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Nordland

Da qualche tempo mi capita di ricevere strani libri di autori misteriosi. Ho già menzionato in passato su questo blog il libro del Diavolo e quello di Brigit; ne avevo omesso uno, quello della Sibilla di Saxatica; negli ultimi tempi me ne è capitato uno di Arianrhod, dea celtica dell’alba. A dispetto delle origini dell’autrice, il titolo del libro è in lingua germanica, Nordland.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questo nome non fa riferimento all’omonima undicesima divisione Waffen SS, composta principalmente da volontari olandesi, danesi e norvegesi. Il riferimento è piuttosto a un nord ideale, inteso come vocazione; e i contenuti e il linguaggio sono pieni di spirito combattivo.

Gli scritti raccolti coprono vari temi, tra i quali si possono individuare alcuni filoni principali: una rassegna dei movimenti identitari e indipendentisti europei (dai paesi baschi all’Irlanda del Nord, dalla Scozia alla Padania); recensioni di testi anticonformisti (tra cui quelli dei misteriosi autori citati all’inizio); si spazia poi dall’archeologia e dalla storia antica (con diversi interventi sui popoli dell’Italia arcaica) alle letture anticonformiste della storia moderna e contemporanea.

Credo che un buon numero di questi argomenti richiameranno misteriose assonanze con altrettanti articoli pubblicati via via sul sito del Centro Studi La Runa; le curiose coincidenze comunque non si fermano qui.

Il libro è stato stampato dalla casa editrice Il Ponte Vecchio di Cesena, che vanta nel proprio catalogo diversi autori sovrannaturali.

* * *

Arianrhod, Nordland, Società editrice Il Ponte Vecchio, 176 pagine, € 15,00.

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Autori Libri

Civiltà americana

In prossimità del solstizio d’inverno è uscita la seconda edizione, riveduta e aumentata, del Quaderno evoliano Civiltà americana. Pubblicato dalle Edizioni Controcorrente, costa 10 euro, reca una premessa di  Gianfranco de Turris e una mia Introduzione intitolata La tenaglia si è chiusa. Si tratta del quarantacinquesimo volume della collana; è il secondo di cui la Fondazione mi ha affidato la cura, dopo Il “mistero iperboreo”.

Ecco gli articoli che compongono la raccolta:

Noi antimodemi (1930)

America: l’equivoco del “popolo giovane” (1942)

La doppia maschera (1950)

Civiltà americana (1952)

“Libertà dal bisogno” e umanità bovina (1952)

Moralità americane (1953)

L’americanizzazione e le responsabilità della Rai (1954)

Uomo americano (1954)

Addio America d’altri tempi (1955)

Lo stesso male (1956)

Negri americani (1957)

Difendersi dall’America (1957)

Servilismi linguistici (1964)

La suggestione negra (1968)

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Libri

Romanzi e racconti

In questo ultimo paio di mesi ho lasciato completamente da parte la saggistica e mi sono dedicato alla lettura di racconti, romanzi e diari di viaggio, per lo più di autori di cui avevo già affrontato qualcos’altro in precedenza. Ho l’assurda fissazione (che non ha alcuna finalità) di tentare di leggere gli autori per intero: e questo persino quando non mi interessano particolarmente, forse per evitare di lasciare il lavoro incompiuto.

Ad ogni modo questo metodo bizzarro ha pure i suoi lati positivi, perché permette, facendo una caccia sistematica, di andare a scovare il libro migliore di ogni autore. Per adesso, per quanto riguarda Bioy Casares, il libro in questione è  L’invenzione di Morel, la cui storia è basata su un’idea eccentrica e anticipatrice (la realtà “ologrammatica”) e narrata  in modo impeccabile.

Naturalmente il mio metodo presenta l’altro lato della medaglia: ci si ritrova costretti a leggere anche le cose peggiori. Per Bioy Casares e Borges questo è senza dubbio il caso dei gialli di Isidro Parodi (Sei problemi per don Isidro Parodi), decisamente molto modesti. Il giallo richiede misura e un po’ di credibilità nella trama, nel lessico, nell’ambientazione; il lettore deve cioè abbandonare, almeno per qualche istante, la sensazione di trovarsi davanti a un’arguta costruzione mentale e nulla più. In questi racconti ciò non accade neppure per un istante. Il miscuglio di comico, drammatico, smisurato e grottesco non è una ricetta d’alta cucina ma un pasticcio stomachevole. E due autori non sono meglio di uno, piuttosto è vero il contrario.

Ne ho avuto conferma leggendo Elogio dell’ombra di Borges, raccolta eterogenea di saggi, poesie, racconti brevi, aforismi e diari (nella maggior parte dei capitoli questi e altri generi si mescolano).

Da tanto tempo avevo poi il libretto di Massimo Bontempelli Noi, gli Aria (ed. Sellerio). Il titolo è invitante ma un po’ fuorviante; sono riflessioni di viaggio in Sudamerica, compiute negli anni ‘30 insieme a Pirandello e altri esponenti della cultura italiana dell’epoca. Lessico e stile costituiscono la parte interessante, ma anche il limite di questo libretto: quello scrivere retorico e iperbolico tipico dell’epoca si combina con intenti poetici, secondo me con esito raramente felice.

Incuriosito dal lancio in grande stile ho letto Nessun dolore di Domenico di Tullio, “il romanzo di Casapound”, stranamente pubblicato da Rizzoli. E’ un buon romanzo di propaganda adatto a un pubblico di giovanissimi, ottenuto assemblando tra loro le principali canzoni degli Zetazeroalfa. Il passo più riuscito, a mio avviso, è quello in cui l’autore riversa la sua reale esperienza di avvocato e descrive la tipica fauna da Tribunale (magistrati, cancellieri ecc.).

Come al solito sono poi tornato a dedicarmi alle avventure polari leggendo un libro su un viaggio artico e un altro su un viaggio antartico. Il primo è Passaggio a Nord Ovest di Willy de Roos, l’olandese che per primo riuscì a ripetere con successo il viaggio di Amundsen su una barca a vela; con le due differenze, sostanziali, che disponeva di un motore ausiliario e che riuscì a compiere il passaggio in un solo anno, senza mai svernare nell’Artico. Il secondo è L’inferno di ghiaccio di Katherine Lambert (Il Saggiatore) ed è dedicato all’avventura di sei uomini della spedizione Scott che dovettero affrontare in condizioni disperate l’inverno antartico, riuscendo infine a salvarsi in maniera incredibile. Alla categoria delle letture ricorrenti appartiene anche il recente Maigret e il produttore di vino.

La lettura più interessante di questo periodo è stata L’altra parte di Alfred Kubin, famoso romanzo gotico-onirico-orrorifico, tipicamente novecentesco. Di Kubin avevo appreso per la prima volta in Ernst Jünger, che se ne era occupato, mi pare, ne Il contemplatore solitario. Il romanzo è un sogno su un piano inclinato, si apre cioè come un placido viaggio in regioni fantastiche e si trasforma in incubo a velocità accelerata.

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Libri

Libri di guerra

Mi è sempre difficile porre un titolo agli articoli in cui annoto le mie ultime letture, perché vi raccolgo libri che, il più delle volte, non hanno una caratteristica comune; e così anche questo articolo sui Libri di guerra ha un titolo che non è del tutto veritiero, perché solo la maggior parte delle ultime letture ha riguardato la storia militare.

Nell’ultimo post avevo dimenticato di menzionare La bella gioventù di Franco Panizon. Le premesse erano buone, già dal sottotitolo: Memorie di un alpino della Monterosa (ed. Mursia), la divisione alpina che sul finire del ’43 aveva sostituito le stellette coi fasci repubblicani. Questo libro è stato però una delusione, sia perché grammatica, sintassi e logica vanno e vengono in libertà, sia perché l’autore, nonostante durante la guerra civile avesse fatto la scelta giusta, cioè la scelta sbagliata – in parole semplici, la via dell’onore -, dopo la tragedia della “liberazione” si lasciò docilmente lavare il cervello e inebetire dall’oppio dell’antifascismo, facendosi persino intruppare nel PCI-PDS. L’unico aspetto interessante del libro è forse il conflitto interiore che si intravvede sullo sfondo, tra il rimpianto, negato, per quel biennio di gioventù, bellezza e cameratismo (durante il quale l’autore un paio di volte sparò anche addosso ai partigiani) e la mediocrità che venne dopo.

Al diario della grande guerra del conte Felix von Luckner, cui ho accennato nello scorso articolo, ho poi affiancato quello del barone Manfred von Richthofen (Io sono il Barone Rosso), che forse è a tutt’oggi il militare più ricordato ed emblematico di quella guerra. Sono notevoli i parallelismi tra i due personaggi: entrambi di ascendenza aristocratica, entrambi ferventi patrioti, entrambi coraggiosi fino ai confini della temerarietà ed entrambi protagonisti di successi strepitosi. Ma mentre il Barone Rosso ebbe quel destino di chi è veramente caro agli dèi, morendo nel fiore degli anni e all’apice di una carriera di incredibili successi, a von Luckner accadde di dover assistere al disastro della patria.

Poi: Sulle orme del capitano di Ion Màrii, che chissà da quanto tempo avevo in casa. Un ritratto veritiero della bontà e semplicità di Codreanu fatto attraverso i testimoni di un suo viaggio. E due libri di Conrad, Al limite estremo e i Racconti di mare e di costa. Quest’ultimo raccoglie tre racconti – o romanzi brevi. Sono tutti ben compiuti e destinati a conficcarsi nella memoria; assai più dei Simenon che mi ostino a leggere (l’ultimo è Maigret a Vichy; il titolo è dovuto al fatto che il commissario protagonista è alle prese con le cure termali, non col governo Pétain!).

Poiché I leoni morti è uno dei più bei romanzi di guerra che io abbia mai letto, quando ho visto che le edizioni Ritter hanno pubblicato il suo “seguito”, I Maledetti, comprarlo e leggerlo è stato tutt’uno. Purtroppo qui si passa alla finzione (la vicenda è ambientata in uno stato immaginario del Sudamerica che si chiama Gualivia) e tutto è più piccolo e deformato; certo, vi è ancora la stoffa di Saint Paulien, vi sono ancora, dominanti, i temi dell’eroismo e del coraggio, ma è come passare dal mito – la difesa di Berlino – alla leggenda, o poco più.

Ho letto poi I diavoli verdi di Cassino di R. Werner, un volumetto di chissà che epoca (forse gli anni ’60) in edizione popolare; a giudicare dalla carta dubito che sia mai passato da una libreria, probabilmente circolò tramite edicole. Se è veritiero (cosa che facendo ricerche su internet non sono riuscito ad appurare) è una straordinaria testimonianza di un ufficiale Fallschirmjaeger sulla battaglia di Montecassino, resa tra l’altro in modo molto avvincente.

E infine L’affondamento dello Scharnhorst di A.J. Watts, un resoconto molto asettico su un’importante battaglia navale che ebbe per teatro il braccio di mare tra Capo Nord e gli arcipelaghi artici (Svalbard, Isola degli Orsi, Novaja Zemlja), il passaggio cioè attraverso il quale i Britannici rifornirono massicciamente di mezzi l’Unione Sovietica.

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Libri

Libri in viaggio

E’ passato parecchio dall’ultimo post sui libri che ho letto; corro ai ripari prima che sia troppo tardi, prima cioè che la mole eccessiva della carta accumulatasi mi induca a rinunciare al compito improbo. I libri andrebbero segnalati, e soprattutto recensiti, a una distanza “media”: non troppo nelle immediatezze, quando il giudizio rischia di essere precipitoso, e non troppo tardi, quando nella memoria iniziano a crearsi lacune e inesattezze. Sono più vicino al secondo termine, quindi non posso più tergiversare; quelle che seguono sono, grosso modo, le mie letture estive di quest’anno, sparse tra casa mia, mare, monti e città straniere.

In Siberia di Colin Thubron è stata una bella scoperta. Un bizzarro inglese di mezza o tarda età, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, si è impegnato in un viaggio sino a poco prima proibito agli occidentali. Offre una panoramica su un mondo in rovina, e posa lo sguardo sull’abisso di terrore, e spesso anche di imbecillità, del regime stalinista. Al tempo stesso rende però anche comprensibile lo strano sentimento russo di nostalgia per quel passato naufragato repentinamente.

Ho letto un libro piuttosto curioso di Chuck Palahniuk (La scimmia pensa, la scimmia fa) che è una raccolta eterogenea di racconti e di fatti vissuti. C’è in tutti un che di geniale. L’autore di Fight club è profondamente americano, ma vede piuttosto bene l’insensatezza del modello di vita e di sviluppo statunitense; la sua è una critica indiretta, perché passa continuamente in rassegna gli eccessi di quel mondo e le reazioni spontanee che ne derivano, spesso ancor più insensate.

Come al solito ho letto qualche giallo “interlocutorio” di Simenon (Maigret e il caso Nahour, Maigret e il fantasma e, negli ultimi giorni, Maigret è prudente). Qualche scrittore famoso del passato – non ricordo se Gide o Hemingway o chi altro – aveva detto, in modo un tantino ironico, che i libri di Simenon sono la migliore lettura da fare in aereo su una tratta breve. In effetti Simenon si legge d’un fiato; ma questo non è un difetto. C’è una maestria nello scrivere che oggi è diventata estremamente rara.

Ho rifocillato i temi marinari, che negli ultimi tempi mi avevano appassionato, con la bella raccolta curata da G. Dossena e M. Spagnol Avventure e viaggi di mare. È un compendio piuttosto nutrito di resoconti veritieri di peripezie marinare – viaggi estremi, scoperte geografiche, naufragi, atti di pirateria, incontri con selvaggi ecc. – che sono stati per secoli la fonte di ispirazione di un vero e proprio genere letterario (oggi non in gran voga). Sono ordinati più o meno cronologicamente: si va da Pitea di Marsiglia a Comisso e Conrad. Molto bello il racconto di quest’ultimo incluso nella raccolta: La Tremolino.

Più o meno in tema marinaro – per la precisione di storia di guerra navale – anche il vecchio libro di C. Van Woodward La battaglia del golfo di Leyte, che nemmeno ricordo come mai avessi in casa. Forse perché è stato scritto nelle immediatezze dei fatti – cioè sul finire degli anni ’40 – i giudizi espressi dall’autore, un ufficiale di marina statunitense, mi sembrano poco equilibrati nel giudizio; non solo nella scontata divisione buoni/cattivi, ma anche nel valutare i meriti e gli errori (militari) di entrambe le parti. Ad ogni modo trovo che la storia della guerra sul mare sia sempre interessante.

Ho letto anche, come ho già scritto sul sito, La chiave del caos di Enrico Rulli e Gianluca Casseri, e non posso qui che confermare l’ottimo giudizio. Il caso, o il caos, o forse altre meccaniche imperscrutabili, hanno fatto sì che mi trovassi a Praga proprio negli stessi giorni, a ripercorrere coi passi molti dei luoghi in cui si snoda del romanzo.

Ho letto rapidamente due bei romanzi di Adolfo Bioy Casares, che è ingiustamente conosciuto, in via principale, per essere  stato un grande amico di Borges: L’altro labirinto e Piano di evasione, entrambi pubblicati da Lucarini. Il secondo è un romanzo fantastico, o almeno tale si rivela sono nelle ultime pagine; tutto ciò che le precede richiama intensamente alla memoria il film Papillon. La storia è infatti ambientata su e intorno all’Isola del Diavolo. L’altro labirinto raccoglie invece vari racconti fantastici di stile borgesiano; o forse i racconti fantastici di Borges sono di stile bioyano…

L’ultimo libro che ho letto è Il corsaro della guerra mondiale del conte Felix von Luckner, lettura parzialmente ispiratami dai bei resoconti di Francesco Lamendola, pubblicati negli ultimi mesi sul sito, sulle imprese delle navi corsare durante la Grande Guerra (in particolare La crociera del corsaro Seeadler). Quella di von Luckner è certamente una delle vicende più note e affascinanti, e il libro me ne ha dato la conferma. Aggiungo che anche il resto della sua biografia (precedente la carriera militare) è degno di un grande romanzo.

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Libri

Libri su viaggi e guerre

Continuo (mi pare per la settima volta) ad appuntare in brevi note le ultime letture. Nei quasi due mesi passati dal mio ultimo post, Libri in ordine sparso, ho letto ancora una volta un libro di Simon Leys – credo il più noto: La morte di Napoleone. So che ne è stato tratto il film I vestiti nuovi dell’imperatore, diretto da Alan Taylor: la cosa non mi stupisce, perché il breve romanzo sembra proprio scritto per la macchina da presa. Ha una forma impeccabile, e soprattutto presenta il ritratto un po’ impietoso di una fedeltà che diviene astratta e grottesca.

Ho poi letto con interesse il breve saggio di Stefano Fabei Operazione Barbarossa, recentemente pubblicato da Mursia, che mette bene in luce un fatto storico tanto ineccepibile quanto, come è regola, generalmente negato: l’attacco sferrato da Hitler alla Russia sovietica fu una scelta obbligata e inevitabile. Stalin preparava contestualmente l’assalto all’Europa; nel ’41, la scelta del Führer non avrebbe potuto essere diversa.

Ho poi letto, finalmente, Tsushima di Frank Thiess, che attendeva da parecchio. La copia a mie mani (una vecchissima edizione Einaudi) era stata letta da mio nonno, cui venne regalata, poi da mio padre, e ora da me. E’ un bel racconto di quella straordinaria battaglia tra la Russia zarista e il Giappone imperiale di cui avevo sempre avuto notizie frammentarie, senza mai informarmi più dettagliatamente. Esiste anche un film sulla battaglia di Tsushima.

Poi sono tornato alla mia gran passione per i temi artici con Esplorazioni polari di Nino Bussoli. Ora devo quindi correggere, almeno in parte, quanto scrivevo in Libri sui libri a proposito di Deserto di ghiaccio di Fleming; anche il saggio di Bussoli è molto valido, e copre un arco di tempo maggiore di quello (prende le mosse da Pitea di Marsiglia). Per esempio, Bussoli dedica diverse pagine all’eroico svernamento artico di Vitus Bering, su cui avevo trovato sinora solo pochissime informazioni.

Dall’estremo nord sono passato all’estremo sud, e più precisamente all’Antartide, leggendo con piacere il libro di Luigi Romersa Il pianeta del silenzio. E’ il reportage di un viaggio compiuto una cinquantina d’anni fa dall’autore, un noto giornalista-inviato, nel continente australe. Romersa, che fu ospite in due basi militari americane, fu uno dei primissimi italiani a raggiungere il Polo Sud geografico.

Ho letto anche La tigre del Wolchow di Rudolf Nowotny, dedicato dall’autore al suo eroico fratello, asso della Luftwaffe insignito della croce di cavaliere con fronde di quercia, diamanti e spade. Il libro, pubblicato dalle Edizioni del Borghese, è la biografia di un grandissimo ed esemplare pilota.

Mi hanno incuriosito I verbali di Hitler pubblicati recentemente dalla Libreria Editrice Goriziana; ma avendo da diverso tempo gli Ultimi discorsi, pubblicati dalle Edizioni di Ar, mi son letto questi ultimi. Contengono osservazioni molto interessanti e in alcuni casi profetiche.

Mi sono avvicinato anche a Gottfried Benn, di cui ho letto le Lettere a Oelze. Il libro è curato in modo meticoloso, ma l’improvvida scelta di Adelphi di pubblicare le note in calce, anziché a pié pagina, rende la lettura faticosa. A questo si aggiunge il fatto che è un epistolario “tronco”, poiché contiene le sole missive di Benn e non quelle del suo corrispondente, il che lascia molti ragionamenti (già di per sé non sempre chiari) in forma troppo implicita. Nonostante queste riserve, si trovano parecchie perle di grande bellezza, e anche frequenti riferimenti a tanti autori importanti, da Evola a Jünger, da Hamsun a Nietzsche eccetera.

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Oggigiorno Storia

Michele Menechini

23 giugno 1944. E’ una bella giornata d’estate, a dispetto dei giorni tragici della guerra. Un uomo mutilato, vestito con la divisa della Guardia Forestale, pedala in bicicletta. Davanti alla sella tiene, in equilibrio instabile, la figlioletta, una bambina piccola. Passa dalla Costa del Canale, una località dell’entroterra chiavarese, in comune di Mezzanego, sta tornando a Borzonasca dove abita e lavora.

Un uomo in borghese esce dalla macchia. Ha un fucile mitragliatore. Non visto, spara una rapida raffica alle spalle dell’uomo in divisa, poi scappa da dove è venuto. I partigiani sono odiati dalla popolazione civile; quindi non si attarda a infierire sul mutilato agonizzante.

Poche ore dopo il maresciallo Michele Menechini, eroe della Grande Guerra, muore all’ospedale di Chiavari. La figlia Maria scampa miracolosamente.

23 febbraio 2010, sessantasei anni dopo. Una celebrazione semplice. La nuova caserma della Guardia Forestale di Lavagna viene dedicata alla memoria di Michele Menechini. Alla presentazione, oltre alle autorità civili e religiose prende parte la figlia Maria. Poche, sobrie e toccanti parole. Sembra quasi che una giustizia, postuma, sia finalmente intervenuta a pacificare i cuori.

22 marzo 2010. L’ANPI Tigullio dà avvio a un’atroce campagna per far cambiare l’intitolazione della caserma. Il ragionamento è il seguente: Menechini indossava una divisa, era un fascista – e per di più un fascista repubblicano: non è ammissibile che un edificio pubblico possa essere dedicato a un fascista. Il Secolo XIX, il quotidiano locale, dedica tutti i giorni, per oltre un mese, intere pagine allo “scandalo”. Non un’unica volta si cura di indagare giornalisticamente i fatti (chi fosse Menechini, perché gli sia stata intitolata la caserma, come sia morto); l’importante è appoggiare la campagna di linciaggio promossa dall’ANPI. D’altra parte, è stato lo storico par excellence del resistenzialismo nostrano a dire che si fa così, e i giornalisti si mettono sull’attenti: che bisogno c’è di approfondire? Giorgio Getto Viarengo ha proclamato: quello era un fascista, togliete l’intitolazione della caserma. L’ANPI inzia a raccogliere le firme per far cambiare dedicatario alla caserma. Tutti si inchinano immediatamente al diktat.

Viene quindi il turno di individui – se possibile – ancora più miseri. Deputati, consiglieri regionali, tutti fanno a gara a chi per primo aderisca alla campagna dell’ANPI. Sgomitano, per arrivare primi. Non può mancare, ovviamente, quello che guida contromano in autostrada (Claudio Burlando); non esita ad aderire la ex DC, ex PDL, oggi UDC, domani chissà, Gabriella Mondello; manco a dirlo, poi, tutta la variegata fauna di politicanti di sinistra, e da ultimo tal Roberto Levaggi, del PDL, veterano di tante memorabili trombature politiche.

Una dichiarazione rende bene l’idea del ragionamento. E’ di Aurora Pittau, consigliere lavagnese all’istruzione: «Quando ci è stato annunciato che la caserma sarebbe stata intitolata a Menechini non conoscevamo il profilo politico di quest’uomo; in caso contrario, avremmo subito preso posizione». In altre parole: un mutilato ed eroe della grande guerra, ucciso in modo così barbaro davanti alla figlia, merita certamente la intitolazione. Ma, ovviamente, purché non sia un fascista.

Non ho dubbi che, tanto per cambiare, le cose andranno per il peggio e i partigiani l’avranno vinta ancora una volta. La caserma probabilmente verrà intitolata a qualcun’altro, magari proprio all’assassino di Menechini, che certamente dopo la guerra sarà stato coperto di quelle medaglie-patacca che i partigiani si sono autoattribuiti a tonnellate.

Alla fine, è sempre una questione di stile. Che sguazzino pure nel fango, loro.

Un altro articolo su questo caso.

Aggiornamento del 29 marzo 2011: sul sito Italia RSI sono presenti alcune note sulla morte dell’Aiutante Michele Menechini: http://www.italia-rsi.org/genova-rsi/caduti/genovarsicaduti_m.htm

Il nominativo è presente anche nell’archivio dei caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana http://www.inilossum.eu/cadutiRsi_search.asp

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Archeologia Linguistica

Monografia sugli Indoeuropei

Circa tre settimane fa ho appreso che il numero 338 (marzo-aprile 2010) del bimestrale “Dossiers d’Archéologie” è stato interamente consacrato agli Indoeuropei. Ne ho ordinato una copia alla casa editrice (Faton) e l’ho ricevuta in tempi abbastanza rapidi; eccone ora un breve resoconto.

Ovviamente una rivista che affronta il tema in meno di 100 pagine, occupate per la maggior parte da immagini, non può avere che un taglio divulgativo. Questo non implica necessariamente un giudizio negativo; purtroppo però la cura del dossier è stata affidata a Jean-Paul Demoule, un autentico facinoroso, che occupa la maggior parte dello spazio in lamentele contro i malvagi nazisti che si sono occupati di studi indoeuropei e nel gettare discredito su Jean Haudry, non certo per i suoi studi scientifici ma per aver figurato nel Comitato Scientifico del Front National; non manca poi lo scandalo per la Nouvelle Droite, che dagli anni ‘70 si permette di trattare questo tema con costanza. A tutto questo il dolce e buon Demoule contrappone gli studi seri, quelli concentrati intorno al Journal of Indo-European Studies. Effettivamente si tratta di una rivista prestigiosa; purtroppo però – ironia della sorte – Demoule non si è reso conto che quella pubblicazione ha annoverato tra i suoi collaboratori proprio il diabolico fondatore della Nouvelle Droite, Alain de Benoist. Ad ogni modo, per farsi un’idea di quale misera sommatoria di pettegolezzi e maldicenze siano gli studi indoeuropei secondo la prospettiva di Jean-Paul Demoule, è sufficiente leggere questo suo sconcertante articolo: Destin et usages des Indos-Européens (sic).

Se si espungono i ben tre articoli carichi di furore ideologico di Demoule, il resto della rivista è interessante: vi sono ospitate anche tesi difficilmente condivisibili, ma documentate e non frutto di pura e semplice propaganda antifascista. In particolare, vengono giustapposti due articoli di James Mallory e Colin Renfrew: come noto, il primo ha sviluppato l’ipotesi di Marija Gimbutas sull’Urheimat “kurganica”, il secondo ha sostenuto, in Archaeology and Language: The Puzzle of Indo-European Origins, quella dell’origine agriculturale-anatolica. Mallory inoltre è animatore del già citato JIES ed ha all’attivo la pubblicazione di due libri importanti, In search of the Indo-Europeans, che ripercorre le principali tesi sulla localizzazione della protopatria, e l’imponente Encyclopedia of Indo-European Culture.

Stranamente il bizzarro curatore, nemico giurato dell’indoeuropeistica “sulfurea”, riesce a sopportare che si menzionino gli studi di Dumézil. Il contributo sul tema è di Daniel Dubuisson, che presenta le linee generali del grande studioso di mitologia e linguistica indoeuropee. Lingua e cultura sono le due branche principali degli studi indoeuropei, che si suddivono poi in sottobranche innumerevoli: dal folklore all’archeologia, dalla fonetica alla genetica. In ambito più linguistico sono i due contributi di G. Bergounioux La langue des Indo-Européens? e K. Kristiansen La diffusion préhistorique des langues indo-européennes; riguarda invece tutt’altra questione – assai più spinosa – l’articolo su Indo-Européens et anthropologie biologique di E. Crubézy, B. Ludes e C. Keyser. I tre studiosi sostengono una provenienza centro-europea degli Indoeuropei in base a recenti esami del DNA. Segnalo infine un articolo di R. Nicolaï dal titolo De l’arbre généalogique à la saisie du contact des langues, che segnala come il modello “ad albero”, spesso utilizzato in passato per spiegare le ipotesi di successive diramazioni delle nazionalità indoeuropee, sia oggi svalutato nella teoria nonostante la sua evidente utilità pratico-didattica.

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Libri Nord

Libri in ordine sparso

Continuo il mio viaggio di Pollicino nelle letture: lascio cadere una nuova pietruzza, per potere ripercorrere in futuro il mio tortuoso itinerario.

Dall’ultimo articolo ho terminato i tre volumi di Fra ghiacci e tenebre. Sia per la durata della lettura, che ha richiesto più di un mese, sia per le faccende private che l’hanno accompagnata – piccoli guai di salute – credo che ricorderò a lungo i dettagli del viaggio avventuroso del Fram tra i ghiacci e quello sulla banchisa artica di Nansen e Johansen.

Ho proseguito con altri tre libri piuttosto omogenei: Il meraviglioso universo del Grande Nord di Marco Nazarri, Svalbard dell’Associazione Grande Nord di Torino e Sepolti nei ghiacci di Owen Beattie e John Geiger. Il primo è un volumone fotografico sull’Artico ricco di interessanti informazioni su ambiente, antropologia, fauna e flora; il secondo è a metà strada tra il saggio e il Baedeker; l’ultimo riporta i dati di uno studio sulle possibili cause del fallimento della spedizione dell’Erebus e della Terror di Franklin.

Anche questa volta ho letto un libro di Borges, la raccolta di racconti fantastici L’Aleph. Credo costituisca il libro più noto e apprezzato di questo autore, ed è effettivamente fuori dell’ordinario; ma ritengo che Finzioni sia ancora superiore.

Simon Leys è riuscito a incuriosirmi a sufficienza, e ho così letto l’enigmatico romanzo di Victor Segalen René Leys e il mistero del palazzo imperiale. Decisamente insolito nella costruzione e nella trama, rende assai bene l’atmosfera di luogo ed epoca (Pechino di inizio Novecento).

Ho poi letto la tragedia in tre atti Il mio amico Hitler di Yukio Mishima, recentemente pubblicata da Guanda (purtroppo con la solita copertina repellente che è il marchio caratteristico di questa casa editrice). È la rappresentazione del preludio all’inevitabile violenza chirurgica che Hitler dovette esercitare, dopo la nomina a Cancelliere, contro i vertici dell’SA e l’ala sinistra del partito.

Ho cambiato decisamente argomento con La lunga notte di Shackleton di Mirella Tenderini, una biografia molto ben scritta di un esploratore antartico dalla vita estremamente interessante (avevo letto precedentemente Endurance di Alfred Lansing, che riguarda però esclusivamente la spedizione antartica di Shackleton più nota, quella che portò al naufragio della nave omonima).

Una quindicina di anni fa andai ad assistere a Camogli alla presentazione de Il popolo, la decadenza e gli déi di Jean Cau; ne parlava Maurizio Cabona. Ascoltandolo mi era sorta una gran curiosità, ma purtroppo non avevo in tasca soldi sufficienti per comperare il libro, e così vi dovetti rinunciare. Per anni mi è tornato in mente, ma solo un paio di mesi fa finalmente l’ho trovato casualmente e sono diventato proprietario di una sua copia. Lo si legge quasi d’un fiato, è molto ben scritto ed altrettanto politicamente scorretto. Ottima anche l’introduzione di Alain de Benoist.

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Autori

In morte di Pio Filippani – Ronconi

Con la morte di Pio Filippani – Ronconi, avvenuta due giorni fa, l’11 febbraio 2010, è venuto a mancare alla comunità dei vivi uno dei più straordinari interpreti della cultura.

Non ho mai avuto occasione di conoscere il professor Filippani- Ronconi, ma ne ho sempre avuto questa precisa immagine, confermata negli anni da tante persone che lo hanno frequentato più o meno assiduamente, dalla lettura dei suoi scritti, e – da ultimo – da alcune fotografie e filmati che hanno iniziato a circolare in rete.

Mi vengono in mente pochissimi altri casi di personaggi simili. Uso il termine personaggio, anziché persona, non tanto perché Filippani è assurto a personaggio – per esempio nelle Uova del Drago di Pietrangelo Buttafuoco – quanto perché la sua vita ha tutto del romanzo d’avventura, anzi persino lo trascende.

Ma a rendere straordinarie la sua vita e la sua figura è stato il connubio di pensiero e di azione. Il mondo, specie in passato, è stato attraversato da avventurieri di ogni risma; individui dalle biografie disparate, talvolta incredibili; e da grandissimi studiosi, uomini consacrati al sapere in ogni campo, non limitati nelle loro ricerche dai comparti stagni della scienza accademica, protagonisti di geniali scoperte e intuizioni. Ben più rari sono stati gli uomini che hanno saputo abbinare alla solidità dello studio la coerenza delle azioni. Filippani è stato un uomo di cultura e un guerriero; ed entrambe le cose in modo esemplare.

Sia chiaro, si può essere individui straordinari senza aver mai letto una riga di Evola, o anche senza saper leggere del tutto. Anzi è frequente che si trovino più lealtà e correttezza in un analfabeta che in un laureato. Ma troppo spesso, specie a Destra, questa è stata una comoda giustificazione della propria mollezza e dell’incapacità di affrontare le sfide con preparazione e serietà.

Filippani – Ronconi si dedicò con ardore fin dalla giovinezza alle lingue e alle culture d’Oriente; le sue conoscenze dovevano avere raggiunto un livello incomparabile, a giudicare dall’alone quasi leggendario che le circonda. L’unico grande studioso che mi venga in mente, paragonabile per competenze linguistiche, è Georges Dumézil.

Mi auguro che dal Walhalla la figura di Pio Filippani – Ronconi continui a lungo a irradiare il suo esempio luminoso.