Il fantastico italiano ritrova le sue radici

Il labirinto, come si sa, non è soltanto una stravaganza architettonica, un ghiribizzo di giardinieri, ma è un vero e proprio percorso iniziatico, alla fine del quale si è assai diversi da quando lo si è imboccato. Esso cela sempre un mistero, un tesoro, una verità. Casa Sarra, una magione antichissima, costruita sul costone del monte che sovrasta il paesino abruzzese di Borgo San Rocco, non è forse, come ad un certo punto si dice, «labirinto dei labirinti, teatro dei teatri, gioco dei giochi»? Di conseguenza, il destino d Alessandro, che ha «il cuore a forma di libro» e che vi giunge casualmente dopo una delusione amorosa, è decisamente segnato. La sua storia ci viene narrata da Luigi De Pascalis ne Il labirinto dei Sarra (La Lepre, pagg. 300, euro 22) a dimostrazione che il fantastico italiano è vivo e lotta insieme a noi, e riesce a dare dei punti, e che punti, alle fiacche e ripetute masturbazioni mentali di tanta giovane narrativa indigena. De Pascalis, però, ahinoi, giovane non è e al fantastico nei suoi vari aspetti si dedica dall’ormai preistorico 1965, è stato tradotto all’estero, ha vinto il Premio Tolkien nel 1985 e 1986, ha alle sue spalle vari altri libri che adesso La Lepre ristamperà per valorizzare finalmente un autore di grande originalità.

Il labirinto dei Sarra è la dimostrazione concreta che può esistere, anzi esiste, un fantastico italiano che affonda la sua ispirazione non nell’immaginario anglosassone o imita pur grandi modelli stranieri, ma nella leggenda, nella favolistica e nel folklore della penisola, con eccellenti risultati. Anzi, nel caso presente, dimostra anche che il fantastico rettamente inteso non può non fare i conti col mito, che di esso è oggi la estrema propaggine. E De Pascalis ha saputo dove ben pescare sin dall’inizio della sua carriera (nel 1982, la sua Chanson de Richard, che si ispirava a un dimenticato testo medievale, era ambientata proprio in Puglia). Difficile raccontare la trama del Labirinto dei Sarra senza svelare troppo le carte, ma si può dire che la ricerca iniziatica del giovane Alessandro, insieme alla sensuale Ambra, si svolge su due piani: quello esteriore riscoprendo la casa avita, infestata dall’ombra del protonotario Deodato, e i suoi misteri architettonici, ma anche un modo di vivere che non esiste più travolto nella sua essenza e nei suoi sentimenti semplici dalla modernità; da un altro, attraverso il percorso fisico, si giunge al piano mitico-esoterico, e alla scoperta della sconvolgente verità celata nei suoi sotterranei, che è forse proprio quel «tesoro» cercato per generazioni e mai trovato…

Scritto con uno stile asciutto, ma non per questo meno evocativo, senza fronzoli, ma non per questo meno pieno di suggestioni di ogni tipo, il romanzo dimostra come la nostra narrativa non sia affatto priva di autori originali e ricchi di qualità letterarie, spesso messi in ombra da tanta zavorra giovanilistica, esaltata proprio perché tale.

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Tratto da Il Giornale del 30 luglio 2010.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

  1. Cyrinus
    | Rispondi

    Ottima introduzione da parte di Gianfranco de Turris ad un libro "Il labirinto dei Sarra" che sperò di procurarmi e così leggere al più presto.

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