Quando i giovani facevano cultura politica

Luca La Rovere, Storia dei Guf. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista (1919-1943) Quella fascista è stata definita a più riprese come una lotta tra generazioni. Lo storico Juan Linz, ad esempio, parla espressamente del fascismo come di una “rivolta generazionale”. Un culto della giovinezza che doveva caratterizzare il rovesciamento del vecchio ordine liberale, rappresentato da uomini anziani e inetti, legati a un mondo ormai tramontato. E, a leggere il libro di Luca La Rovere Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943 (Bollati Boringhieri), ci si rafforza nell’idea che davvero il fascismo sia stato una rivolta di capi giovani seguiti da una massa di giovani: Mussolini fu, con i suoi trentanove anni, il più giovane Capo di governo italiano, Bottai era stato non ancora trentenne il più giovane parlamentare, molto giovani erano anche Balbo, Pavolini, Ciano e tanti altri. I GUF, nell’arco del Ventennio, rappresentarono la volontà di custodire questo patrimonio di carica innovatrice, che proveniva dall’interventismo (in cui i giovani, come ad esempio Curzio Malaparte, che partì volontario sul fronte francese a diciassette anni, erano parte rilevante) e che sfociò nello squadrismo.

La rivendicazione di queste origini rimase una costante della gioventù universitaria fascista. Lo squadrismo studentesco si volse poi, a regime consolidato e non senza fasi di ribellismo, in un frenetico attivismo culturale, nei dibattiti e nelle polemiche ideologiche anche aspre, nel gran numero di giornali, riviste e rivistine che caratterizzarono l’ambiente giovanile del fascismo e che costituirono la punta di diamante di ciò che Bottai intendeva col concetto di “interventismo culturale”. La Rovere scrive in proposito che i giovani furono al centro del disegno mussoliniano di creare strumenti, idee, fermenti e un clima che favorissero l’avvento dell’uomo nuovo fascista, con un senso rivoluzionario di civiltà e di politica: “L’atteggiamento della gioventù universitaria si sviluppò esattamente all’interno del peculiare tentativo del fascismo di fondare una ‘nuova politica’ facendo ricorso alla sua ‘sacralizzazione'”.

In effetti, l’importanza del libro risiede anche nel rovesciare il collaudato assunto – canonizzato fin dagli anni sessanta dal libro di Zangrandi su Il lungo viaggio attraverso il fascismo – secondo cui i Gruppi Universitari Fascisti e in genere l’ambiente della gioventù fascista non sarebbe stato che un occulto centro di “frondismo”, altra parola per intendere una sorta di strisciante, anteveggente forma di antifascismo. Su questa base, come è noto, interi settori della cultura italiana del dopoguerra si erano costruiti solidi titoli di credibilità e, da Lajolo a Gambetti a Chilanti a Bocca fino a rinomati santoni della politica catto-comunista, avevano costruito la fortunata mitologia dei resistenti “entristi”, quasi si trattasse di audacissime quinte colonne penetrate nel sistema per dissolverlo dall’interno. Parrebbe impossibile, ma una vulgata così apertamente falsa e innestata sull’emergenza di una rapida copertura auto-assolutoria, ha funzionato per decenni, contando sull’omertosa acquiescenza di tanti che fingevano di crederci.

La realtà è un’altra. I giovani, e i giovani universitari in modo particolare, furono il nocciolo duro dell’intransigenza fascista. Furono massicciamente fascisti e, come sottolinea La Rovere, lo furono fino in fondo, anche di fronte alle sconfitte militari, e furono tra gli ultimi a mollare. Se contestavano alcune tra le più evidenti sbavature del regime, lo facevano perché chiedevano non meno, ma più fascismo, più fede, più aderenza ideologica, più oltranzismo politico, per condurre con mano ferma una rivoluzione che si voleva soprattutto sociale, popolare, anti-borghese, anti-conservatrice e anti-capitalistica.

La coniugazione tra adesione ideologica e senso di appartenenza a una “milizia aristocratica” rigidamente incardinata su valori affini all’ordine religioso, fu all’origine di atteggiamenti votati all’offerta di sé e alle forme più assolute della reciprocità e della solidarietà. Dal volontariato squadristico, che ebbe i suoi martiri adolescenti, a quello di guerra, fino al volontariato civile che fin dalle origini aveva caratterizzato il clima fortemente idealistico di cui era permeato il mondo giovanile del fascismo. Fenomeni quali l’arditismo civile degli anni venti, oppure la formazione di gruppi di studenti “volontari del lavoro”, ci spiegano bene quali fossero i referenti fondamentali di un ambiente in cui la concezione mistica ed eroica dell’appartenenza non furono, nella maggior parte dei casi, vuote parole, ma tappe di vita vissuta.

Con tali precedenti, i GUF nacquero con un carattere decentrato e autonomo, furono un moto spontaneo, e in essi permase il gusto del dibattito, della differenziazione delle posizioni, del dialogo inesauribile. In questo clamoroso primato della politica e della partecipazione socializzata alla vita, lo storico o il semplice osservatore di oggi colgono uno dei dati che sempre più spesso vengono richiamati in qualità di segno distintivo di tutto il fenomeno fascista nel suo complesso, la sua capacità, cioè, di conciliare la concezione sacrale e tradizionale della vita e della comunità con le categorie della più avanzata modernità. Ciò che La Rovere definisce come “tentativo esperito dal fascismo di fondare sui miti una moderna politica di massa”.

Questo aspetto era ben riassunto da quanto scriveva nel 1938 su Gerarchia Silvano Spinetti, uno dei giovani più noti per l’impegno di cultura politica militante, circa il concetto di mistica secolare del fascismo: non ascetismo o fuga dal mondo, ma azione politica basata sulla “potenza mobilitante del ricorso al mito”. Altrove, noi ritroviamo le parole che sintetizzano la visione comunitaria di quei lontani idealisti, come ciò che scrisse un giovane “gufino” nel 1941: “C’è un vero utile nella vita degli uomini ed è quello di non prostituire se stessi in nessuna occasione; ed è anche anteporre l’utile di tutti al proprio”. Difficile immaginare parole più attuali per fronteggiare il crollo della dimensione comunitaria e il trionfo volgare del più ottuso individualismo di massa.

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Luca La Rovere, Storia dei Guf. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista (1919-1943) (IBS) (BOL) (LU)

Tratto da Linea del 25 giugno 2003.

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