Il delirio antimoderno

Una visione del mondo basata su principi tradizionali comporta inevitabilmente taluni inconvenienti, non ultimo quello di trovarsi in contrasto con il comune sentire della propria epoca. Conoscendo anche solo sommariamente le varie idee tradizionali si potrà infatti constatare come queste inevitabilmente collidano con tutto ciò che costituisce la struttura portante del presente, venendone ad essere una controparte difficilmente conciliabile o finanche antitetica.

Dal punto di vista di un osservatore completamente immerso nella contemporaneità possiamo immaginare quanto strana debba apparire l’immensa costruzione del mondo tradizionale: maestosa, stravagante, esotica, incomprensibile. Mostrando di sé così poco e così tanto, parlando oscuramente per simboli, allusioni, metafore, completamente formata da norme assurde e terribilmente poco pratiche, dispiega le sue teorie e le sue concezioni, riportando alla luce idee e concetti che si credevano ormai superati, antiche sopravvivenze di epoche antiche e dimenticate.

Il quadro che se ne può delineare in queste brevi note sarà sintetico ma estremamente significativo.

Si potrà incominciare affermando, con Evola, che “vi è un ordine fisico e vi è un ordine metafisico. Vi è la natura mortale e vi è la natura degli immortali. Vi è la ragione superiore dell’“essere” e vi è quella infera del “divenire”. Più in generale: vi è un visibile e un tangibile e, prima di là da esso, vi è un invisibile e un non tangibile quale sovramondo, principio e vita vera” (1).

Vi è inoltre un ordine fondamentale, uno stato effettivo delle cose che non si può eludere in alcun modo e che costituisce la vera natura di ciò che esiste. E’ un principio che porta tutti gli esseri viventi a manifestare la loro vera essenza e a fare loro occupare nella società e nel mondo il ruolo che è loro più consono. L’universo forma una gerarchia che dalla somma perfezione divina scende fino alla creatura più misera. Ma, per quanto dappoco, nessuna cosa, nessun essere è totalmente privo di valore, perché occupa il posto che a lui e a lui soltanto compete, che è unico e che gli permette di collaborare alla perfezione del tutto. Da ciò possono derivare numerose conseguenze, con molteplici applicazioni praticamente in tutti i campi. Ad esempio con il riconoscimento dell’esistenza di autorità superiori a quelle umane che forniscono i principi della legittimità e dell’esercizio del potere, così come il riconoscimento del principio di distinzione, che porta ad ammettere l’intrinseca differenza tra gli esseri umani ed il relativo differente ruolo all’interno del vivere comune, così come il valore sacro di professioni, scienze ed arti, il cui svolgimento è un “mestiere” nel vero senso della parola, un ministerium, un’istituzione, un servizio che rispecchia un ordine naturale e preternaturale, perfettamente conforme alla natura propria dei singoli e dell’organismo sociale.

Non si dimentichino poi il valore del rito, mezzo di comunicazione con realtà superiori, atto sacro fondamentale per il mantenimento dell’armonia universale, ed infine naturalmente l’esistenza di una vita oltre la morte, e di differenti sorti riservate alle anime nell’aldilà.

Come si può constatare anche solo da questi brevi accenni tutto ciò costituisce una serie di idee ormai inattuali che si scontrano con le prove della moderna scienza, le conquiste dell’intelletto, i progressi della ragione. Di fronte alla sicura misurazione e catalogazione di ogni fenomeno fisico, ai risultati pratici ottenuti nonché alla oggettiva utilità di molte recenti invenzioni e scoperte, come è possibile non ammettere che quello antimoderno è un vero e proprio delirio?

E in effetti è vero, ed è necessario ammettere la natura delirante del punto di vista tradizionale.

Ma, se le parole hanno realmente un significato, vediamo di ben intendere quello che si cela dietro il termine appena usato. Molte parole, quasi tutte, hanno un’origine che testimonia la rappresentazione di fatti concreti, presi come esempi emblematici dal vivere quotidiano; non fa eccezione delirium, che nasce dall’antico mondo agricolo latino.

La lira è infatti il solco tracciato dall’aratro, e colui il quale de-lira non fa altro che uscire da questo solco, deviando dal percorso, creando quindi un’anomalia, un’aberrazione, in ultima analisi un atto insensato.

Da qui la critica che può venire rivolta a chi propone una visione del mondo alternativa, che si pone fuori dalle accettate e comuni prospettive al momento in vigore.

Critica indubbiamente fondata ma che, se considerata con attenzione, può a sua volta essere usata contro gli stessi critici. Di fronte alle testimonianze della storia, ai molteplici frutti e alle evidenze che risultano dall’osservazione dell’epoca attuale ci possiamo con ragione domandare chi abbia delirato per primo, chi abbia per primo abbandonato un mondo per costruirne un altro su nuove basi. La società moderna stessa è, a ben vedere, il risultato di tale cambiamento, di quel “salto di paradigma” che è stato anche cambiamento di prospettiva, e creazione di una nuova realtà su misura, basata su principi differenti, ma anche su di un arbitrio puramente umano, su speculazioni teoriche esclusivamente non legate alla vera natura spirituale dell’essere.

Un mondo artificiale, una sintesi priva di metafisica destinata a mostrare prima o poi tutti i suoi limiti. E’ stato proprio l’abbandono del sulcus primigenius tradizionale che ha portato ad un vero ed effettivo delirio. Artificialità quindi, ovvero lontananza dal reale, da quella realtà che non si limita al puro aspetto quantitativo-materiale, ma rappresenta ed è manifestazione di principi autenticamente esistenti e che, in quanto tali, possono essere ignorati soltanto con grave danno. Le distorsioni create sono così notevoli e numerose che elencarle sarebbe esercizio noioso e ripetitivo; basti solo far notare che mai come negli ultimi cinquecento anni l’uomo ha così tanto nuociuto a se stesso ed al pianeta in maniera così insensata, per non parlare poi dei danni, non misurabili, arrecati alla propria intellettualità ed alla propria spiritualità.

Ora che questo mondo artificiale scricchiola sotto il peso delle sue stesse contraddizioni è più che necessario almeno chiedersi se un altro mondo non sia possibile; atto questo – la riflessione – che forse rimane l’unico gesto di libertà ed autonomia, essendo gli spazi per l’azione pressoché ridotti al minimo. Non possiamo non concordare con Frithjof Schuon infatti nel constatare che “l’errore diventa verità perché esiste” e che “tutto quello che esiste grazie all’accecamento degli uomini si chiama “nostro tempo”, con una sfumatura di imperativo categorico.”

Non sappiamo se sia possibile uscirne, né quando, né in che modo, ma sappiamo per certo che il primo passo verso un’eventuale guarigione è proprio la constatazione della malattia, senza dimenticare che “il mondo attuale è un “male necessario” la cui radice metafisica è, in ultima analisi, nell’infinito del Possibile divino” (2).

 Note

(1) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma, 2003, p.43.

(2) F. Schuon, Caste e razze, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1979, pp.20-21.

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