonare interiormente, cercando di fare attenzione a ciò che esso suscita come prima impressione e trattenerla quanto possibile, non appena svanisce riproporla, e così di seguito, ritmicamente, pian piano si forma uno stato interiore sottile e vivente che è lo stesso contenuto di pensiero che ora vive in noi come nostro pensiero e tuttavia impersonale.

Una volta fatta propria l’arte della meditazione si può cominciare ad esercitarsi nella contemplazione o percezione pura. Stavolta non ci si rivolgerà ne al pensiero elaborato da noi nella concentrazione ne al pensiero già elaborato della meditazione ma al pensiero materializzato della natura ed esprimentesi negli enti del creato. Una pianta, un fiore, un cristallo, il cielo azzurro o una distesa innevata, un animale ecc…

Qui l’immobilità della coscienza dovrà essere totale, dovrà essere l’oggetto a parlarci il suo linguaggio fatto di puro pensiero intuitivo, si dovrà essere in grado di separare la percezione dalle sensazioni soggettive che essa suscita e conseguire un altissimo livello d’impersonalità. In realtà scopo ultimo di tale tipo di tecnica è quello di sperimentare oggettivamente il ruolo primario del pensiero nel sorgere della percezione sensoria che appunto non va confusa con la sensazione nervosa, soggettiva dell’atto collegata ad eventi, ricordi, associazioni spontanee ecc ma è la stessa identità dell’Io col Mondo che sorge come immagine, connessione di pensiero, Idea. La forma è il simbolo dell’esaurirsi della materia, oltre la forma fisica, oltre il suo confine si trova il mondo spirituale. Questo ad esempio è particolarmente evidente nella contemplazione dei regni del creato. Nel cristallo ad esempio lo Spirito si presenta come impronta, traccia di una forza assolutamente pura e non spaziale che penetra lo spazio e lo geometrizza dall’esterno risolvendo la materia in sigillo ideale.

Nella pianta Esso è presente come forma che si materializza ed incorpora come pura Vita eterica.

L’animale dal canto suo presenta lo spirituale come psiche istintiva ed impulsiva che dall’interno forgia gli organi e le forme della sua espressione.

Infine l’uomo nella sua forma esteriore esprime direttamente la presenza dell’Io come pensiero cosciente.

Queste gradazioni, tuttavia, non possono e non devono essere oggetto di una conoscenza intellettuale ma presentarsi alla contemplazione dello sperimentatore come intuizioni vive ed oggettive, quasi come una serie di note di altezza differente da poter evocare, all’occorrenza anche al di fuori di quelle percezioni con una precisione matematica.

Una volta esercitatisi per qualche tempo come indicato, si può rivolgere la stessa “attenzione vuota” ad oggetti interni, come stati d’animo, pulsioni improvvise e così via, cercando di realizzarne l’impersonalità, anche stavolta curando di separare la forza che si manifesta dal significato che essa ha per l’io storico, tutto ciò è possibile, se fosse ancora il caso di dirlo, solo se si è in grado di escludere qualsiasi immagine non voluta che si possa o tenti di penetrare nella coscienza durante l’esercizio, quindi grazie al possesso e all’esercizio costante e sagace della concentrazione.

Per fare un esempio, si può evocare un ricordo che ci provocò una forte emozione, chiaramente il ricordo e le immagini di cui si serve sono un pretesto, una volta che l’emozione ha raggiunto un livello di forza sufficiente, di colpo si recidano tutte le immagini (per facilitare si può immaginare una membrana “impermeabile” alla base del collo che separi la coscienza cerebrale dal torace, sede del sentire), se si fa attenzione e si è lesti, si sorprende il sentire puro, impersonale che come una sorta di “calore armonico” “musica amorevole” ci “accarezza” il Cuore.

Con il Volere il processo è simile: si può immaginare l’istante che precede immediatamente uno sforzo intenso come piegare una sbarra di ferro o spezzare un bastone, poi si tolgono le immagini e si avvertirà una vibrazione sottile che saturerà le gambe e le mani.

rudolf-steinerIn linea di principio ogni evento può essere occasione di esercizio. Nel sentiero dell’Iniziazione il Maestro dei nuovi tempi indica un percorso organico, graduale per accedere alla percezione dei mondi sottili, tale sentiero lo descriveremo nelle righe che seguiranno. Quindi, riassumendo, il sentiero consta di tre gradazioni o tre strade che si compenetrano una nell’altra e si rafforzano una con l’altra: la concentrazione, la meditazione e la contemplazione.

Veniamo alla descrizione sommaria del cammino iniziatico o meglio pre iniziatico dei nuovi tempi. Siamo in presenza di qualcosa di unico poiché si tratta della prima volta, dopo la chiusura delle scuole misteriche dell’antichità, che un cammino siffatto, adattato e risintetizzato a partire dalle esigenze interiori degli uomini contemporanei, viene presentato in forma organica e scientifica.

Prima di incamminarci sarà opportuno fare una breve trattazione sulla costituzione interiore dell’Uomo e sull’evoluzione che egli può aspirare a realizzare in piena coscienza.

Partendo dal “basso”. Il primo elemento, il più evidente è il corpo fisico, che abbiamo in comune con la natura minerale, esso è il sostegno, la base fisica di una vita cosciente autonoma. Immediatamente al di “sopra” o meglio, dentro di esso abbiamo il corpo eterico, o corpo delle forze formative o vitali; esso è di natura “vegetale” nel senso che è preposto alla vita vegetativa, organizzazione e fisiologia del corpo fisico. Ancora più in alto troviamo il corpo astrale, esso corrisponde all’anima sensitiva di Aristotele come il corpo eterico corrisponde a quella vegetativa; tale corpo senziente è la sede dei sentimenti, degli istinti, della capacita di percepire attraverso i sensi fisici e lo possediamo in comune con il mondo animale. Al vertice di questa scala troviamo il principio autocosciente: l’Io, la sede dell’autocoscienza pensante, l’Anima razionale aristotelica, il principio che distingue l’Uomo dal resto del creato. La presenza dell’Io, però, non è di certo una presenza neutra, essa condiziona e forma gli altri corpi e questi sono adatti e formati in modo tale da poter accogliere e manifestare appunto l’autocoscienza.

L’uomo come l’abbiamo descritto, però, non è sempre apparso nella forma che vediamo oggi; egli è il risultato dell’attività spirituale che ha formato il cosmo in ere remote, in passate apparizioni della Terra. Il corpo fisico risale ad un’era cosmica conosciuta come Antico Saturno, caratterizzata da un’esistenza in forma di calore interiore – fuoco (etere del calore), quello eterico ebbe origine nell’era dell’Antico Sole, caratterizzata da un’esistenza in forma di luce-aria (etere di luce). Il corpo astrale si formò sull’Antica Luna, una forma di vita in cui prevale l’esistenza in forma di suono – acqua (etere del suono o etere chimico). Infine sulla Terra prevale l’esistenza in forma solida, alla costituzione precedente si aggiunge l’Io cosciente cui corrisponde l’etere della vita (ovviamente non la vita semplicemente vegetale o animale ma la vita della coscienza, la vita in senso eminente). Queste attività creatrici hanno lasciato come sigilli o segnature del corpo fisico alcuni sistemi organici: in particolare all’Io e all’esistenza terrestre corrisponde il sistema sanguigno, all’astrale e all’esistenza lunare il sistema nervoso, all’eterico solare le ghiandole ed al fisico saturnio i sensi fisici. Con la nascita dell’Io cosciente avviene un fenomeno importantissimo: gradatamente, a partire dall’inizio dell’esistenza terrestre, le attività creatrici si sono via via ritirate dalla vita umana, lasciando il prosieguo dell’evoluzione alla libera responsabilità dell’uomo libero che pian piano cominciava ad emergere e che è pienamente sbocciato nell’evo moderno e contemporaneo, nell’era conosciuta come epoca dell’anima cosciente.

Dall’inizio dell’epoca terrestre l’Io ha iniziato la lenta elaborazione degli organi costitutivi ricevuti per “grazia” creativa dalle gerarchie superiori. Dall’elaborazione del corpo astrale, nasce l’anima senziente-istintiva, da quella dell’eterico, l’anima razionale-affettiva, infine da quella del fisico, l’anima cosciente-libera. Il momento in cui si assiste al passaggio verso l’epoca della libera autocoscienza corrisponde con la nascita del pensiero scientifico filosofico nell’antica Grecia, quello che abbiamo caratterizzato al principio come nascita del concetto. Il pensiero astratto è l’attività in cui lo Spirito potenzialmente si esprime direttamente e quindi è potenzialmente libero, pertanto il pensiero sarà la porta, la strada per la risalita verso la trascendenza. L’elaborazione della corporeità fisica psichica e spirituale dell’uomo però è solo agli inizi, la triplice autocoscienza costituita da anima senziente, razionale a cosciente è il germe di ciò che la scienza dello spirito chiama Io superiore e che è costituito da Sé spirituale (elaborazione completa da parte dell’Io del corpo astrale), Spirito Vitale (corpo eterico totalmente spiritualizzato) e Uomo Spirito (corpo fisico totalmente compenetrato dallo Spirito), che saranno lo stato di vita “normale” delle future apparizioni della Terra conosciute come Giove, Venere e Vulcano, che risultano essere la spiritualizzazione cosciente, rispettivamente degli antichi stati della Luna, Sole e Saturno. Alla quadripartizione suaccennata, che potremmo definire “strutturale” dobbiamo, poi, aggiungere una tripartizione “funzionale”, quella costituita dalle tre funzioni dell’anima, vale a dire: pensare, sentire e volere, rispettivamente incentrate nei tre segmenti corporei della testa, del torace e di addome ed arti, corrispondenti naturalmente al sistema dei nervi, a quello ritmico e a quello metabolico e del movimento cosciente. Inoltre tali funzioni si esprimono nei sistemi osteo-nervoso (pensare-deposito di sali e residuo minerale degli alimenti), sanguigno-muscolare (volere-trasformazione delle sostanze-movimento; dynamis-metabolè) e ritmico (polmoni-cuore; raccordo e armonizzazione delle funzioni cognitive con quelle vitali). Tutto questo va a costituire la settemplice struttura occulta e fisica dell’uomo, la quale, articolata attraverso i vari sistemi organici sotto l’influenza dei pianeti e dello zodiaco determina la complessità ed archetipicità psicofisica dell’Uomo[10].

Tutto questo però non sarebbe stato mai possibile, almeno come potenzialità, se la rivelazione del divino non si fosse spenta nella natura (la morte del grande Pan) e fosse stata donata all’uomo, come l’arma che ferisce e risana, capacità di servirsi della propria autocoscienza pensante per completare liberamente e coscientemente l’opera della creazione. Senza tale processo, nessuna divinizzazione dell’uomo sarebbe mai stata più attuabile, poiché sarebbe mancata all’umanità la sintesi solare dei quattro eteri creativi. Quindi qualsiasi iniziazione che non sia contraffazione, nel presente evo storico non può non essere sotto il segno del Sole interiore, del principio solare dell’Io, di cui il pensiero cosciente è la prima manifestazione.

Ebbene, adesso veniamo alla descrizione di questa via moderna del pensiero cosciente, l’impresa pre iniziatica del moderno ricercatore.[11]

La prima condizione da realizzare, la prima attitudine da coltivare è il sentimento della venerazione, che per certi aspetti è assimilabile alla virtù della positività ma è qualcosa di più, è uno stato di continua preghiera, un senso di riconoscenza e di stupore, gratitudine verso quanto di buono offre la vita e il mondo spirituale che ha creato il saggio ordinamento del creato.

La seconda condizione è quella della calma: senza quiete in mezzo alla tempesta non vi può essere percezione interiore, essa corrisponde alla virtù dell’equanimità raffinata e resa stato normale della coscienza.

Terza condizione da realizzare è quella del pensiero concentrato, della meditazione su temi spirituali di interesse umano: aforismi spirituali tratti dalla scienza occulta, meditazioni sui temi dell’evoluzione cosmica ecc…

Quarto passo: osservazione della vita che fiorisce e della vita che appassisce. Questi due fenomeni generano una percezione assimilabile a quella generata dal sorgere del Sole e dal sorgere della Luna, isolare queste due note ed esercitarsi ad evocarle e piacimento. Un fiore che sboccia, una pianta che germoglia, un animale che sta crescendo, un bambino e dall’altra parte, i fenomeni contrari sono la messe inesauribile che la natura e la vita ci mettono a disposizione per il nostro progresso.

Queste prime pratiche rientrano nella cosiddetta preparazione. Di seguito descriviamo quelle della illuminazione. Ogni fase va cominciata nella successione data ma allorché si passa alla successiva la precedente deve essere comunque di tanto in tanto sempre richiamata e rafforzata, in questo cammino tutto si interpenetra e si rafforza reciprocamente, proprio come in un organismo, tale via è un organismo.

La prima pratica di illuminazione consiste nel porre attenzione al mondo dei suoni: quelli animati e quelli inanimati, articolati (umani) e inarticolati (versi degli animali ad esempio). Concentrarsi sul fatto che i suoni animati trasmettono l’interiorità dell’essere in questione, in particolare i discorsi degli esseri umani anche i più semplici esprimo un mondo di pensieri, sentimenti, aspirazioni e quant’altro, proprio quella interiorità dobbiamo cercare di sentire più che il significato intellettuale che l’emissione di suoni trasmette; interiorità che passa soprattutto attraverso la sonorità della voce: tono, timbro ecc… I suoni artificiali (ad esempio quelli della tecnica umana) sono assolutamente astratti e danno una sensazione quasi di “irrealtà” o inconsistenza. Vi sono poi i suoni della natura come lo stormire delle foglie al vento o il fruscio delle acque che trasmettono qualcosa della spiritualità del macrocosmo, fare il vuoto e cercare ascoltarla…

In secondo luogo occorre porre attenzione ai regni della natura, in particolare ai cristalli, alle piante ed agli animali. Come abbiamo osservato prima, nei cristalli, in particolare quelli regolari e sfaccettati, si esprime una forza extra spaziale, priva di passioni o moti istintivi, che lascia la sua impronta nella forma geometrica, che, in quanto forma è negazione della materia.

Nell’animale, viceversa, si presenta una forza totalmente calata nello spazio e che come psiche istintiva ed impulsiva forgia la materia dall’interno formando gli organi appropriati alla sua espressione.

Al centro troviamo il mondo vegetale in cui si esprime la vita come pura forza formativa, a mezza strada tra l’istintività dell’animale e la forza assolutamente trascendente del cristallo.

Come già detto, in questi esercizi non bisogna assolutamente inserire nulla di intellettuale o personale, bisogna fare il vuoto e vedere cosa succede, far parlare gli enti che andiamo ad osservare e ricavarne una gradazione intuitiva di pensiero da poter all’occorrenza rievocare a piacimento come le note di una scala armonica.

Il passo successivo riguarda l’osservazione dei rapporti tra il visibile e l’invisibile. In primo luogo si prenda il seme di una pianta che ci sia familiare e lo si osservi: il colore, la consistenza e le note caratteristiche, poi senza distogliere lo sguardo si immagini di immergerlo nella terra, e di osservarne in moto accelerato tutto il ciclo vitale, il germogliare dalla terra, l’espansione delle radici, dei rami, del fogliame, infine il fiorire ed il fruttificare, per ritornare al seme di partenza e si ponga attenzione al processo osservato: l’invisibile diventa visibile, il seme cela in se una forza nascosta che si rende manifesta nel ciclo vitale della pianta e che suscita in noi una sensazione, un sentimento, un’impressione “morale” che bisogna trattenere e contemplare come caratteristica saliente ed oggettiva quanto le caratteristiche sensibili e visibili del seme, se non in misura maggiore.

Si osservi invece, ora, una pianta già sviluppata e si immagini di nuovo il ciclo vitale a partire dal seme per arrivare alla pianta che ora abbiamo di fronte. Si immagini a questo punto che la pianta rinsecchisca, si schianti, invecchi fino a decomporsi e disperdersi nella terra stavolta ciò che è visibile ritorna invisibile ma lascia qualcosa, una forza, racchiusa nel seme che rinnoverà indefinitamente la vita vegetale; si contempli l’impressione suscitata da tale contemplazione.

Infine si osservi un essere umano pervaso da desiderio negli istanti in cui la soddisfazione di esso è ancora incerta e poi allorché quella pulsione e soddisfatta, si ricaveranno due impressioni opposte: nel primo caso quella di un cielo cristallino coperto improvvisamente da una nuvola di fumo. Nel secondo caso come del cielo tornato pulito. Si faccia l’esercizio con discrezione senza invadere la sfera privata delle persone, col massimo tatto possibile, magari serbando nella memoria le impressioni suscitate e contemplandole in un secondo momento.

Finita la fase dell’illuminazione è la volta della tre prove. La prima è la prova del fuoco. Essa ha una duplice valenza: in primo luogo essa è una meditazione sulle difficoltà da affrontare e gli ostacoli da superare per poter ottemperare nella maniera migliore la propria missione di uomini. In secondo luogo essa riguarda l’arsione del velo dell’apparenza che cela la realtà spirituale del mondo, è un’esperienza dello squarciarsi del velo illusorio che ci fa credere reale solo ciò che cade sotto le impressioni dei sensi celando lo Spirito che regge e governa il Tutto; ma a questo punto dovrebbe venire quasi naturale questa operazione, visto che le pratiche precedenti hanno come scopo e risultato coltivare proprio ciò che sta al di là dell’apparenza.

Prova dell’acqua. Questa prova ha come spirito il reggersi senza appoggi. Stabilire qual è la propria missione, il proprio dovere e compierlo al di là di qualsiasi movente sensibile. L’azione ascetica come scopo in se stessa, senza lusinghe paradisiache o terrori infernali; il servizio allo Spirito come scopo impersonale e afinalistico.

L’ultima prova è la prova dell’aria. Qui non solo bisogna agire indipendentemente da moventi sensibili ma regolarsi solo a partire da quello che proviene dalla nostra libera interiorità, dall’anima cosciente che comincia a risvegliarsi in noi.

Questo cammino non deve avere nulla di predeterminato meccanicamente, il percorso e la successione hanno un valore puramente indicativo, vale a dire che anche mentre stiamo meditando sulla prova dell’acqua non è detto che non si possa soffermarsi su quella del fuoco, qualora si presenti l’occasione; o mentre si ascoltano i suoni e ci si presenta l’osservazione di un animale o di una pianta non si possa eseguire la meditazione corrispondente. Ci vuole una certa elasticità e prontezza di spirito in questo cammino, bisogna arrivare al punto che ogni eventualità della vita diventi potenziale occasione di progresso ed evoluzione, come una sorta di offerta continua al divino che è in noi.

A questo punto è il momento delle due bevande: quella dell’oblio e quella della memoria: L’oblio di tutto ciò che riguarda la vita dell’ego e ricordo continuo del mondo dello Spirito e dell’Io superiore da cui tutto viene. L’ego non ha più una vita a se stante ma offre di continuo il materiale per trasformare l’ottundimento in luce spirituale, l’avversione in amore.

Note

[1] Plotino, Enneadi; Mondadori(I Meridiani).

[2] G.Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto Puro; Sistema di Logica.

[3] R.Steiner, Introduzione alle opere scientifiche di Goethe.

[4] Massimo Scaligero.

[5] M. Scaligero, Trattato del Pensiero Vivente.

[6] Tutto il processo può essere assimilabile come senso, non evidentemente come tecnica, poiché adatta, quella della concentrazione qui suggerita, alla costituzione interiore dell’uomo Occidentale moderno e non al “tipo” Orientale, alla progressione indicata dal monaco giapponese Isutzu come processo della meditazione Zen costituita da tre passaggi: non distrazione, non sforzo, non meditazione, attraverso la quale si giunge ad «una pura noesis auto sussistente senza noema (oggetto) che le si opponga, neppure se stessa». ( In Pio Filippani Ronconi, Le vie al Vuoto; conferenza tenuta all’Ist.Univ.Orientale di Napoli).

[7] M.Scaligero, Manuale pratico della meditazione.

[8] M.Scaligero, Tecniche della concentrazione interiore; La Logica contro l’Uomo.

[9] R.Steiner, La Scienza occulta nelle sue linee generali; M.Scaligero, Manuale pratico della meditazione.

[10] R.Steiner, in La Scienza Occulta e Una fisiologia occulta. M. Scaligero, La Luce, Introduzione all’immaginazione creatrice.

[11] R.Steiner, L’iniziazione; G. Colazza, Dell’Iniziazione.

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