Giuseppe Sermonti e la lingua degli archetipi

La recentissima scomparsa del Professor Giuseppe Sermonti spinge ad una ampia riflessione sul senso della sua opera e su ciò che il suo pensiero ha rappresentato per chi abbia avuto la ventura di imbattersi nei suoi scritti, ispirando al contempo un sentimento di sottile rammarico per non aver avuto la sorte di incontrarlo e conoscerlo di persona. Pertanto, in questa sede non si intende fare un necrologio oppure una commemorazione apologetica dei suoi meriti e virtù, bensì una disamina, necessariamente sintetica del suo pensiero e alcune considerazioni sui risvolti scientifici e filosofici di esso.

Sermonti è conosciuto per la sua critica del Darwinismo a partire dal 1980, anno in cui vede le stampe Dopo Darwin, scritto a quattro mani insieme al Paleontologo Roberto Fondi. Già in quel volume, di cui Sermonti curò la prima parte, sono trattati in una forma sintetica quanto sistematica ed esaustiva, i temi che avrebbero costituito i suoi cavalli di battaglia nelle opere successive. Se volessimo sintetizzare in una formula lo spirito della critica all’Evoluzionismo operata da Giuseppe Sermonti, quella formula sarebbe senza dubbio la preminenza della forma: prima di ogni ereditarietà, selezione naturale, adattamento ecc, esiste l’espressione di forme, di archetipi che si manifestano laddove se ne presentino le condizioni ambientali.

Il mondo vivente si fonda sulla tensione dinamica tra archetipi ed ambiente, la pressione ambientale fornisce lo stimolo, la forma interna dell’organismo reagisce per ristabilire l’omeostasi a livello individuale oppure a livello di specie, generi, classi, tipi generando nuove forme. Ma tali forme non sono in alcun modo arbitrarie; seguendo la scia di autori del calibro di Georges Cuvier, prima, D’Arcy Thompson e, più di recente, Antonio Lima de Faria, Sermonti è persuaso che le forme viventi seguano le leggi della geometria che, a livello biologico si manifestano come leggi della composizione organica, leggi che analizzeremo tra breve. Le forme dei radiolari proliferano nelle profondità oceaniche senza alcun occhio che le guardi né alcuna utilità, manifestando tutte le possibili varianti dei Solidi Platonici, le corna dei Mufloni sulle montagne del nostro pianeta come le conchiglie del Nautilus, le spirali del guscio delle Lumache oppure le spirali delle Galassie manifestano una geometria senza tempo; allo stesso modo i rami degli alberi, le forme dendritiche di molti cristalli e il delta dei fiumi mostrano delle leggi invisibili che regolano lo sviluppo delle forme naturali. Tali forme e leggi esistevano ben prima della comparsa della vita, sono leggi insite nella struttura stessa della realtà e sono leggi razionali, matematiche; come ci insegna D’Arcy Thompson, vi è una ingegneria superiore che impelle nel creato e che tende a manifestarsi in ogni dove e ad ogni livello, fisico, chimico, biologico, psichico e spirituale.  Come dicevamo, tali leggi e forme si manifestano nella realtà biologica ad un livello superiore rispetto al loro attuarsi nella materia inanimata.

La realtà del vivente è quella di una forza interna, una ur bild, una forma primordiale, come direbbe Goethe, insita in ogni classe di organismo, che intride di sé ogni singolo individuo di quella classe e che rappresenta la finalità interna di ogni essere organico, ponendosi in un rapporto dinamico con la realtà ambientale. Tale rapporto dinamico segue le leggi della composizione organica, già intuite da Aristotele, riprese da Cuvier, pioniere della Paleontologia e dell’Anatomia comparata, e sviluppate da Saint Hilaire, prima e perfezionate da Goethe. Alla base di tali leggi vi è la persuasione che la morfogenesi come la filogenesi degli organismi segua il principio dell’equilibrio; è come se ogni organismo disponesse di un “capitale” di forza organica e morfogenetica limitato: in pratica il bilancio della natura deve sempre essere a somma zero, vale a dire che se una parte o una funzione prende il sopravvento, un’altra parte o funzione deve ritrarsi per garantire l’equilibrio e l’armonia. Inoltre, i rapporti e le regole che determinano tali trasformazioni sono delle vere e proprie leggi organiche di ordine superiore. Un esempio “drammatico” si può osservare nella differenza tra una giraffa ed una talpa, nella prima, gli arti ed il collo prendono il sopravvento sul tronco che in proporzione è breve e tozzo, nella seconda gli arti ed il collo sono fortemente accorciati dando spazio all’espansione del corpo. Allo stesso modo mai si potrà vedere un leone con le corna o un toro con le zanne. Questi sono solo alcuni esempi di questo principio che abbiamo approfondito altrove[1]. Scorgiamo, quindi, una finalità interna ad ogni organismo, una teleologia immanente alla quale è necessario ricorrere per spiegare le meraviglie della vita, esigenza di cui furono coscienti altri due grandi autori cari a Giuseppe Sermonti: Ernst Von Baer, forse il più grande Biologo dell’Ottocento, famoso per le sue quattro leggi dello sviluppo, leggi la cui essenza sta nella consapevolezza che nello sviluppo embrionale si assiste ad un processo di individuazione e specializzazione che parte dal modello generale comune al gruppo a cui la specie in questione appartiene per avviarsi al prodotto finale con le sue prerogative specifiche. Sulla stessa direttiva troviamo il Biologo Hans Driesch conosciuto per la sua teoria delle potenze prospettiche: nello zigote sono immanenti quelle forze ontogenetiche tra loro coordinate che porteranno all’esplicarsi delle varie parti anatomiche e funzioni organiche che costituiranno l’organismo finale. Quello ontogenetico, pertanto è un processo canalizzato ed orientato. Ma canalizzato ed orientato è anche il meccanismo che porta allo sviluppo delle differenti forme organiche nell’arco dell’evoluzione. Come tale processo avvenga sarà oggetto delle prossime righe.

Luminare e superbo conoscitore dei risultati e dei progressi che nella seconda metà del XX e nel primo ventennio del XXI la biologia molecolare e la genetica hanno compiuto, egli interpreta questi alla luce della sua visione organicista e dinamica della realtà biologica. Figlio della filosofia della natura dei secoli XVIII e XIX, in particolare quella di Goethe, come abbiamo visto, egli pensa che nell’organismo debba esistere un’Idea Vivente che lotta in un certo senso con l’ambiente e che si adatta ad esso dinamicamente senza stravolgere la propria natura. Alla luce di tutto questo la selezione naturale, che nel credo darwinista e neodarwinista sarebbe il motore dell’evoluzione in realtà non farebbe altro che eliminare le novità, pertanto avrebbe un’azione stabilizzatrice sulle forme viventi. La Biologia molecolare conferma tali assunti poiché la replicazione del Dna e la sua trascrizione e traduzione in Rna e Proteine è un processo altamente conservativo, in quanto attraverso un processo conosciuto come proofreading, reso possibile dall’azione delle polimerasi che letteralmente rileggono e correggono servendosi di decine di enzimi e molecole accessorie le sequenze di basi eventualmente errate, gli appaiamenti inesatti e le eventuali trasposizioni ed inversioni.

Ma vi è di più, negli ultimi anni è emerso, e man mano che procedono le ricerche emerge con sempre maggior forza ed insistenza, l’esistenza di una vera e propria ingegneria genetica naturale all’interno della cellula, ben più sofisticata di qualsiasi ingegneria genetica attuata nei più avanzati laboratori umani. Servendosi di Trasposoni e Retrotrasposoni, ad esempio, la cellula è in grado di spostare intere sequenze genomiche da un locus all’altro della doppia elica, di modificare i cromosomi nella maniera più appropriata al fine di rispondere alle sfide ambientali, questo è emerso soprattutto a livello di vita microscopica e sub microscopica. La resistenza agli antibiotici da parte dei Batteri, ad esempio, ne è un caso lampante. Un caso ancora più eclatante è la capacita dei Leucociti di produrre una varietà pressoché infinita di Immunoglobuline, in pratica non vi è antigene al mondo che il sistema immunitario non sia in grado di intercettare grazie alla capacità delle cellule immunitarie (in questo caso i Linfociti B) di modificare ad una velocità prodigiosa i siti genici che codificano per le catene leggere delle Immunoglobuline, cioè quelle che vengono a contatto con l’antigene e che devono avere esattamente la stessa forma dell’antigene o di parte di esso per riconoscerlo e scatenare la risposta immunitaria.

Inoltre, all’eredità verticale, quella classica, per intenderci, quella che si trasmette da genitori a figli attraverso il Dna contenuto nel Nucleo della Cellula, si è aggiunta la scoperta di altri tipi di eredità. Vi è ad esempio una eredità epigenetica, caratterizzata dalla trasmissione, attraverso il citoplasma, soprattutto materno. di un corredo di enzimi e miRna, che possono attivare o silenziare intere classi di geni, trasmettendo, pertanto, le istruzioni di funzionamento all’organismo appartenente ad un determinato asse ereditario. Vi è, inoltre, una eredità strutturale che passa da cellula a cellula, come ad esempio quella che riproduce la struttura del reticolo endoplasmatico o dei centrioli della cellula madre nella cellula figlia, e tale eredità non passa attraverso i geni, ma si plasma e si infonde per “contatto”, per non parlare dell’eredità orizzontale, vale a dire l’inserzione di pacchetti genici appartenenti a virus e retrovirus, attraverso la Trascrittasi Inversa, pacchetti che il genoma della cellula ha adoperato e adopera in maniera creativa.

In sintesi la cellula può, in ogni momento, rimappare in maniera olomorfa il suo genoma per adattarlo alle esigenze del momento, ciò è altrettanto vero per le cellule germinali e questo ci catapulta nella fucina dell’evoluzione. Molto probabilmente l’assenza di anelli di congiunzione nei reperti stratigrafici e la comparsa quasi improvvisa di interi biomi come nel caso della famosa esplosione del Cambriano testimonia l’azione di questa capacità intelligente di creare il nuovo per rispondere al cambiamento, creatività che la Vita ha in comune con la genialità dell’Uomo. Molto probabilmente nelle “Età dell’Oro” dell’Evoluzione, ogni qualvolta fossero presenti le condizioni e la pressione ambientale opportuna, in particolare in popolazioni isolate e confinate in particolari condizioni ambientali, avvenivano, in sede di riassortimento genico e crossing over tra i corredi dei Gameti, quelle riprogrammazioni repentine del genoma che potevano far si che da una mucca potesse, nell’arco di poche generazioni, o forse in maniera repentina, uscirne un Delfino o da una Scimmietta un Uomo. Tali mutazioni non potevano essere casuali o da bricoleur ma appunto olomorfe, rapide ed efficaci, quindi orientate verso il risultato finale, nessun processo stocastico mai potrebbe generare nulla del genere. Parliamo di Età dell’Oro perché a detta di molti l’evoluzione sarebbe in una fase di arresto, dopo le epoche creative degli “eroici furori” della Vita, la sua plasticità sarebbe in una fase drammatica di declino e ad oggi nessuno potrebbe affermare che esista la possibilità che emergano nuove specie, se non a livello microscopico dove la plasticità e la malleabilità sono ancora in gran parte conservate e massimamente attive.

In merito alla speciazione, un altro concetto fatto proprio da Giuseppe Sermonti è quello di Neotenia o Pedomorfosi, applicato in particolare al processo di Ominazione. Pedomorfosi vuol dire letteralmente che ha la forma di un bambino, è quel fenomeno secondo il quale una forma giovanile di una specie raggiunge la maturità sessuale. Il primo e forse più lampante esempio di questo fenomeno è quello dell’Ambystoma mexicanum, conosciuto come Axolotl, una Salamandra che vive nei laghetti delle grotte messicane che conserva fino all’età adulta i caratteri della sua larva, a meno che non assuma sufficiente Iodio da innescare la Metamorfosi e farne un animale terrestre. Tale processo può essere assunto come chiave interpretativa per comprendere l’evoluzione dei gruppi biologici. Ad esempio, la larva dei Millepiedi possiede tre paia di zampe come i suoi cugini più recenti, gli Insetti, questi, pertanto potrebbero essersi evoluti a partire da una larva di Diplopodi (la classe dei millepiedi) che avrebbe fermato la sua ontogenesi a quello stadio di sviluppo per continuare la sua maturazione nella “nuova forma”. Reinterpretando le leggi di Von Baer, e alla luce delle idee di Pierre Grassè, Genet-Vancin, Westenhofer, Templeton ecc, Sermonti afferma la forma umana è quella più vicina all’archetipo originario, egli è l’unico primate che nella sua forma adulta resta simile alla sua propria forma infantile. I cuccioli degli altri primati, infatti, sono simili al bambino, solo più tardi perdono la gentilezza delle fattezze per assumere la forma adulta. Questa sua peculiarità pone l’Uomo al principio e non alla fine. L’Uomo è il più antico perché il più giovanile, il meno specializzato, le altre specie sono più evolute in quanto hanno imboccato il vicolo cieco della specializzazione per una particolare nicchia ecologica e per un determinato stile di vita; l’Uomo, viceversa, non ha alcuna specializzazione ma è programmato per aprirsi all’Infinito, giovane nella forma antichissimo nell’anima, l’Uomo è il centro dell’Universo: ammassi di galassie e congerie di mondi non hanno alcun peso nei confronti ad un pur flebile mutamento della sua anima.

Lungi dall’essere delle semplici intuizioni filosofiche queste idee ricevono ampia conferma dalla paleontologia, dalla biologia molecolare e dall’anatomia comparata. L’Uomo, ad esempio, paragonando i suoi cromosomi e la struttura fine della cromatina con quella dei suoi cugini, appare essere tra i primati, quello che si è discostato in misura minore dalla forma originaria, in pratica, l’ascendente di Scimmie ed Uomo era più simile all’Uomo. L’Uomo è condannato a restare fanciullo, ad auto educarsi per tutto il corso della sua esistenza a plasmarsi di continuo, a continuare nello spirito, ciò che la natura ha iniziato nel corpo, ad essere il Salvatore Salvato della mistica Iranica, a realizzare nello spirito quella perfezione dinamica di cui nel suo corpo è impressa la segnatura. Il merito del Professor Sermonti è quello di aver ridato anima alla Biologia e dignità all’Uomo.

Che i posteri gli siano infinitamente riconoscenti e se questi non lo saranno gli potrà bastare la riconoscenza degli Dei e dell’Archetipo dell’Uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

[1] www.centrostudilaruna.it, Fulvio Saggiomo, Quando la Forma ignorò Darwin.

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