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L’epistolario di Adriano Romualdi

Dopo un nuovo periodo di inattività aggiorno il blog per segnalare un’ulteriore novità romualdiana alla quale, su gentile invito del prof. Renato Del Ponte, ho collaborato nei mesi scorsi.

È infatti appena uscito, per le Edizioni Arya di Genova, Lettere ad un amico, che raccoglie la corrispondenza di Adriano Romualdi con Emilio Carbone del periodo 1967-1971, oltre a diversi documenti inediti e fotografie. Il prof. Del Ponte, curatore del libro, ha scritto una lunga e interessante premessa; io ho curato l’introduzione e la bibliografia in calce.

Due lettere di questo epistolario erano state pubblicate dieci anni fa sull’ultimo numero di «Algiza» (16/2003, p. 4); altre due nel 1998 su «Arthos» (3-4/1998, pp. 121-125).

Il volume conta 176 pagine e costa 20 euro; può essere ordinato direttamente all’editore o reperito presso queste librerie.

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Adriano Romualdi e la rivoluzione conservatrice

correnti

Dopo una gestazione durata circa un decennio è uscita per Settimo Sigillo la nuova edizione del saggio di Adriano Romualdi Correnti politiche e ideologiche della Destra tedesca 1918-1932, da me curata e introdotta. E’ stato aggiunto il sottotitolo La Rivoluzione conservatrice: forse si sarebbe potuto audacemente utilizzarlo come titolo, probabilmente più semplice e memorizzabile, ma alla fine si è preferita la continuità, mantenendo quello della prima edizione.

Il libro costituisce la rielaborazione della tesi di laurea in storia contemporanea di Romualdi, discussa nel 1968 (in maniera semiclandestina) con Renzo De Felice e Rosario Romeo; la prima edizione fu pubblicata postuma nel 1981 dal padre Pino per le Edizioni de L’Italiano.

Questo l’indice del libro:

La Germania di Adriano Romualdi (Alberto Lombardo)
Prefazione (Franco Petronio)
I. La “rivoluzione conservatrice”: correnti ideologiche e politiche della Destra all’epoca della Repubblica di Weimar
Delimitazione spazio-temporale della “rivoluzione conservatrice” tedesca
La “rivoluzione conservatrice” nella realtà sociale tedesca
La “rivoluzione conservatrice” nella realtà europea dell’epoca
Suddivisioni e correnti in seno alla “rivoluzione conservatrice”
La letteratura sulla “rivoluzione conservatrice”
La “rivoluzione conservatrice” in relazione al nazionalsocialismo
Saggi d’interpretazione della “rivoluzione conservatrice”
II. La guerra mondiale e la “crisi dell’ideologia tedesca”
III. La critica alla Repubblica di Weimar: Moeller van den Bruck, il “Terzo Reich” e l’orientamento verso Est
IV. Oswald Spengler e i circoli neo-conservatori
V. Il movimento giovanile tedesco e le utopie neo-romantiche
VI. Le formazioni paramilitari e lo “spirito del fronte”
Appendice bibliografica
Indice dei nomi.

Il libro conta 182 pagine e costa € 20,00; può essere ordinato alla Libreria Europa.

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Completamenti

Ultimamente ho letto diversi libri interessanti, cominciando con il celebre Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki. Non solo il libro, ma anche la sua storia e quella del suo autore sono tanto singolari che hanno attratto l’attenzione di molti critici e studiosi. Non penso che ci sia granché di originale da poter aggiungere su questa intricata vicenda: ci si può anche limitare al piacere di una lettura insolita e avvincente.

Complice una certa pigrizia mentale che spero dovuta alla stagione ho limitato le letture alla narrativa, con l’unica eccezione de I più importanti disastri navali di Kenneth Barnaby (Mursia): un libro piuttosto datato ma ancora interessante, per il taglio tecnico che lo caratterizza e per l’autorevolezza che ai suoi tempi il libro e l’autore mi pare abbiano avuto.

Ho poi proseguito affrontando sistematicamente le opere di Alexander Lernet-Holenia, la cui lettura è ormai quasi completata. Ho letto, nell’ordine, Il giovane Moncada, Un sogno in rosso, Il venti di luglio, Lo stendardo, Marte in Ariete, Il conte di Saint-Germain, Ero Jack Mortimer, La resurrezione di Maltravers, che mi è parso il più hamsuniano, e Il signore di Parigi (tutti pubblicati da Adelphi); ne restano solo due tradotti in italiano, che mi sono già procurato per i prossimi tempi.

Lernet-Holenia ha grandi pregi. Un bello stile, preciso ma non pedante; ambientazioni accurate, che spaziano in molti luoghi, ma in particolare nell’Europa centro-orientale, e in poche epoche – dalla Francia rivoluzionaria de Il signore di Parigi al Venti di luglio, quello dell’attentato a Hitler (può darsi che nei testi che non conosco vi sia qualche eccezione, ma la gran parte delle vicende si svolge poco prima, durante e poco dopo la Grande Guerra). Oltre al Barone Bagge, di cui ho già scritto, ho particolarmente apprezzato Lo stendardo e Un sogno in rosso; in quest’ultimo compare anche il leggendario barone Von Ungern-Sternberg. Lo stendardo è quello in cui più chiara appare la fine di un’epoca, o meglio di un mondo; ed è quello che, a mio avviso, consente di inquadrare il suo autore, volente o nolente, ai margini della Rivoluzione conservatrice.

Poi, con lo stesso e consueto intento di completezza ho proseguito nella lettura di Borges e Bioy Casares, leggendo del primo Il manoscritto di Brodie, del secondo Un viaggio inatteso e Con e senza amore e, dei due, le Cronache di Bustos Domecq. Quest’ultimo offre esempi e strumenti di ironia che ben si potrebbero impiegare, oggi, contro la cricca di sacerdoti del politicamente corretto.

Poi due libri su un celebre episodio, tra storia e mito, della guerra civile spagnola, L’assedio dell’Alcázar (di C. Eby) e Morire all’Alcazar di T. Ciarrapico, che è evidentemente debitore del primo. Nonostante quel che diceva Adriano Romualdi del film fascista su questo episodio storico (io lo vidi da bambino e mi sembrò entusiasmante) mi pare che la vicenda sia così emblematica da poter ancora alimentare libri, racconti, sogni ed entusiasmi.

Con due libri dovrei aver terminato la lettura di altrettanti autori: Knut Hamsun, di cui ho letto la commedia Sulla soglia del regno (pubblicato in italiano nel 1927 da Alpes e mai più ristampato) e Gustav Meyrink, con il recente Il cardinale Napellus pubblicato da SE; era già uscito in italiano una trentina d’anni fa ma quell’edizione si trovava solo a prezzi indecenti. Dopo averlo letto, mi rendo conto che probabilmente sarebbe valso la spesa anche in passato; i tre racconti che lo compongono sono quasi perfetti.

In realtà, sulla completezza di Hamsun mi resta un dubbio: stando alla bibliografia che ne avevo redatto a suo tempo, nel 1899 venne pubblicato dalle ed. Remo Sandron Era pazzo?, che non sono mai riuscito a procurarmi; però mi pare di aver constatato, in passato, che si tratti di una traduzione sotto diverso titolo di Misteri.

Ho preso congedo da questi due autori piuttosto a malincuore. Certo, posso tornare a leggerli – e prima o poi lo farò – ma la prima lettura e il gusto della scoperta che le è proprio ormai non sono più possibili.

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Civiltà americana

In prossimità del solstizio d’inverno è uscita la seconda edizione, riveduta e aumentata, del Quaderno evoliano Civiltà americana. Pubblicato dalle Edizioni Controcorrente, costa 10 euro, reca una premessa di  Gianfranco de Turris e una mia Introduzione intitolata La tenaglia si è chiusa. Si tratta del quarantacinquesimo volume della collana; è il secondo di cui la Fondazione mi ha affidato la cura, dopo Il “mistero iperboreo”.

Ecco gli articoli che compongono la raccolta:

Noi antimodemi (1930)

America: l’equivoco del “popolo giovane” (1942)

La doppia maschera (1950)

Civiltà americana (1952)

“Libertà dal bisogno” e umanità bovina (1952)

Moralità americane (1953)

L’americanizzazione e le responsabilità della Rai (1954)

Uomo americano (1954)

Addio America d’altri tempi (1955)

Lo stesso male (1956)

Negri americani (1957)

Difendersi dall’America (1957)

Servilismi linguistici (1964)

La suggestione negra (1968)

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In morte di Pio Filippani – Ronconi

Con la morte di Pio Filippani – Ronconi, avvenuta due giorni fa, l’11 febbraio 2010, è venuto a mancare alla comunità dei vivi uno dei più straordinari interpreti della cultura.

Non ho mai avuto occasione di conoscere il professor Filippani- Ronconi, ma ne ho sempre avuto questa precisa immagine, confermata negli anni da tante persone che lo hanno frequentato più o meno assiduamente, dalla lettura dei suoi scritti, e – da ultimo – da alcune fotografie e filmati che hanno iniziato a circolare in rete.

Mi vengono in mente pochissimi altri casi di personaggi simili. Uso il termine personaggio, anziché persona, non tanto perché Filippani è assurto a personaggio – per esempio nelle Uova del Drago di Pietrangelo Buttafuoco – quanto perché la sua vita ha tutto del romanzo d’avventura, anzi persino lo trascende.

Ma a rendere straordinarie la sua vita e la sua figura è stato il connubio di pensiero e di azione. Il mondo, specie in passato, è stato attraversato da avventurieri di ogni risma; individui dalle biografie disparate, talvolta incredibili; e da grandissimi studiosi, uomini consacrati al sapere in ogni campo, non limitati nelle loro ricerche dai comparti stagni della scienza accademica, protagonisti di geniali scoperte e intuizioni. Ben più rari sono stati gli uomini che hanno saputo abbinare alla solidità dello studio la coerenza delle azioni. Filippani è stato un uomo di cultura e un guerriero; ed entrambe le cose in modo esemplare.

Sia chiaro, si può essere individui straordinari senza aver mai letto una riga di Evola, o anche senza saper leggere del tutto. Anzi è frequente che si trovino più lealtà e correttezza in un analfabeta che in un laureato. Ma troppo spesso, specie a Destra, questa è stata una comoda giustificazione della propria mollezza e dell’incapacità di affrontare le sfide con preparazione e serietà.

Filippani – Ronconi si dedicò con ardore fin dalla giovinezza alle lingue e alle culture d’Oriente; le sue conoscenze dovevano avere raggiunto un livello incomparabile, a giudicare dall’alone quasi leggendario che le circonda. L’unico grande studioso che mi venga in mente, paragonabile per competenze linguistiche, è Georges Dumézil.

Mi auguro che dal Walhalla la figura di Pio Filippani – Ronconi continui a lungo a irradiare il suo esempio luminoso.

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Felice Bellotti

Ho letto negli ultimi giorni, con interesse crescente, un libro di Felice Bellotti intitolato Oltre l’estrema Tule. E’ un cartonato, pubblicato nel 1966 dalle Edizioni La Scuola. Sin dalla prima pagina mi ha colpito favorevolmente la qualità dello scrivere: ottima costruzione della frase, proprietà di linguaggio, precisione e brevità.

Via via però la lettura si faceva più coinvolgente: nel corso dell’ultimo anno avevo già letto decine di libri sull’Artide (viaggi, esplorazioni, caratteristiche geografiche etc.) ma nessuno così ben costruito. Il volume che adesso avevo in mano alternava ricordi e impressioni dell’autore, descrizioni storico-geografiche, racconti più o meno immaginari di vite di uomini e  animali, episodi di navigazione dei pescatori di merluzzo e soggiorni presso i lapponi.

Intorno alla pagina 130 ho trovato la citazione di un articolo semisconosciuto di Evola (Il mistero del Cromagnon); mi è parso il chiaro segno di una speciale simpatia con l’autore. Parlando del blocco sovietico, l’autore usava parole di fuoco. Riferendosi ai popoli nordici, era pieno di ammirazione e stupore. Dal libro si arguiva che l’autore aveva fatto il corrispondente durante la guerra russo-finlandese; ricordavo che su quello stesso fronte aveva operato un altro giornalista di nome Indro Montanelli.

Poi verso la fine Bellotti, riferendosi alla Norvegia, scriveva pressappoco: “ho iniziato a conoscere questi luoghi da ragazzo, leggendo i libri di Hamsun e Andersen, che mi hanno messo nel cuore un amore per il Nord che non mi ha più lasciato per tutta la vita”.

Insomma un libro che, pur non raccontando una singola vicenda, sa rendersi coinvolgente come un romanzo, riuscendo particolarmente a far leva su chi abbia una certa visione del mondo.

Così, spinto dalla curiosità ho effettuato qualche ricerca sull’autore, per rendermi conto che Felice Bellotti, omonimo di un famoso traduttore ottocentesco dei classici greci al quale sono dedicate piazze e vie in tutta Italia, è stato autore di una decina di libri “di viaggio”:

Prodigioso Congo, 1952 (tradotto in inglese nel 1954 e in francese nel 1956)

Grande Nord, Eli, 1954 (tradotto in inglese nel 1957 e in francese nel 1960)

Formosa. Isola dai due volti, Cino Del Duca, 1958 (tradotto in francese nel 1959)

Cittadella di Allah. Viaggio nell’Arabia Saudita, Cino Del Duca, 1960 (tradotto l’anno successivo in francese)

Terra Maya, Leonardo da Vinci, 1963 (tradotto in spagnolo nel 1966)

Alaou Haiti, ed. Leonardo Da Vinci, 1964

Il paese della Bibbia, 1965

I Beduini, Cino del Duca, 1965

Avventura in Yemen, ed. Cino del Duca, 1966

Australia nuova America, Cino del Duca, 1967

Agli antipodi, La Scuola, 1969

Felice Bellotti aveva inoltre pubblicato XXVIII Ottobre, divisione d’assalto (Società nazionale editrice propaganda, 1937); Arabi contro Ebrei in Terrasanta (O. Marangoni, 1939, Volume 13 di Vita dei popoli, collana di viaggi, esplorazioni ed inchieste); Germania chiama Europa (Rusconi e Paolazzi, 1956); e, nel 1947, La repubblica di Mussolini (ed. Zagara), un libro sulla RSI. Dopo poco ho scoperto che così come il libro sul Nord era il frutto di viaggi ripetuti e di conoscenza diretta, allo stesso modo Bellotti l’epopea del fascismo repubblicano l’aveva vissuta da protagonista. Non solo: aveva portato sul bavero le doppie rune e per la precisione era stato Sturmbannführer nella Waffen SS, con l’incarico di ispettore generale delle forze armate italiane (sigla: Gen Inspek der Ital Waf Verb). Stando a quanto riportano Harm Wulf e altre fonti, aveva fondato e diretto Avanguardia, il mensile della SS Italiana; prima della guerra, aveva fatto il giornalista per Il Regime Fascista e per La Stampa: due quotidiani su cui, nella stessa epoca, aveva scritto anche Evola.

Già negli anni ‘30 aveva preso parte alla campagna d’Etiopia (Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, Volume 2, pp. 397 e 492): presumo che il libro sulla XXVIII Ottobre ne sia il resoconto.

Dalla seconda metà del settembre 1943, comunque, Felice Bellotti e Cesare Rivelli fecero i programmi italiani per Radio Monaco, ancor prima della proclamazione della Repubblica Sociale. Radio Monaco fu una sorta di “governo via etere”, come scrive  Annino Vitale in Cronistoria della Radio dal 1938 al 1945. Poiché Bellotti operò a Radio Monaco nei giorni immediatamente successivi alla liberazione del Duce da parte di Otto Skorzeny, mi sembra persino plausibile ipotizzare che fosse presente all’arrivo di Mussolini in Germania, insieme a Vittorio Mussolini e a Evola. Stando alle ricerche di Massimo Zannoni (pubblicate in Acta, bimestrale pubblicato dalla Associazione Culturale Istituto Storico della RSI, n. 47/gennaio-marzo 2002), anche durante la Repubblica Sociale Bellotti inoltre lavorò al giornale della Radio repubblicana diretta da Pavolini, coadiuvato da Giovanni Preziosi e Vittorio Mussolini.

A quanto pare Bellotti ebbe un ruolo nella liberazione di Indro Montanelli dal carcere di San Vittore (vedi); forse memore del periodo vissuto insieme a raccontare l’esperienza di ghiaccio e fuoco nelle trincee della Finlandia. Queste vicende pare siano ricostruite nel libro di Renata Broggini Passaggio in Svizzera. L’anno nascosto di Montanelli. Ancor più precisa la ricostruzione del ruolo di Bellotti in una lettera del lettore Riccardo Lazzeri al settimanale il Domenicale del 6 settembre 2003: “Il maresciallo Graziani, su preghiera di Donna Ines, telefonò a Guido Buffarini-Guidi a Maderno, il quale diede il nullaosta per la liberazione di Montanelli al giornalista Felice Bellotti. Questi lo portò al questore Ulderico de Luca e fece liberare Montanelli dal carcere di San Vittore, portandolo a Garbagnate con un ordine fittizio di trasferimento in data 1° agosto 1944, da dove, accompagnato dal commissario Osteria della polizia politica, giungerà a Stabio, in Svizzera, il 14 dello stesso mese. Tutto questo sopra verrà confermato dallo stesso Felice Bellotti in un articolo comparso sul Roma di Napoli nel dicembre 1959..”.

Nel dopoguerra Bellotti aveva subito i comuni processi e le comuni persecuzioni; ne restano tracce sparse nel sito dell’Archivio di Stato di Milano. Poi era passato a scrivere reportage di viaggi esotici sul settimanale Tempo. Non sono riuscito a trovare la data di morte.

Sarei molto lieto se qualcuno tra i lettori fosse in grado di darmi ulteriori informazioni su questo interessantissimo personaggio.

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I 150 anni di Knut Hamsun

Oggi ricorre il centocinquantesimo anniversario della nascita di Knut Hamsun, premio Nobel per la letteratura nel 1920; ma non mi pare che in molti, in Italia, se ne siano ricordati.

Se si eccettua infatti la segnalazione di Archiportale dell’inaugurazione ad Hamarøy del Knut Hamsun Center progettato da Steven Holl, infatti, non si trova alcuna altra notizia pubblicata oggi su siti e blog relativa allo scrittore norvegese. Non ho ancora letto giornali, oggi. Ma non conto di trovare articoli in cultura su Hamsun; tutt’al più, complici l’estate e la sciatteria dei quotidiani nazionali, mi posso aspettare cose sugli ultimi romanzetti, su Gianni Minà o sugli enti pseudoculturali finanziati dallo stato.

Quello di Hamsun è uno degli innumerevoli casi di grandissimi autori che, non potendo essere del tutto ignorati dalla cricca accademico-culturale, vengono però passati in sordina per via della loro scandalosa visione del mondo. Non è infatti solo una questione di biografia politica a condannare tanti Hamsun; è l’insieme del loro modo di pensare, agire e scrivere a essere inaccettabile per la regnante vigliaccheria politicamente corretta.

Il principale leitmotiv letterario di Hamsun è probabilmente l’incanto della natura. I paesaggi boschivi e i villaggi di pescatori della provincia norvegese del Nordland sono, in particolare, la cornice della maggior parte dei suoi romanzi (per esempio dei seguenti: Vagabondi, Il cerchio si chiude, Quelli di Sirilund, Il potere del denaro, Figli dei loro tempi, Augusto, Pan, Victoria, Il risveglio della terra, Sotto la stella d’autunno, L’estrema gioia, La nuova terra, Le donne alla fonte, Un vagabondo suona in sordina, Per i sentieri dove cresce l’erba) e racconti (per esempio La regina di Saba, Sognatori).

I personaggi hanno spesso comportamenti stravaganti, quasi il riflesso di una psicologia complicata attecchita su uomini semplici. Sotto alcuni aspetti le loro esistenze, grandezze e piccolezze ricordano quelle del Mondo piccolo di Giovannino Guareschi, proiettato però in un ambiente più vasto e senza i due protagonisti rivali.

In Hamsun ricorrono poi alcune figure, incarnate da vari personaggi; il vagabondo nostalgico, il mattacchione intraprendente, il ricco mercante che assurge quasi a “podestà” del paesello, lo sperperatore, il contadino attaccato alla visione atavica; l’islandese Laxness riprenderà dopo alcuni decenni tutte queste figure archetipali di Hamsun, caricandole però di connotati e giudizio morali, del tutto assenti nello scrittore norvegese.

Il sentimento quasi religioso della natura, il ritmo e l’ampiezza temporale tipici delle saghe, la profondità dell’analisi psicologica, certi richiami alla semplicità e alle origini uniti a una straordinaria capacità espressiva fanno tuttora di Hamsun un gigante della letteratura, da consigliare vivamente a chi voglia fare a meno della odierna volgarità politicamente corretta.

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In morte di Franco Volpi

Ieri è morto in un incidente stradale il professor Franco Volpi.

Il quotidiano la Repubblica ha così perso il periodico contributo di una delle pochissime firme valide che poteva annoverare; verosimilmente la pagina culturale del famoso quotidiano per femministe e intellettuali di sinistra tornerà ad appiattirsi su temi e autori cari ai suoi lettori di riferimento (Giorgio Bocca, Isabel Allende, Luciana Littizzetto, Gianni Minà, Umberto Eco et similia).

Franco Volpi ha avuto molti meriti. Tra questi, quello di aver contributo a far conoscere in Italia a un grande pubblico (oltre che a quello squallido uditorio cui accennavo sopra) autori del calibro di Schmitt, Benn, Jünger, Hoffmann e soprattutto Heidegger, di cui tradusse (specialmente per Adelphi) numerosi libri. Nel 2000, all’uscita della versione italiana del Dizionario delle opere filosofiche per Bruno Mondadori, le vestali della “filosofia da professori di filosofia” rimasero scandalizzate da certe terribili omissioni e certe ancor più orribili inclusioni.

Negli ultimi anni Volpi fece anche la mossa più azzardata che uomo di cultura possa permettersi. Introdusse un libro di Evola (Saggi sull’idealismo magico). Di Evola arrivò persino a scrivere su Repubblica: oltre che per la formazione culturale, Franco Volpi è stato un’eccezione anche per il coraggio.

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In morte di Giano Accame

“Aveva un record unico tra i giovani di Salò: si arruolò la mattina del 25 aprile 1945: «la sera ero già in galera. Non ho mai fatto il miles gloriosus anche per questo. Avevo 16 anni», disse in una recente intervista”.

«Volevo partecipare al canto del cigno, alla fine eroica della Repubblica Sociale».

«Fini non sa un cazzo ma lo dice benissimo».

Questo solo tre citazioni – la prima un breve passaggio biografico del ricordo di Giano Accame pubblicato oggi dal Messaggero (che per il resto è basato esclusivamente sui dati riportati da Wikipedia), le altre tratte da un’intervista fattagli da Claudio Sabelli Fioretti – sono sufficienti a rendere l’immagine di un uomo controcorrente e che desta immediata simpatia.

L’ho incontrato due volte in tutto. In entrambe le occasioni ne ho tratto l’impressione di una persona intelligente, curiosa e di grande educazione. Accame è stato per decenni un punto di riferimento nella cultura di destra. Argomentava in modo logico, coerente, consequenziale: un pregio diffuso nella sua generazione. Sul sito avevo ripreso il suo saggio su Evola e la rivoluzione conservatrice tedesca.

Attento in particolare al mondo dell’economia, che giustamente considerava troppo ignorata dagli intellettuali di Destra, aveva dedicato molta della sua attenzione a Ezra Pound, su cui scrisse anche dei libri.

Spero vivamente di poter interrompere per un lungo periodo questa serie di articoli di commemorazione.

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I cento anni di Robert Brasillach

Robert Brasillach (Perpignan, 31 marzo 1909 – Montrouge, 6 febbraio 1945)

Forse – se non fosse stato ucciso dai collaborazionisti degli Americani sessantaquattro anni fa – oggi Robert Brasillach sarebbe ancora vivo e vegeto: un piccolo vecchietto con due occhiali tondi e una marea di libri alle spalle. Avrebbe potuto eguagliare la longevità di Ernst Jünger o sorpassare quella di Carl Schmitt; ci avrebbe consegnato altri romanzi e saggi meravigliosi, o poesie di incomparabile bellezza come quei Poemi di Fresnes che vergò in carcere, in attesa della fucilazione.

Ma, in ogni caso, la sua opera intellettuale non è stata vana. E lo si capisce anche da fatti come questi:

Roma si sveglia tra le braccia del poeta.
Gigantografie di Robert Brasillach, il grande scrittore francese fucilato come collaborazionista del quale domani ricorre il centenario della nascita, sono comparse nella notte nei luoghi della cultura della Capitale: da via del Corso a piazza Farnese, da via del Babuino a piazzale Flaminio, da via Nazionale a Trinita’ dei Monti fino a piazza San Calisto a Trastevere.
L’azione e’ stata rivendicata da Casapound, che spiega: ”Nella notte tra il 29 ed il 30 marzo, a Roma, e’ stato degnamente celebrato il battesimo del Turbodinamismo, neonata corrente artistica legata all’Associazione di promozione sociale Casapound Italia (www.casapound.org), con l’affissione di decine di manifesti 2×2 metri raffiguranti, in un tripudio di colori, uno dei piu’ grandi poeti d’Europa, Robert Brasillach. Gli stencils, accompagnati dalla dicitura “Je suis partout”, sono stati affissi nottetempo in prossimita’ di luoghi di rilievo culturale e artistico”.