Il navigare come simbolo eroico

La nave Palinuro della Marina Militare italiana

Se vi è una caratteristica delle nuove generazioni, essa è il superamento dell’elemento “romantico”; il ritorno all’elemento epico. Non interessano più parole, complicazioni psicologistiche e intellettualistiche, quanto azioni. E il punto fondamentale è questo: che, a differenza di quanto è proprio ai fanatismi e alle deviazioni “sportive” delle razze anglosassoni, le nostre nuove generazioni tendono a superare il lato puramente materiale dell’azione, tendono ad integrare e chiarificare questo lato con un elemento spirituale, tornando, più o meno consciamente, a quell’agire, che è un liberarsi, un prender contatto reale, e non estetistico e sentimentale, con le grandi potenze delle cose e degli elementi.

Ora, vi sono ambienti naturali che più particolarmente propiziano queste possibilità liberatrici e reintegratrici dell’epica dell’azione, e sono l’alta montagna e l’alto mare, con i due simboli dell’ascendere e del navigare. Qui per via più immediata, la lotta contro le difficoltà e contro i pericoli materiali, si fa mezzo per compiere simultaneamente un processo di superamento interno, per compiere una lotta contro elementi che appartengono alla natura inferiore dell’uomo e che debbono esser dominati e trasfigurati.

Qualche generazione di superstizione positivistica, e materialistica ha fatto sì che tante belle e profonde tradizioni dell’antichità siano state sepolte nell’oblio, ovvero siano date unicamente come oggetti di curiosità erudita: ignorando e facendo ignorare il significato superiore di cui esse restano sempre suscettibili e che può esser sempre ridestato e rivissuto.

Ciò, per esempio, va detto per l’antico simbolismo della navigazione, che è uno dei simbolismi tradizionali più diffusi in tutte le civiltà premoderne, ritrovabile con i caratteri di una uniformità strana, che ci fa pensare quanto universali e profonde debbon esser state certe esperienze spirituali dinanzi alle grandi forze degli elementi. E su ciò non crediamo inopportuno dar qui un qualche cenno.

Il navigare – e in particolare il traversare le acque tempestose – è stato tradizionalmente innalzato al valore di simbolo, in quanto nelle acque, come acque di oceano o acque di correnti, fu sempre figurato l’elemento instabile, contingente della vita terrena, della vita soggetta a decadenza, a nascita ed a morte – e fu inoltre e più particolarmente raffigurato l’elemento passionale e irrazionale che altera questa stessa vita. Se la terraferma, sotto un primo aspetto, valse come sinonimo di mediocrità, di esistenza pavida e piccola poggiata su certezze e sostegni la cui stabilità è tutta illusoria – il lasciar la terraferma, il volgere verso il largo, l’affrontar intrepidamente la corrente o l’alto mare, dunque il “navigare”, apparve spontaneamente come l’atto epico per eccellenza, non pure nel senso immediato, ma anche nel senso spirituale.

imperialismo-paganoIn navigatore si presentò dunque come un sinonimo di eroe e di iniziato, come sinonimo di colui che, lasciato il semplice “vivere”, vuole arditamente un “più che vivere”, nel senso di uno stato superiore alla caducità e alla passione.

Sorge allora il concetto dell’altra terraferma, quella vera, che si identifica con la stessa mèta del “navigatore”, con la conquista propria alla epica stessa del mare: e l'”altra riva”, è la terra prima sconosciuta, inesplorata, inaccessibile, data dalle antiche mitologie e dalle antiche tradizioni con i simboli più vari, fra i quali è però frequentissimo quello della isola, immagine per la fermezza interiore, per la calma e il dominio di colui che ha felicemente e vittoriosamente “navigato” portandosi fra le onde o l’impetuosa corrente, ma senza divenirne preda.

L’attraversare una grande corrente a nuoto o come pilota di un battello era fase simbolica fondamentale nella cosiddetta “iniziazione regale” che si celebrava ad Eleusi. Giano, l’antica divinità della Romanità, dio dei cominciamenti e quindi anche, in senso eminente, della iniziazione quale “vita nova”, era anche dio del navigare; aveva fra le sue insegne caratteristiche la nave. E questa nave di Giano, come pure le sue due chiavi son passate poi nella tradizione cattolica, figurando nella nave di San Pietro e, in genere nel simbolismo della funzione ponteficale. Ora si potrebbe rilevare che lo stesso termine pontifex, nelle antiche etimologie romane, significava il “facitore di ponti”; che pons però arcaicamente significava anche via e come “via” veniva anche concepito il mare, e il Ponto venne detto così per non diversa ragione. Onde vediamo come, per occulte trame, fino in parole e in segni, oggi quasi non più compresi, si siano trasmessi elementi dell’antica concezione del navigare come simbolo.

La nave Fram, che venne utilizzata in memorabili imprese da Fridtjof Nansen, Otto Sverdrup, Oscar Wisting e Roald Amundsen.

Nel mito caldaico dell’eroe Gilgamesh noi troviamo un esatto fac-simile di quello dell’Eracle dorico che coglie il frutto di immortalità del giardino delle Esperidi avendo traversato prima il mare, sotto la guida di Atlante il titano. Anche Gilgamesh affronta la via del mare, salpa, seguendo la via occidentale, cioè la via atlantica, verso una terra o isola, ove egli cerca “l’albero di vita”, mentre l’Oceano è paragonato significativamente alle “acque oscure della morte”. E se noi ci spostiamo verso l’Oriente e l’Estremo Oriente, troveremo echi di eguali esperienze spirituali legati ai simboli eroici ed epici del navigare, del guadare, del salpare.

Come l’asceta buddista fu frequentissimamente comparato a colui che affronta, taglia e vince la corrente, a colui che guada, a colui che naviga glorioso contro corrente, nelle acque essendo figurato appunto tutto quel che viene dalla sete animale di vita e di piacere, dal vincolo dell’egoismo e dall’attaccamento degli uomini – così, nello stesso Estremo Oriente si trova il tema ellenico della “traversata” e del raggiungimento di “isole”, nelle quali la vita non è più mista a morte: come l’Avallon o il Mag Mell atlantico delle leggende irlandesi e celtiche.

Ci si porti nell’Egitto antico e fin nel Messico precolombiano: direttamente o indirettamente ritroviamo non dissimili elementi. E li ritroviamo altresì nelle leggende nordico-ariane. La stessa impresa dell’eroe Siegfried nell’isola di Brunhild comprende essenzialmente il simbolismo della navigazione, della traversata del mare: Siegfried, secondo il Nibelunglied, è colui che dice: “Le vere vie del mare mi sono conosciute. Io posso condurvi sulle onde”.

arco-e-la-clavaNoi potremmo mostrare che la stessa impresa di Cristoforo Colombo ebbe più rapporti di quel che comunemente si sappia con le oscure idee circa una terra, ove, secondo alcune leggende medioevali, si troverebbero “profeti mai morti”, circa un “eliseo transatlantico” che appunto rientra nel simbolismo ora detto. Inoltre, potremmo mostrare perché il concetto del talassocrate, del “signore dei mari” o delle “acque”, molto spesso si collegò anticamente con il concetto del legislatore in senso superiore (p.es. nel mito pelasgico di Minos): potremmo sviluppare l’idea racchiusa nelle figurazioni di colui “che sta sulle acque” o “cammina sulle acque” o e salvato dalle acque” (da Narâyâna a Mosè, a Romolo, a Cristo) ma tutto ciò ci porterebbe troppo lontano, e forse vi torneremo in un’altra occasione.

“Vivere non necessita. Navigare è necessario”. Questa parola ancor oggi (1933 – n.d.r.) vive, ancor oggi è sentita, ed avvia una delle migliori correnti della nuova epica dell’azione – “Dobbiamo tornare ad amare il mare, a sentire l’ebbrezza del mare, perché vivere non necesse sed navigare necesse est” ebbe a dire lo stesso Mussolini. Ma in questa formula, presa nel suo aspetto più alto, non sussiste forse l’eco di quegli antichi significati?

Non sussiste forse l’idea del navigare come più che vita, come attitudine eroica, come avviamento a forme superiori di esistenza?

Che là dove regna il grande, libero respiro del largo, ove si sente tutta la forza di ciò che è senza limiti, sia nella sua calma possente e profonda, sia nella sua terribilità elementare – che sui mari e sugli oceani nuove generazioni sappiano dare “epicamente” alla vicenda fisica del navigare un’anima metafisica, tanto da conferire allo stesso eroismo e allo stesso ardire il valore di un mezzo trasfigurante e da risuscitare così ciò che si celava nelle antiche tradizioni del salpare e del navigare come simbolo e del mare come via verso qualcosa di non più e di non soltanto umano – questo ci sembra uno dei punti più alti che possono orientare le forze di resurrezione in atto nella nuova Italia.

Condividi:
Segui Julius Evola:
Ultimi messaggi

2 Responses

  1. Luca Valentini
    | Rispondi

    Questo è uno degli articoli di Evola che mi ha forgiato e non a a caso sono un marinaio…poi Alberto mi metti anche il Palinuro, la mia Palinuro con cui abbiamo imperversato lunghe le coste d'Europa per 4 mesi!!!

  2. […] navigare come simbolo eroico link: wp.me/pqXt4-1F autore: Julius Evola cit: https://www.centrostudilaruna.it/il-navigare-come-simbolo-eroico.html  La nave […]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *