Filosofia e Università. Tra Heidegger e Jaspers

universita-jaspersLa storia della filosofia del Novecento ha avuto un percorso strettamente intrecciato a quello della storia evenienziale del “secolo breve”. E’ impossibile comprendere il nostro tempo senza far riferimento all’interpretazione transpoltica degli eventi accaduti nel secolo trascorso da poco più di un decennio. Questo è l’insegnamento che si può trarre da uno dei pensatori rimossi del XX secolo, Augusto Del Noce. La memoria corta, delle case editrici e dei mezzi di comunicazione di massa, ha di fatto estromesso molti nomi significativi dal dibattito teoretico contemporaneo. Tra essi va annoverato sicuramente lo psichiatra-filosofo Karl Jaspers. Meritoria risulta, pertanto, la pervicace dedizione di un giovane studioso, Francesco Clemente, che da anni tenta, attraverso i suoi scritti, di attirare l’attenzione degli addetti ai lavori su questo eminente pensatore. E’, infatti, da poco nelle librerie un suo volume, L’Università di Jaspers. Libertà filosofia politica, della Teseo editore (per ordini: info@edizioniteseo.it), impreziosito dalla prefazione di Fausto Pellecchia, docente di Filosofia Teoretica dell’Università di Cassino.

Il libro è costituito da una raccolta di saggi del filosofo tedesco dedicati al mondo universitario. Il primo intitolato L’idea di Università, originariamente vide la luce nel 1923, mentre gli altri tre, Il rinnovamento dell’Università, Lo spirito vivente dell’Università, Popolo e Università, furono pubblicati nel drammatico biennio 1945/46, e in essi il problema centrale che l’autore poneva all’attenzione dei suoi lettori era quello della denazificazione del mondo accademico e, più in generale, della cultura tedesca. Abbiamo trovato davvero interessante il primo scritto in quanto, come si evince dal saggio introduttivo di Clemente, L’idea jaspersiana di riforma universitaria, in esso si realizza il coagula della cultura di un’intera età. In una parola, qui trovano sintesi le suggestioni e i dibattiti sorti sullo sfondo della repubblica di Weimar. Per l’esegesi di quegli anni, Clemente si avvale della lezione di Enzo Collotti: presenta al lettore le molteplici interferenze strutturali e sovrastrutturali che, in quella congerie storico-politica, si realizzarono. Non solo, discute le più rilevanti interpretazioni storiografiche inerenti l’avvento del nazismo, non venendo mai meno all’obiettività del giudizio critico, onde preservare il lettore dalle facili suggestioni ideologiche. Sottolinea la pregnanza, ai fini della comprensione dell’epoca di cui si tratta, di un’opera come quella di Spengler, Il tramonto dell’Occidente: “…autobiografia malinconica di un intero universo ideale… diagnosi paradigmatica del declino della cultura europea di stampo liberale” (pp. 28-29).

E’ in tale contesto di riferimento che Jaspers pensa l’istituzione universitaria animata da un compito assai gravoso, ma significativo al medesimo tempo: custodire la più alta espressione della coscienza dell’epoca, nel protendersi alla ricerca della verità nella sua interezza. In una parola, l’Università viene esperita come il luogo per eccellenza del “filosofare”, del sapere dell’Intero. In questi termini, risulta immediato e naturale il raffronto con il Discorso di Rettorato di Heidegger del 1933. Un colloquio, quello fra i due pensatori, a nostro parere eminente, anche quando si fece esteriormente silente, in conseguenza delle diverse scelte politiche degli stessi. Fondato essenzialmente sull’individuazione di un problema, quello della Bildung. Del resto in modo assolutamente esplicito nel Discorso con il quale di fatto Heidegger aderì ufficialmente al nazismo, sia pure per un breve periodo, il pensatore rivendicava alla filosofia un ruolo basileico, sperava che il nuovo sapere ontologico prendesse la guida del Movimento. Jaspers nel 1923 proponeva, nel saggio in questione, in accordo con Heidegger rispetto all’individuazione del problema, ma in disaccordo rispetto alla soluzione proposta, una: “…ripresa dell’idea kantiano-humboldtiana della Bildung umanistica, in contrapposizione con il modello bismarkiano-guglielmino”(prefazione, p. 7), e la rivendicazione del primato della filosofia rispetto alla scienza moderna parcellizzante. Mentre la posizione jaspersiana è sostanziata da una ripresa dei fondamenti dell’umanesimo liberale, Heidegger guarda decisamente a ciò che è stata definita “utopia della polis”, ad un’effettiva e possibile epistrophé greca, a un Nuovo Inizio.

Queste divergenze filosofico-politiche, fanno aggio sulle contrastanti posizioni teoretiche. Infatti, l’unità di vita e pensiero è esperita in Jaspers come orizzonte inglobante, il cui carattere precipuo esige una radicale separazione del soggetto conoscente dall’oggetto conosciuto. Tale distanza può essere superata dal “salto”, nel quale l’esistenza si mostra come libertà, come rapporto al fondo oscuro dell’Origine. Per cui ogni reale è l’apparire dell’Origine, è cifra della trascendenza. La sua visibilità fa trasparire, o semplicemente allude alla sorgente oscura, all’inizio. Per questo, la filosofia per Jaspers, lo rileva compiutamente Pellecchia, mira a preservare l’Enigma, denotando prossimità con le posizioni di un altro grande misconosciuto del nostro tempo, Andrea Emo. Heidegger, invece, portando alle estreme conseguenze il processo di destrutturazione della metafisica, rimase legato alla fatticità; la sua, fino alla fine, anche dopo la conversione dalla politica all’arte e alla poesia, resta un’ermeneutica della fatticità. In essa la dimensione immanente nella quale il Da-sein si scopre, pare inchiodare le singole vite alla situazione data, all’essere noi tutti consegnati alla cosalità intrascendibile. Tutto ciò, a nostro giudizio, soltanto ad una prima lettura: infatti il filosofo svevo procedette ad elaborare categorie concettuali atte ad impedire alla fatticità di presentarsi come mero dato, come orizzonte cosale intrascendibile, mirate a cogliere la: “…costituzione dell’apertura fattizia del Ci come Lichtung del Dasein che ne fonda l’interna motilità” (prefazione, p. 20). Solo l’antropologia dell’hitlerismo, per dirla con Levinas, con il suo esasperato razzismo biologico, ebbe i tratti di un’effettiva chiusura nella fatticità.

Al contrario, rileva il prefatore, il pensiero ebraico-cristiano e quello liberale che avvicinano le posizioni di Jaspers a quelle della Arendt, fanno della potenza dello spirito, intesa cartesianamente, lo strumento del possibile divincolarsi dalla situazione sensibile e storico-sociale. A noi pare che ciò avvenga, nelle prospettive ricordate, solo astrattamente, come aspirazione fondata su una filosofia della fede, nel caso del liberalismo nel senso di una religione secolare del progresso. In entrambi i casi, il presente risulta svuotato di senso e il Dasein, solo in quanto mera categoria dello spirito, pretende di esperire il riscatto dalla fatticità. La posizione heideggeriana, a nostro modo di vedere, anche in questo ambito concettuale, manifesta ben altra potenza teoretica, derivata dalla sua costitutiva valenza classico-platonica. Invita gli uomini del nostro tempo a perseguire una via positivamente utopica: trasformare, attraverso la “ascesi del pensiero”, riconnettendo ogni singola esistenza al precedente autorevole e destinale della Città di appartenenza, la dimensione dell’uomo-animale, dell’antropos, del dato materiale della fatticità sensibile che pur ci costituisce, nel corpo di luce, nel corpo-tempio dell’aner, di colui che è portatore della qualità esistenziale della fortezza. In piena sintonia con l’ “eresia” dell’antropologia della tradizione di cui si fece latore, in quegli anni in Italia, Julius Evola.

Le argomentazioni e i problemi teorici e politici che le pagine del libro di Clemente sollevano, meriterebbero ben altra trattazione, che quelle concesse al breve spazio di una recensione. Il lettore accorto avrà modo di constatarlo da sé. Non solo il testo propone la riapertura del dibattito su Jaspers, sui rapporti di Heidegger con il nazismo, in modo informato, organico e oggettivo, ma ci introduce al cospetto dei problemi essenziali del nostro tempo. Quelli che l’industria culturale e gli apparati messi in piedi dalla governance, vogliono che gli uomini contemporanei eludano ad ogni costo. La cosa rende il libro in questione viatico essenziale per quanti si ponga in contrapposizione allo stato attuale delle cose.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".

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