I Bulgari del Volga. Parte 3.

(Le prime due parti di questo articolo sono pubblicate qui e qui).

Lasciamo da parte le ipotesi speculative su questi problemi che devono essere studiati meglio per cancellare certi dubbi incombenti sulle origini degli stati russi e occupiamoci delle fonti primarie più affidabili che parlano della Bulgaria del Volga ossia, per la maggior parte, degli scritti dei geografi e dei viaggiatori musulmani oltre a quelli degli storici ufficiali e degli osservatori militari della corte romea (preferiamo l’aggettivo romeo a bizantino) a stretto contatto (in guerra o nei traffici mercantili) con la steppa e con i suoi popoli.

Su quegli scritti e su quegli autori, M.I. Artamonov, il fondatore dell’archeologia moderna russo-sovietica, ha fatto un puntuale e meticoloso studio nei primi capitoli della sua monumentale Storia dei Cazari. Ci avverte che le prime menzioni dei Bulgari sono difficili da interpretare giacché, semmai questa gente sia esistita come popolo a sé (diciamo noi), solitamente si trovava in leghe tribali diverse e separate da grandi distanze e, negli elenchi compilati dai vari autori che ne danno notizia, appare e scompare con sospetta frequenza. Gli stessi geografi musulmani evitano con cura di indicare Bolgar come città dei Bulgari e invece la dicono dei Cazari, degli Slavi etc. (lo notava già l’arabista tedesco G. Jacob nel 1887). Per di più, dacché si acquisì una sede stabile nella regione balcanica, il nome “bulgaro” non fu più il distintivo di una gente ben precisa, ma fu usato per riferirsi agli Unni o a tribù singole della lega unna con molta genericità. A questo punto urge pure fare una considerazione ambientale per capire lo spirito col quale le fonti romee, prima di altre, scrivono perché così si possono forse capire i loro numerosi anacronismi che creano altra confusione!

L’area in cui ci stiamo movendo, il Ponto, ha subito a lungo (dal IV fino alla metà del XV sec. d.C.) l’influenza culturale dell’Impero Romano d’Oriente e quella dei popoli di ceppo turco (tante altre città sulle foci del Don sono di origini turche). In modo analogo, ma per più breve tempo (fino al XII sec.), la steppa asiatica ha subito quello della Persia per cui i popoli migranti, sebbene attraversassero il territorio cazaro, guardavano sempre nella direzione di Costantinopoli che si era creata fama di faro di civiltà e di modello da imitare e da emulare e, soprattutto, terra fertile da coltivare o da dare in pascolo alle bestie.

E’ chiaro che molte delle categorie culturali, filosofiche e religiose che i Romei dalle basi in Crimea e dal Bosforo Cimmerio (porta d’entrata in Cazaria) diffondevano nel Caucaso attraverso l’espertissima diplomazia (il più delle volte impersonata da esponenti religiosi cristiani come, ad es., i famosi “apostoli degli Slavi” Cirillo e Metodio) e l’ausilio degli “amici” nomadi diventavano per il “barbaro” altrettanti punti di vista, atteggiamenti e maniere ai quali confarsi, a costo dell’ostilità dei popoli vicini e della lotta armata elevata a supremo mezzo d’emancipazione.

L’Impero infatti volentieri indulgeva a volte nelle misure militari impelagandosi in guerre dirette o suscitandole fra i nomadi, con smaccate operazioni condotte al fine di creare odii intestini fra un capetto e l’altro. Si insinuavano sospetti di tradimento fra i parenti, si subornavano consiglieri e generali con i tanto amati lussuosi doni di cui la Città dei Cesari era un immenso forziere. D’altronde, quant’altro potesse provocare aspre lotte intestine fra i popoli soggetti era benvenuto dai Cazari i quali alla fine facevano da intermediari fra l’Impero Romano d’Oriente e la steppa, secondo la logica di mantenere buone a tutti i costi le relazioni con i ricchi partners commerciali. E noi sappiamo pure che sia Costantinopoli che Itil (la capitale cazara sul Grande Fiume) spendevano gran parte del budget delle rispettive entrate fiscali per mantenere un buon rapporto con gli stranieri che premevano ai rispettivi confini mentre, allo stesso tempo, sfruttavano la rinascita economica crescente del VII-VIII sec. d.C.

In tali circostanze s’accumulò tanta documentazione preziosa orale e scritta che l’Imperatore Costantino VII Porfirogenito riuscì a mettere insieme nel X sec. una specie di manuale storico-geografico sulla Steppa Ucraina che diventò, addirittura, la più preziosa fonte occidentale sull’argomento steppa. Le sue pagine (specialmente il De administrando Imperio) sono una miniera ricchissima di testimonianze, spesso più tarde rispetto a quanto ancora racconteremo, ma la cui parte più notevole è quella in cui l’Imperatore descrive le prassi diplomatiche consolidate per interpretare la scelta delle notizie di cui un governante deve tener conto per le sue politiche fondamentali affrontando i nomadi ben elencati.

Ci interessano moltissimo i principi giuridico-religiosi sui quali si fondava diplomazia e che erano pure la base della civiltà romana, al di là delle realizzazioni materiali che chiunque poteva ammirare nella vita e nei monumenti (le ricche chiese!) delle città greche maggiori. I concetti più frequentemente diffusi col chiaro scopo di assoggettare lo straniero – prima ideologicamente e poi materialmente – partivano già dall’esaltazione delle figure dell’Imperatore Romano d’Oriente e del suo Patriarca (o dei loro delegati, in maniera equivalente). Questi erano presentati come le due uniche e massime autorità su tutta la Terra alle quali era dovuta obbedienza e sottomissione poiché il loro potere universale e sacro derivava dal dio più potente (e quindi unico!) abitante nei cieli, pari al turco Tenri.

Rispetto, venerazione, soggezione e sacralità del potere creavano un’atmosfera che condizionava magicamente i modi di presentarsi a trattare e, siccome analoghi concetti erano ben noti e rispettati e usati per gli stessi scopi in Asia Centrale, le pretese romee restavano per i barbari legittime e credibilissime! Val la pena di ricordare un episodio autentico e tipico raccontato da Teofilatto Simocatta nel quale la grande ammirazione e il fortissimo desiderio d’emulazione esistente presso i barbari per il modo di vivere romeo è dipinto molto bene nella cerimonia del riuscire a godere del cibo di chi si ammira o si stima (oggi diremmo: Ah, se potessi sedermi con lui alla stessa tavola!).

Siamo nel VII sec. d.C. e il Kaghan avaro minaccia la città di Tomis (Costanza sul Mar Nero) assediandola. Non appena viene a sapere che, a causa di una carestia prodottasi fra i Romei, il generale Prisco ha difficoltà a procurarsi il cibo per l’esercito, il Kaghan interrompe volentieri l’attacco. Fornisce aiuti alimentari (gli offre un posto alla sua tavola) , ma chiede che almeno gli si cedano… le spezie indiane che l’Imperatore di Costantinopoli usa alla sua tavola! Lo scambio è fatto e tutto finisce con la pace rituale.

In realtà i Romei tentavano in ogni modo di circondare la loro cultura di un aureola di divino, di talmente superiore da incantare e quindi la sola ammirazione o emulazione non bastava mai per accedere a contatti paritari con l’Impero!

I “barbari” non erano veri e propri esseri umani e prima d’ogni altra cosa occorreva essere parte di una “nazione” secondo le sacre regole imperiali fissate da tempo. Non solo!. Da quando (IV sec. d.C.) il Cristianesimo era religione dello stato questi principi erano ben chiari nelle Sacre Scritture dove Dio stesso definiva le nazioni. Questo dio cristiano me aveva fissate 72 da Noé in poi alle quali tutti gli esseri umani facevano capo e di qui seguivano tutta una serie di criteri “divini” per distinguere le “selvagge bande nomadi” dalla sola e unica “nazione civile” o popolo di Dio. I Romei inoltre, oberati dalle innumerevoli denominazioni barbare, rinunciavano a volte a trascrivere tutti gli incomprensibili nomi che i capetti stranieri si davano e li elencarono a casaccio sotto i 72 sopradetti etnonimi e i loro derivati classici più soliti: Cimmeri, Sciti, etc. che già a quell’epoca non esistevano ormai più etnicamente.

Un altro aspetto ideologico (e pedagogico) degli incontri fra Barbari e Romei che ci preme sottolineare era il fatto che la Corte Imperiale aborriva dalle discussioni assembleari frequenti fra i Germani o fra i nomadi in cui le decisioni erano prese con difficoltà e con gran perdita di tempo. Negli eventuali contatti si pretendeva che ci si presentasse al cospetto del diplomatico romeo di turno con un ristretto numero di persone raccomandando che gli argomenti fossero esposti in modo conciso. Ogni conclusione o accordo sarebbe poi stato scritto e le parole fissate “per sempre” in questo modo magico! Alle udienze diplomatiche romee quindi, un capo alla volta, magari accompagnato da qualche dignitario, ma soprattutto con ricchissimi omaggi degni dell’Imperatore e del suo entourage: schiavi, cavalli o pellicce pregiate.

In quelle conversazioni (lo si fa ancora oggi nei contatti internazionali) si approfittava per raccogliere ogni possibile informazione: geografica, militare, etnografica etc. e di qui si vagliava la credibilità dell’interlocutore, l’opportunità commerciale e gli eventuali suoi piani militari segreti contro l’Impero.

I Romei inoltre erano fortemente cerimoniali, sempre e comunque tesi ad evidenziare la superiorità della loro civiltà rispetto agli usi dei nomadi, marchiati, questi ultimi, al contrario di assoluta “inciviltà”, e in ciò il ruolo della religione cristiana con la sua tradizione e i suoi riti elaboratissimi era primario per lo spettacolo del potere che tanto affascinava i nomadi. Le cerimonie impressionavano talmente i barbari al punto di farsi battezzare per ritornare fra i loro uomini vestiti di una maggiore sacralità mentre, allo stesso tempo, si inculcava l’idea che chi non fosse battezzato con la Chiesa Cristiana (ancora non lacerata dal Grande Scisma del 1054) non era che un uomo a metà.

Le mode costantinopolitane calorosamente raccomandate dai missionari cristiani penetravano subdolamente fra i “barbari” e li illudevano di farli entrare in un mondo nuovo più ricco e più potente. Anzi! Verso il VI sec. si ebbe un Anticaucaso cristianizzato quasi fin sotto il medio Don, fin dove i vescovi romei riuscivano ad arrivare. E per tutto il tempo in cui Costantinopoli e il suo dominio politico-religioso furono rispettati in qualche maniera nell’area del Mar Nero, pur mettendo zizzania fra le miste genti, le azioni, le regole, le prescrizioni e le abitudini romee costituirono lo sfondo ideologico comune dei testi scritti giunti fino a noi. Messo ben in evidenza pure la frammentarietà delle notizie a disposizione, dovrebbe essere possibile sfruttare qualche episodio più saliente che ci racconti l’evolvere della diaspora bulgara, sempre con l’indispensabile precisazione che Unni, Bulgari stessi e Avari non sono mai stati popoli omogenei, ma hanno sempre coperto sotto i loro nomi una mescolanza di etnie.

Su questo palcoscenico un’inaspettata ambasciata nel 463 d.C. incontra la diplomazia romea. Narra Prisco di Pani che i Saraguri, gli Uroghi e gli Onoguri in missione unitaria chiesero di poter diventare alleati dell’Impero (foederati) e avere il permesso di risiedere pacificamente vicino al confine cioè nella zona a nord e immediatamente ad est della Crimea. Il capo-missione riferisce pure di aver dovuto abbandonare la steppa abitata dai suoi (al di là del Volga) scacciato dai Saviri che a loro volta erano stati spinti via dagli Avari in fuga da un popolo arrivato da lontano delle rive dell’Oceano orientale (Pacifico? Mar Giallo?)… Inoltre i Saraguri avevano battuto e conquistato gli Akatziri ed ora cercavano anch’essi spazio vitale!

Il racconto dei nomadi probabilmente è vero, se diamo uno sguardo agli avvenimenti contemporanei in Asia Centrale, ma, a parte le strane denominazioni dei popoli fino allora poco conosciuti dai Romei e gli eventi abbastanza insoliti, dovette suscitare una grande apprensione a Costantinopoli. Non solo! Qui sembra poter riconoscere una precoce e “indiretta” menzione dei Bulgari perché le tribù nominate non sono che le componenti etniche che più tardi ritroveremo in una specie di grande lega bulgara. A parte il notare che gli Uroghi (Ugri?) sono forse gli antenati dei Magiari (Ungheresi) o forse un’altra schiatta ugro-finnica aggregatasi o imparentata, l’episodio ci riguarda, se lo consideriamo riferito a dei probabili proto-bulgari e perciò lo terremo in debito conto.

Andiamo ancora avanti nel tempo e nel V sec. d.C. (482) troviamo dei Bulgari alleati dell’Impero Romano d’Oriente invitati da Zenone per battere i Goti benché pure qui, lo ripetiamo, l’etnonimo Bulgari non è sicuro né univocamente attribuibile ad una precisa entità etnica.

Sempre in ambito romeo, c’è un racconto interessante di Giovanni Efesino che scriveva al tempo dell’Imperatore Maurizio (fine del VI sec. d.C.). E qui la storia comincia a diventare più complicata giacché si narra che tre fratelli provenienti dalla Bersilia Interiore (Ucraina? Alania o Cazaria?) a marce forzate si diressero con ben 30 mila Sciti (è un nome generico che i Romei attribuivano ai popoli della steppa apparentemente “non turchi”) verso il Mare d’Azov. Qui giunti e accortisi di essere giunti al confine dell’Impero Romano d’Oriente, uno dei tre prese con sé 10 mila cavalieri e chiese all’Imperatore una terra dove stabilirsi con la sua gente al servizio dell’Impero. Il nome del personaggio in questione è cioè l’eponimo dei Bulgari! Gli altri due fratelli invece si diressero verso est nella terra degli Alani dove c’era una città costruita dai Romani chiamata Caspium e là abitarono. Secondo il racconto ci sarebbero, da una parte, i Bulgari che abitano ormai nella zona dei Balcani e dall’altra i Puguri (sono forse i Fanagori, fondatori di Fanagoria, presso Kerc’/Keresc’ sul Mar d’Azov) in Bersilia (tutti cristiani, ci rassicura l’autore). Da questi altri Bulgari deriverebbero i Cazari che presero il nome dal più anziano dei tre fratelli, Kazarik. Assoggettarono successivamente le altre genti della regione per legame che unì per secoli Bulgari e Cazari, se non fosse che purtroppo la versione di Giovanni Efesino è molto sospetta ed è contestata per i suoi vari anacronismi (non per le conclusioni!)…

Marcellino Còmite invece parla dell’Anticaucaso e delle sue genti e c’informa che gli “Sciti” si trovano lì da lungo tempo insieme con le genti turche ossia con gli Onoguri e i Kutriguri. Non solo! Nel racconto degli anni seguenti lo stesso autore parla finalmente di “bulgari comuni” (forse sono quelli che in seguito sono chiamati i “bulgari piccoli” o hudye in russo ossia gli antenati dei Ciuvasci)! Purtroppo nel V-VII sec. sono anni in cui i contatti dei Romei con la steppa sono ancora un po’ nebulosi a causa della situazione in confusa evoluzione. Ad ogni buon conto i nomi dei personaggi coinvolti sono trascritti in modo non preciso e le loro apparizioni sono poste in sequenze anacronistiche a volte e, benché ci sia perfino un famigerato elenco di sovrani bulgari al quale ci si può riferire, in pratica dobbiamo partire da Kubrat/Kuvrat e dalla sua storia personale…

Prima però, seguendo Lebedynsky, diciamo che dai reperti archeologici trovati nella zona del Mar Nero i Bulgari sembrano un po’ più distinguibili (benché senza un’assoluta sicurezza) poiché siamo ai tempi del favoloso Orkhan (o Mohodu khan) quando si forma una grande lega di tribù turcofone, ugro-finniche e iraniche, già in parte trascinate verso ovest dagli Unni, che lascia qualche traccia “tipica” nella Steppa Ucraina. Orkhan si presenta come discendente della vecchia dinastia “sacra” turca dei Dulo, secondo quanto tramandatoci dagli storici romei Teofane Confessore e dal Patriarca Niceforo, e sembra che sia rimasto a lungo al potere nella lega come reggente in quanto il successore, suo nipote Kubrat/Kuvrat (Orkhan è suo zio per parte di madre), è ancora un bimbo. Nel 584 Kubrat finalmente succede allo zio passato a miglior vita e resta a capo della lega finché nel 619 non decide di allearsi con Costantinopoli. E’ ormai sul trono da 26 anni e, sapendo che l’alleanza significa anche abbracciare il Cristianesimo, Kubrat si reca dall’Imperatore romeo Eraclio (610-641) e si fa battezzare. Rimarrà qualche tempo nella capitale a studiare presso il Patriarca (il suo biografo Niceforo detto prima) e, quando finalmente tornerà nell’Anticaucaso, sarà consacrato unico capo cristiano.

Più tardi gli Avari, mescolanza di varie popolazioni non ben sedentarizzate, si scontrano con i Bulgari a nord del Ponto e portano confusione nelle tradizionali relazioni steppiche. L’Impero Romano ha tutto l’interesse a questo punto a sostenere Kubrat purché costui riesca a contenere le incursioni àvare e così l’indipendenza (e la forza politica e militare) della Grande Bulgaria (nome convenzionale del regno di Kubrat) è assicurata.

Alla morte nel 642 (o 665?) d.C. del sovrano bulgaro le liti per la successione fra i suoi numerosi figli causano lo sfascio della lega. I fratelli Asparukh e Bat-bajan (Batbai o Bajan), forse a causa di dissidi sulla posizione da prendere contro la forte e crescente pressione politica interna cazara, si separano. Il primo, come è regola il minore in età, si dirige verso l’Impero Romano dove fonderà la Bulgaria danubiana con capitale Pliska (le cui rovine oggi si trovano nelle vicinanze della cittadina di Aboba) mentre Bat-bajan rimane nella Steppa Ucraina e confluisce nella realtà statale cazara. Un altro fratello, Kotrag, si dirige a nord e superato il Don si stabilisce sulla riva sinistra in vicinanza della riva alta del Volga. Che fine fa il cristianesimo di Kubrat? Non lo sappiamo, ma di sicuro questa fede non aveva coinvolto tutti i suoi fratelli.

La migrazione di Asparukh è ricordata pure nella lettera del Kaghan cazaro Giuseppe (fine del X sec.) al cordovano Hasdai Ibn Sc’aprut, gran visir ebreo del Califfo Abd-ur-Rahman III, e qui si afferma che “… (i Bulgari di Asparukh) abbandonarono la propria terra e fuggirono, e (noi Cazari) li inseguimmo finché non raggiunsero la riva sinistra del Danubio”. Forse è una vanteria esagerata visto che il passaggio dei Bulgari nel bacino danubiano avveniva ormai da decine di anni fra il 660 e il 900 d.C. e se consideriamo il fatto che anche i Bulgari erano dei turchi e che nei Balcani s’erano stabilite tribù turcofone già dal V sec. d.C. Negli scavi, non è registrato però alcun trasferimento improvviso e affrettato di famiglie a centinaia nell’arco di pochi mesi al tempo della separazione di Asparuch da Bat-bajan, per cui probabilmente, nel caso specifico, fu un’armata battuta che si allontanò rapidamente cercando riparo fra i connazionali.

E’ vero pure che col miglioramento del clima nella regione pontica si ebbe un vero incremento della produzione alimentare e ciò causasse una pressione demografica che irraggiava le migrazioni verso ovest e verso nordest, chissà, pure in accordo con l’Impero Romano e Cazaro…

Una cosa risulta da vari indizi degli scavi: I migranti sapevano bene dove andare! L’avanguardia prendeva possesso della terra adatta e i giovani successivamente vi si trasferivano cercando di raggrupparsi per famiglie e per legami politici nei luoghi scelti. Solo più in là i vecchi, se ancora in grado, si riunivano al resto della loro gente. Sarà perciò avvenuto proprio questo su spinta dei Cazari che stavano lentamente evolvendo verso un’organizzazione statale molto potente. Risulta infatti che conducessero una politica non troppo amichevole verso la Grande Bulgaria pontica, ancora 20 anni dopo la morte di Kubrat, allo scopo d’indebolirla e costruire il proprio stato sulle sue rovine. Secondo reperti archeologici recenti, il disegno cazaro è visibile in una strana tradizione. Un capo bulgaro del gruppo di Asparukh, non volle seguirlo. La ragione era che dai cazari avesse avendo accumulato e sotterrato un tesoro che non voleva abbandonare né dividerlo con altri. Naturalmente fu ucciso dai Cazari…

Questo è il racconto fissatosi nell’epica locale.

Sono, questi secoli VII-VIII d.C., anni di rafforzamento e di crescita dei Cazari legati intimamente ai Bulgari di Bat-bajan in cui il modello romeo (e persiano) di dominio si va affermando lasciando serpeggiare l’idea che si possa passare da una aristocrazia di guerra e di razzia a quella mercantile, più pacifica e quindi meno costosa. C’è la possibilità di controllare a valle le vie d’acqua che conducono ai grandi mercati di Costantinopoli o Baghdad oltre che alla ricca e lontana Cina e perciò non si può perdere tempo. Un parallelo? E’ la stessa situazione che incoraggia già nel 623 il mercante franco Samo a crearsi uno stato fra gli Slavi Vendi della Moravia che, ahimè, avrà vita corta come stato, ma farà prosperare Praga…

A questo punto occorre disporre dei mezzi non solo per controllare, ma anche per proteggere le vie d’acqua e di terra della Pianura da dannose incursioni anche di tribù sorelle. Occorre essere in grado di stipulare patti con i popoli confinanti da pari a pari, come fa Costantinopoli e, in più, si poteva o proclamare una religione di stato allo scopo di avvicinarsi o adottare la tolleranza massima in questo campo per non disturbare i mercanti ossia gli operatori economici da “coccolare” più seriamente.

Il commercio internazionale con prodotti ad alto valore aggiunto diretti ad una clientela come le corti e i signorotti locali sparsi sui territori dell’Eurasia richiede investimenti ingenti e a lungo termine perché lungo è il tempo che impiegano le merci per muoversi da un punto all’altro. E chi altri, se non i mercanti ebrei detti Rahdaniti d’origine persiana hanno i mezzi per gestirlo? Sebbene non abbiamo molte tracce di ebrei a Bolgar, i prodotti reperibili a costi convenienti nel Grande Nord d’Europa dove trafficano i mercanti bulgari arriveranno comunque alle carovane gestite dai Rahdaniti senza grossi attriti giacché la forte e stretta alleanza (parentela, la possiamo chiamare) fra Bulgari e Cazari per il bene comune durerà molto tempo!

Una volta scelta questa via, sono proprio i mercanti ad aver la meglio nell’evoluzione politica dello stato cazaro che alla fine avrà un Kaghan-mercante, analogamente a quello bulgaro del Volga che avrà un sovrano-mercante o bii.

Ed ecco che cosa avviene invece sul Volga.

Si individuano le aree per la gestione del transito nelle grandi anse che il fiume fa prima della foce e la migliore, per vari motivi, è la confluenza con la Kama dove sorgerà appunto Bolgar Vecchia. Risalendo a monte si può penetrare di qui nelle terre dei popoli fornitori (Visu delle fonti arabe e Ves’ delle Cronache Russe, Jura o Ugri etc., tutte di ceppo ugro-finnico) e dai punti strategici sulla riva si possono percepire gli altissimi balzelli (la decima parte del valore stimato dal personale doganale) che gravano sulle merci.

Gli affari cominciano a crescere e gli Scandinavi Rus’, apparsi nel nord già nel VIII sec. d.C. in bande armate di tipo mafioso organizzate a far da scorta ai convogli per il sud, cominciano a pensare di poter fare tutto da soli, scorta armata e mercanti, e tentano persino di saccheggiare o ricattare con la paura le genti del nord in contatto riservato coi Bulgari.

Su questa via li seguono gli Slavi che si emancipano e penetrano sempre di più nella zona di Grande Rostov e della Suzdalia provenendo dal sud e dal nordovest (Kiev) cercando alleanze con chiunque, senza scelta preconcetta.

L’archeologia conferma felicemente questo quadro e, fra l’altro, porta alla luce una grande quantità di monete di provenienza soprattutto araba nelle aree più settentrionali dell’Europa, frutto del fiorente commercio riscontrabile con lo stesso ritmo crescente nel resto d’Europa.

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  1. Gessika Genova
    | Rispondi

    Non e’ possibile che Kubrat abbia studiato presso il patriarca Niceforo, perche’ li separano quasi 2 secoli. Niceforo e’ del 9 secolo. Inoltre le ricerche archeologiche dimostrano che i Bulgari danubiani si differenziano notevolmente da quelli del Volga, dove l’ elemento mongoloide e’ predominante, mentre i primi sono europeidi. Come possono essere tyurchi i bulgari, se i loro nomi non sono tyurrchi. Molti di lorj sono anzi di origine tracia, come Boris p.es., le dinastie – Dulo/dul significa stirpe/, Vokil, Ermi /il dio Erm – il greco Hermes,ecc. si trovano su iscrizioni del II mil.a.c. Non esiste il titolo khan, ne’ traccia di dio Tengri.

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