Grandi autori per piccoli lettori

Mino Milani

Ma chi è Guglielmo Milani da Pavia, e quale posto occupa nelle patrie lettere? Chi lo sa alzi la mano. Nessuno la può alzare perché nessuno conosce Guglielmo Milani, ma parecchi invece conoscono Mino Milani, prolificissimo scrittore per ragazzi, collaboratore del Corriere dei Piccoli e de La Domenica del Corriere, ma anche direttore della Biblioteca Civica di Pavia e (anche se per breve tempo) del quotidiano La provincia pavese, autore di decine e decine di romanzi per la gioventù, ma anche per adulti, di opere storiche, di saggi, di sceneggiature per fumetti eccetera, eccetera. Frequentatore di tutte le possibili sfaccettature dei generi popolari, dall’avventura al western, dal romanzo d’amore alla storia di guerra, dalla ricostruzione storica al fantastico, ma anche alla fantascienza (perlomeno quella a fumetti con l’indimenticabile I cinque della Selena, disegnato da Dino Battaglia per il Corrierino). Ma di lui, come di molti altri, la critica cosiddetta ufficiale poco s’interessa poiché sono «autori di serie C».

È la definizione che lo stesso Milani dà di se stesso in un volumetto autobiografico (L’autore si racconta, Franco Angeli, pag. 110, euro 14) dedicato a questa parte della sua attività letteraria, poi ampliato anche alle altre e alla sua vita (ha oggi 82 anni) come Piccolo destino (Mursia, pag. 186, euro 14), entrambi non solo una miniera d’informazioni, di personaggi e di aneddoti, ma anche una possibilità di entrare nel cantiere di lavoro dello scrittore e soprattutto nel suo universo: perché ha scritto di certi argomenti e in che modo intendeva i «generi» di cui si occupava.

Molto ironicamente Milani, parlando dell’inizio della sua carriera di scrittore per ragazzi e constatando che, al di là del successo di vendite, era regolarmente ignorato sul piano critico, si rese conto, come detto, «d’essermi letterariamente iscritto alla serie C». Ma Alessandra Avanzini e Luciana Bellatalla, curatrici della collana «Linee» della Franco Angeli ideata appositamente per dar voce a questa categoria di narratori, presentando il testo di Milani chiosano: «Altro che “autori di serie C”! Per essere scrittori per bambini e per ragazzi bisogna essere scrittori di serie A, scrittori con una marcia in più. Questi scrittori, infatti, devono saper costruire un mondo nel quale il bambino/ragazzo possa “perdersi senza perdersi”, usandolo per dar vita ad una piacevole e protetta versione personale ed originale. D’altra parte non è forse questo lo scopo di tutta la buona letteratura?».

Parole sacrosante in un mondo, quella della letteratura per ragazzi, che a quanto pare resta valido sino ai 12-14 anni allorché i nostri pargoli, crescendo, scoprono i videogiochi, il web, le chat, facebook e compagnia bella, abbandonando la lettura come dimostrano da anni le statistiche che regolarmente si fanno.

Ora, Milani nella sue “autobiografie” non fa altro che difendere a spada tratta il senso del proprio lavoro in un mondo che pian piano lo sta dimenticando (è la verità, nonostante i suoi personali successi). E questo è il lato dal mio punto di vista più importante dei suoi due libri, al di là delle tante persone e situazioni che descrive (Mosca, la redazione del Corriere dei Piccoli, i disegnatori del settimanale, la sua trasformazione in mano ai manager che volevano “adeguarlo ai tempi”, trasformandolo in quell’ibrido – anche linguistico – che fu Corrier Boy, la sua chiusura; ma anche la collaborazione alla Domenica del Corriere con la gestione della famosa rubrica «La realtà romanzesca», ecc. ecc.).

Disgustato da ragazzino dai libri edificanti che gli lasciavano «un senso di nausea», il giovane Guglielmo già Mino trovò la sua «salvezza» prima in Salgari poi nella «Romantica mondiale» di Sonzogno e ne La morte di Arturo di Mallory: amore, morte, audacia, magia, viltà, coraggio, tradimento generosità, vendetta, perdono. La strada era segnata. Romanzo dì avventura e quindi d’evasione: «Da un mondo come il nostro, dove caparbiamente si cerca di rendere tutto prevedibile… l’unica via d’uscita è il libro, e più è d’avventura, meglio te ne vai». Ma si sa l’obiezione: «Da dove vuoi evadere? La tua vita, la tua attualità, la tua quotidianità sono qui, e te la devi vedere con loro, caro mio». Non si può sfuggire ai «temi forti». E quindi: «Evadere? Pessima idea». Ma dice Milani, e noi con lui avendolo scritto non si sa più quante volte: «Disastrosa la prospettiva di ritrovare a sera, sulle pagine del libro, il richiamo ai problemi che mi hanno assillato durante il giorno, e che saranno gli stessi domani… Dico solo che, se domani li dovrò affrontare, non ho voglia di raccontarli, e meno che mai di farlo secondo regole non scritte, ma politicamente corrette, sussurrate suadevolmente o raccomandate con indice severo».

Ahi, ahi, ahi, Mino Milani non si rende conto di quel che dice? Non sa che l’Ordine dei Giornalisti o il Ministero delle Pari Opportunità hanno già annotato il suo nome nella lista nera dei reprobi? Non sa che passerà dalla serie C alla serie Z? Per nostra fortuna restano i suoi moltissimi romanzi per ragazzi e adulti che nessuna commissione potrà emendare come leggiamo in 1984, o come invece si fa con molte favole risciacquate nella melassa buonista. Ci resta così per fortuna la saga di Tommy River ispirato da Ombre rosse, uscita man mano sul Corrierino e poi in volume negli anni Sessanta (gli otto romanzi sono stati poi riuniti da Mursia in due tomi nel 1976): Tommy, guarda un po’, è nientemeno che un sudista ferito a Gettysburg che fa del coraggio, della forza morale, del rispetto, del senso della giustizia e del dovere la sua livrea, come ogni vero eroe che si rispetti. Egli combatterà la sua «buona battaglia» anche se non «vince» sempre. La sua vera sconfitta gli giunge solo dalla «realtà industriale» che lo scaccia dalle sue terre, una realtà «nella quale Tommy non può e soprattutto non vuole vivere». Tommy, come altri protagonisti delle storie di Milani – Sir Crispino, o Efrem, il ragazzino soldato di ventura, o Martin Cooper (1968), il «fantarcheologo» precursore, se così si può dire, del Martin Mystére di Alfredo Castelli (1982) – sono tutti personaggi della «biasimata evasione» che ci raccontano «un’altra vita, improbabile e tuttavia parallela a quella reale».

Questo è Mino Milani che ha anche il coraggio politicamente scorretto di parafrasare a modo suo il famigerato motto di Brecht, così: «Se sono beati i popoli cui non occorre un eroe, sono sventurati quelli che all’occorrenza non ne trovano»! Onore delle armi, dunque, a Mino Milani che ha ormai scritto tutto quel che doveva scrivere seguendo sino in fondo la propria vocazione.

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Tratto da Il Giornale del 3 agosto 2010.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

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