Ezra Pound

Un sole straniero lasciandogli il cuore
mappa di navigazione, arteria diamante
di destinazione orientale e fiumi sottili,
elettrico all’odore dell’acqua e pietra
imperterrita di nàutili connotati.

E poi vivai di annotazioni in alfabeto nuovo e antico
il leggiadro oscillare di pagine in pagine
con lega arcaica
Ezra Pound, meteora e graffito
oceano grave e canuto.

E quale migliore cerimonia funebre
poteva darti l’Italia,
se non quella che è stata, in Venezia,
la gondola infiorata guidata in laguna,
il remo della forza che batte sull’onda
e il legno ornato dell’ultimo viaggio
tra i ponti della poesia e del Rinascimento?

Ed anche, le presenze riverenti e mute
tra le bellezze delle architetture
e l’omaggio
delle generazioni abbeverate ai tuoi “Cantos”.

Le ceneri antiche e consunte delle ossa tue, che vanno
e la consumata usura che rimane
e su cui si è scagliata la tua rabbia
per la vile moneta trattenuta nelle banche.

Omero, Dante e Ovidio, le tue prime letture,
fatte in Europa, reggevano il tuo remo
e i versi nelle onde che al colpo si aprono
in anelli che dilatano
verso nuovi fonetici orizzonti.

Il diario dei sogni perduti, le intime sofferenze,
le culture e le razze, nella tua nuova visione
in cui i periti d’ospedale videro
“l’incapacità d’intendere e volere”.

Thomas Eliot disse di te “il miglior fabbro”,
per lo slancio emotivo e l’energia creativa,
il linguaggio forgiato, la cultura composita
nel mosaico delle tessere poetiche, antiche e moderne.

La bellezza sublime di Venezia, dunque, stava
con la tua purezza invocata nella preghiera a Dio
come nella tua “Litania notturna”.
La magica atmosfera
in cui hai voluto confonderti, distante
nell’esilio ligure, ritornato ala straniera
alla furia del mondo.

Estasiato fiume, allora, e corrente
della coscienza e della conoscenza,
vortice d’un sentimento della ribellione,
in coraggiosa e travagliata parola.

L’incitamento, dunque,
a persone o maschere da resuscitare
per ridare un senso alla vita,
caduta “nella rapida smorfia” del presente tuo,
e del nostro continuo,
e illanguidita d’intelligenze e di frutto,
e pronta a mostrarti l’errore e a volgerti il viso
ma non a cogliere la grandezza del lirismo
e la proiezione, dal combattimento allora perso,
che riluce a distanza, risvegliata.

* * *

Roma, febbraio 2004.

Condividi:
Segui Ettore Mosciano:
Ultimi messaggi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *