Il fascino indiscreto del Nulla: breve storia del nichilismo

ghiaccio-friedrichChe cosa significa nichilismo? “Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al perché?” Così Nietzsche, definisce tragicamente il nichilismo. In altri termini, il nichilismo (dal latino nihil=nulla) stabilisce in modo inoppugnabile l’assenza di verità supreme, di valori, di scopi nell’esistenza, di Dio. L’espressione ‘nichilismo’ ha fatto la sua comparsa verso la fine del Settecento, assumendo sin da subito la funzione di epiteto critico per designare autori e dottrine che parevano contrastare con le concezioni ed i valori che avevano alimentato e sorretto la civiltà occidentale sino ad allora.

Tuttavia fu solo il romanzo Padri e figli dello scrittore russo Ivan Sergeevič Turgenev, pubblicato per la prima volta nel 1862, a conferire notorietà al termine ‘nichilismo’: “Un nichilista è un uomo che non s’inchina a nessuna autorità, che non accetta sulla fiducia nessun principio, per quanto sia il rispetto di cui quel principio è circondato”. Ecco il prototipo del nichilista di Turgenev: egli è il campione della sconfessione, l’inquieto titano proteso alla creazione di un nuovo ordine delle cose, che rompe radicalmente e drasticamente con il passato. Simili concezioni caratterizzarono i vari gruppi sorti in Russia che andavano definendosi come ‘nichilisti’, ai quali in gioventù strizzò l’occhio persino Dostoevskij, che in età matura, del nichilismo, sarà proprio uno dei più strenui critici.

Da un punto di vista meramente filosofico, già Jacobi definì come nichilista la filosofia trascendentale di Kant e soprattutto la ripresa che ne fece Fitche. Hegel si fece autore di una profonda presa di coscienza del nichilismo, e di ciò che esso comportava in termini di disgregazione sociale e non solo, cercando per altro di porre freno al fenomeno fondando sostanzialmente un’alternativa “teodicea” della storia (in una lettera a Schelling del 1795, ebbe a dire che appunto « la (sua) filosofia della storia è una teodicea », cioè una giustificazione di Dio), che tuttavia non poteva fare altro fuorché ritardare l’avanzata del processo di secolarizzazione, ma certamente non era in grado di restituire all’Occidente la dimensione del sacro e l’innocenza perduta.

Schopenhauer, dedito alle filosofie orientali, e in particolar modo al buddhismo, considerò il nichilismo positivamente, come un mezzo di riscatto, di salvazione dalla maligna volontà di vita, identificata questa come un impulso irrazionale che spinge l’uomo a vivere e ad agire malgrado sé stesso. Marx, che fa propria la concezione finalistica della storia di Hegel, tenterà di mostrare il divenire della storia e di individuarne il fine, indicando gli strumenti operativi necessari per la sua realizzazione: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in vari modi; ma il punto ora è di cambiarlo», dirà nelle sue Tesi su Feuerbach, autoconsacrandosi come “nuovo salvatore” dell’umanità, nuovo Mosè senza Dio, intenzionato a fare uscire il genere umano dal deserto del nichilismo attraverso le acque corrosive della rivoluzione.

la-gaia-scienzaIl concetto di nichilismo assurge dignità di elemento portante nella filosofia in Nietzsche; ne La gaia scienza, infatti, il filosofo tedesco annuncia la morte di Dio e la vacuità di ogni valore, auspicando l’autosoteria dell’Übermensch, dell’Oltreuomo, unico modello in grado di sottrarre l’uomo europeo dalla decadenza in cui l’ha precipitato la religione cristiana. Il filosofo tradizionalista Julius Evola, partendo da tesi simili a quelle nietzscheane, ma integrate con dottrine sapienziali orientali, considera le cause del nichilismo connaturate al processo della cosiddetta ‘regressione delle caste’, di cui diretta conseguenza sarebbe la scomparsa di ogni valore sacrale dell’esistenza, evento ritenuto tipico del Kaly Yuga, l’Età del Ferro, l’ultima e la più nefasta era spirituale secondo l’Induismo, proponendo la strada dell’ascesi e dell’ “indiamento”, ma solo per un particolare tipo umano.

Heidegger individua la causa del nichilismo nella metafisica, sostenendo che: “La metafisica in quanto metafisica è l’autentico nichilismo. L’essenza del nichilismo si dà storicamente nelle vesti della metafisica. La metafisica di Platone non è meno nichilistica di quella di Nietzsche. In quella l’essenza del nichilismo resta solo celata, in questa giunge interamente alla comparsa”, dove per “metafisica” egli intende quella tradizione di pensiero che pone il problema dell’essere dell’essente, andando oltre (metà) l’essente stesso, in una irrealistica dimensione trascendente.

Elementi nichilistici sono ravvisabili anche nella trattazione del tema del nulla da parte di esistenzialisti come Jean Paul Sartre, che del nichilismo e del problema dell’essere parlerà diffusamente nel suo L’essere e il nulla, e nella Nietzsche-Renaissance francese, in pensatori come Gilles Deleuze e Michel Foucault. Ma tutto il pensiero del Novecento – anche letterario – è madido di nichilismo, prova ne sono già i grandi romanzi che anticipano e battezzano il secolo, da À rebours di Jorys Karl Huysmans (uscito nel 1884), di cui lo scrittore e critico francese Barbey d’Aurévilly sintetizzò efficacemente i contenuti del pessimismo sostenendo che: «Dopo un libro tale non resta altro all’autore che scegliere tra la canna di una pistola e i piedi della croce», che si può a ragione considerare come il manifesto del Decadentismo, sino a Il Piacere, nel quale Gabriele D’Annunzio esprime la sua poetica della bellezza, in cui il gusto estetico è considerato come unico ideale capace di acquietare il sentimento di vuoto (vuoto inteso come una sorta di romantico Sehnsucht, ossia un desiderio del desiderio o un mal del desiderio).

essere-e-tempoAlla fase decadente, seguirà quella delle cosiddette ‘avanguardie’ (non meno nichilistiche, anzi!), che porterà a compimento la rivoluzione delle arti plastiche e figurative già iniziata dall’espressionismo; avanguardie, come il Futurismo, nelle sue branche italiana e russa, dirette a negare ogni valore al passato e cercare nuove espressioni, tese in un impeto confuso alla distruzione del vecchio mondo e alla realizzazione di uno nuovo (proprio come sosteneva il Turgenev!): « Noi vogliamo glorificare la guerra-sola igiene del mondo-il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore» , così recitava il nono punto del manifesto programmatico del Futurismo di F.T. Marinetti e soci, pubblicato il 20 Febbraio 1909 su Le Figaro. O più ‘nichilisticamente’ votate soltanto alla distruzione: questo è il caso di Dada, definito dagli stessi dadaisti come: «un fenomeno che scoppia nella metà della crisi morale ed economica del dopoguerra, un salvatore, un mostro che avrebbe sparso spazzatura sul suo cammino. Un sistematico lavoro di distruzione e demoralizzazione… che alla fine non è diventato che un atto sacrilego». Del resto come preannunziarono nel loro manifesto: «Dada non significa nulla. È solo un prodotto della bocca».

Tuttavia la dirompente portata del nichilismo non può considerarsi circoscritta ad una mera disputa fra intellettuali. Come, infatti, l’impeto distruttivo e il desiderio di fondare un nuovo corso della storia è la molla della rivoluzione in campo artistico, così lo sarà delle ideologie totalitarie che, presentandosi inizialmente come reazioni al nichilismo insito nella società borghese, giungono ad instaurare forme politiche improntate sull’odio etnico o politico e addirittura sul genocidio. Ma il nichilismo si fa sempre più evidente anche nella nostra società, dove la demonìa del consumo e della téchne rappresentano l’unico motore dell’esistenza, e l’uomo non ha più un principio ispiratore per le proprie azioni. Istituendo un parallelismo con la Commedia di Dante, potremmo paragonare il moderno obnubilamento delle coscienze, ad una discesa nei gironi infernali – del resto, la meccanicità e la mancanza di uno scopo, prerogative della nostra società, erano anche ciò che contraddistingueva i dannati dell’Inferno dantesco. Ecco, dunque, affiorare dappertutto il nulla (nihil), il nulla interiore di un uomo disumanizzato, despiritualizzato, decontestualizzato, il nulla propinatoci dai programmi televisivi, il nulla che si manifesta come violenza: violenza contro i più deboli, violenza negli stadi, violenza che traspare da omicidi tanto assurdi quanto efferati, violenza contro sé stessi.

Produrre, consumare, morire, sembra essere divenuto l’imperativo categorico che sottende la folle danza della nostra generazione, in un mondo dove tutto è divenuto merce, dove vale ciò che Wilde già ebbe a dire della società vittoriana, e cioè che: ”Si conosce il prezzo di tutto e il valore di nulla”. Il nichilismo è dunque la prova lampante di una profonda crisi generale che da tempo sta minando le basi stesse della civiltà conducendola verso il suo inesorabile epilogo (quale sarà? Ai posteri l’ardua sentenza!). Potremmo far finta di nulla, ignorare il significato della parola nichilismo, ma non possiamo negare (a meno d’essere intellettualmente ciechi e sordi) che la nostra cultura e la nostra società siano pervase da una forte pulsione autodistruttiva, e che il nichilismo pesa su di esse e su ognuno di noi come una spada di Damocle. Lo si denota, ad esempio, da quanti intellettuali di sinistra si son dati alla collaborazione con intellettuali di destra e viceversa, o dalle loro divagazioni nel divertissment e nel disimpegno. Quando il pensiero non è capace di assoluti, è davvero la fine del pensiero. Non si può servire Dio e Mammona!

Detta così la storia del nichilismo sembrerebbe il racconto del periplo di una navicella spaziale intorno ad un chissà quale paradiso perduto. Ci sarà un approdo? E quando? Ma soprattutto, questo paradiso esiste sul serio? Potremmo altresì addurre una metafora astronomica, sostenendo che la società moderna pare essere giunta ad una situazione di afelio rispetto all’essenza. Ma, ‘gravitiamo’ davvero attorno ad una ‘essenza’? Se si, quando raggiungeremo il perielio? Ma quante domande, sto cadendo anch’io nel gorgo del dubbio patologico tipico relativismo, vera anticamera del nichilismo…Meglio fermarsi!

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