Evolomani e massoni

Il fatto e l’antefatto

Il 29 novembre alcune comunità militanti romane, si sono riunite nei locali della libreria Raido, per ricordare il martirio di Corneliu Zelea Codreanu e di altri comandanti e legionari della Guardia di Ferro. Durante l’incontro si è ricordato come Julius Evola, alla notizia dell’assassinio del Comandante legionario, abbia scritto alcuni articoli dal titolo significativo: “La Tragedia della Guardia di Ferro”.

Lo stesso giorno un’altra “tragedia” veniva vissuta, a nome e per conto di Julius Evola: la Fondazione che porta il suo nome, legittimava e “patrocinava” un convegno organizzato da alcuni settori della massoneria italiana dall’eloquente titolo: “L’eredità di Evola”.

La locandina del convegno aveva l’intestazione di tutta una serie di logge promotrici: “Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim”, “Rito Primitivo dei Filadelfi” (Narbonne 1779), “Rito di Misraim” (Venezia 1788), “Rito di Memphis” (Montauban 1815), “Riti Uniti di Memphis e Mirsraim” (1881) ed i “lavori” avvenivano sotto gli auspici della “Libera Muratoria Universale” e del “Grande Oriente d’Italia”.

L’introduzione è stata affidata a Giancarlo Seri, [33:. 90:. 97:. – Il Sovrano Gran Maestro – Gran Commendatore – Gran Hyerophante Generale] e al segretario della Fondazione Evola, il dott. Gianfranco De Turris.

Nella presentazione del convegno si coglieva, da una parte, l’interesse di coniugare l’opera di Evola con il messaggio massonico e, dall’altra, la necessità di inserire il pensiero di Evola in ambito accademico e universitario, per dargli finalmente un valore scientifico. Per questo motivo, l’opera evoliana veniva ben distinta e allontanata dall’esperienza fascista e dai “morbosi” interessi degli ambienti neofascisti che, sottolineavano i promotori, sono “in palese contrasto con quanto lo stesso J. Evola aveva voluto significare” .

Da segnalare, che a poche ore dalla chiusura del convegno, vari apparati della cultura universitaria di sinistra e comunista, si scagliavano in feroci anatemi, rimproverando ai partecipanti non solo la sterile pregiudiziale antifascista, ma mettendo in risalto il fatto che l’opera di J. Evola non poteva ricevere alcuna patente di democraticità e, quindi, non aveva alcuna serietà scientifica. A tale proposito, significativo era l’intervento a firma di vari “professori” universitari dal titolo: “Fermiamo il virus Evola”, nel quale, scagliandosi violentemente contro il pericolo “pseudoscientifico, pseudostoriografico e antimodernista”, si sottolineava come nel campo della “storia delle religioni” sia avvenuta “ogni sorta di infiltrazione metafisica, filoesoterica e perennialista”.

Ci si permetta di aggiungere per inciso, rispetto a quanto poc’anzi riportato, che l’idiozia è veramente manifesta.

La contro-risposta della Fondazione, a questo punto, rappresentava purtroppo un desolante lamento, diretto ad inveire contro un ambiente universitario pieno di “di risentimenti, di rivalità inconfessate e, soprattutto, di rifiuti pregiudiziali”, per concludere con l’affermazione che “la democrazia escludente, anche in ambito culturale, è davvero una strana cosa”.

Delle necessarie risposte

Dinnanzi a tutto ciò, la Comunità Militante Raido ha ritenuto necessario intervenire all’interno dei propri canali di informazione web, evidenziando come la Fondazione, piuttosto che cercare una vana gloria, legittimando una certa massoneria come erede di Julius Evola – in sintesi, la morale è questa –, dovrebbe dedicarsi alla Formazione, compito più volte sottolineato e auspicato dallo stesso Evola.

Ecco, quindi, arrivare “puntuale” la risposta della Fondazione alle osservazioni di Raido: viene diffuso su alcuni siti web, oltre che sul sito stesso della Fondazione, un intervento dove si rimprovera chi ha criticato il convegno da “destra e manca” e, senza nominare direttamente la nostra Comunità, facendo comunque riferimento alla nota di Raido.

Nell’intervento a firma della Fondazione, lo sottolineiamo sin da subito, vi sono alcuni punti che preoccupano e c’è da chiedersi se chi gestisce oggi la Fondazione sia cosciente dell’“opera” che sta compiendo oppure proceda a tentoni… “come un cieco in una stanza buia che cerca un gatto nero”.

Ma di cosa si lamenta la Fondazione?

Per primo si fa notare che chi scrive non si firma con nome e cognome, pur sapendo che all’interno di una Comunità tutti sottoscrivono quanto viene pubblicato o, per lo meno, lo sono i responsabili della Comunità stessa. Per quanto riguarda Raido, è assolutamente banale dover ricordare quanto non sia difficile la relativa individuazione; la sede, infatti, è aperta dal lunedì al sabato, con orario continuato, è attivo un numero di telefono, un sito web, vari profili sui social network, di continuo si organizzano attività formative, culturali, ricreative, sportive, associative, ecc. risposta de turrisInoltre, e ci perdoni chi legge un briciolo di autoreferenzialità, Raido può vantare qualche benevolenza per la sua storia e per la sua attività ormai ventennale, oltre che per il passato ed il presente ma, non essendo noi i tipi che si fanno illusioni o si arrogano chissà quali meriti, sappiamo che non è bene vivere di ricordi e ciò che conta è il “qui ed ora”. Tuttavia, ci dispiace precisarlo ad “onor di cronaca”, il problema di un’assenza di firma al proprio articolo si è verificato anche per la Fondazione, visto che nessuno dei suoi collaboratori ha avuto la grazia di vergare col proprio nome l’intervento. State tranquilli, non abbiamo intenzione di farne una questione perché, grazie ad Evola ed al suo insegnamento, conosciamo il significato dell’anonimato e dell’impersonalità attiva….

Da più di vent’anni, Raido e prima di Raido tutto un mondo “militante”, è fedele alla volontà di Evola che ha voluto inserire nello “statuto” della Fondazione (da lui stesso indicata), la definizione “per la difesa dei valori di una cultura conforme alla Tradizione”, dove “il termine ‘Tradizione’ deve essere inteso nel senso proprio ed eminente ad esso dato da Renè Guenon e da Julius Evola e dalla corrispondente corrente di pensiero”.

Erede, quindi, è chi interpreta in modo corretto l’opera del Barone e ne perpetua l’azione, chi, ogni giorno, del monito “uomini tra le rovine” prova, tra mille difficoltà ed imperfezioni, a farne un manifesto attuale ed attualizzabile. Non coloro che si ritengono “depositari” (in senso burocratico) di un ectoplasma che non esiste neppure sulla carta. Costoro, infatti, si gratificano di essere i cultori delle pubblicazioni dei libri di Evola, ma in ogni edizione, fateci caso, traspare una gara maniacale e manieristica a far apparire nomi e cariche in bella evidenza, il tutto, sempre, per dare un senso profondo all’impersonalità attiva. Sicuramente il lavoro di “amanuensi” è stato ed è importante e, per molti versi, meritorio, ma non è accettabile il presentarsi come i custodi (o gli artefici, addirittura) di tale pensiero. Evola esiste ed esisterà anche senza di voi, rassegnatevi.

Julius Evola, e la Tradizione tutta, non sono argomento da querelle fra accademici, che si scannano pretestuosamente, in convegni ermeneutici per rincoglioniti e “pseudo-iniziati”. Qualcosa che sentiamo ripetere sin dai tempi della maldestra-neodestra, è questa mania di persecuzione, che si traduce con la sindrome del ghetto, del “mito incapacitante”, della necessaria “trasgressione”, dell’essere “originali” a tutti i costi. Così la Fondazione, con piglio quasi sadomaso, afferma che non si preoccupa di “collaborare con tutti, compresi il diavolo e l’acqua santa, in una prospettiva del tutto “laica”, avversa ai dogmatismi e ai fideismi ideologici e intellettuali, purché ci sia libera espressione e non certo strumentalizzazione. Chi ha paura di “contaminarsi” evidentemente non è sicuro di se stesso, del proprio carattere, del proprio spirito e delle proprie idee”. Sottolineiamo, immediatamente, che l’essere sicuri di se stessi significa essere “come il promontorio contro cui si infrangono incessantemente i flutti” (cit. Imperatore Marco Aurelio); al contrario, chi non è sicuro, cerca le “contaminazioni” e adopera i vari “sincretismi”, per riempire il proprio vuoto interiore ed alimentare il dubbio razionalistico. La verità tradizionale è certezza in quanto tale e, a differenza di qualsiasi ideologia umana, non va interpretata ma conosciuta.

Comprendiamo, tuttavia, che la parola “militante” risulti così indigesta da doverla virgolettare (attenzione al virus… Evola! E’ contagioso!), in un’epoca – di tarda modernità, appunto – in cui tutto è calcolo ed appagamento del proprio (piccolo) ego personale.

Tuttavia, è bene ricordarlo, se non fosse stato per i “militanti”, e sia chiaro che tale definizione ricomprende un mondo fatto di uomini e donne che negli anni si è battuto ed oggi continua a combattere con assoluto spirito di abnegazione nei confronti dell’Idea, il pensiero tradizionale/evoliano, sarebbe stato lasciato in mano a circoletti pseudo-esoterici o cricche massoniche. Il “pensiero di Evola”, infatti, è quello che ha viaggiato fra il sudore delle sezioni e i circoli culturali, le affissioni, il piombo e il sangue, i sacrifici e la repressione. Questo mondo, certamente pieno di contraddizioni, errori ed orrori, è comunque quello che ha rivendicato la prima linea, sul fronte esterno ed interno, senza gloria e medaglie, è il mondo che ha scelto “la linea di maggior resistenza” e che ha fatto proprio il detto “portarsi non là dove ci si difende, ma là dove si attacca”.

Del resto, se il metro e la misura della bontà di un’azione non sono rappresentati dall’impersonalità, dalla tensione eroica, dallo stile legionario, ma dal riconoscimento internazionale (“il cui valore esegetico è internazionalmente riconosciuto”), allora possiamo tranquillamente affermare che vale tutto: vale la regola della quantità sulla qualità, vale il peso di mammona contro la legge del sangue e dello Spirito. I libri di Evola si stampano e si vendono perché c’è un mondo, quello “militante”, che non si arrende alla logica del pensiero unico e che attraverso Evola trova le conferme del proprio essere contro questo mondo moderno, democratico, borghese e massonico.

La Fondazione, inoltre, si fa vanto di avere una “prospettiva laica”. A questo punto, c’è lecitamente da chiedersi se la Fondazione, oltre a curare le pubblicazioni, legga i libri di Evola. Nell’introduzione di “Rivolta contro il mondo moderno”, infatti, si afferma quanto segue: “Dal nostro punto di vista non c’è l’arbitrario, il soggettivo e il fantasioso, e non c’è l’oggettivo e lo scientifico quale i moderni lo concepiscono. Tutto ciò non esiste. Tutto ciò sta fuori dalla Tradizione. La Tradizione comincia là dove col raggiungimento di un punto di vista superindividuale e non umano è possibile porsi al disopra di tutto ciò. Così si avrà una preoccupazione minima di discutere e di «dimostrare». Le verità che possono far comprendere il mondo della Tradizione non sono quelle che si «imparano» e che si «discutono». Esse o sono, o non sono”. Effettivamente, comprendiamo come tali parole possono risultare sgradite e troppo forti alle orecchie di coloro che intendono districarsi nei meandri della modernità.

In un’epoca di grandi confusioni come l’attuale, in cui in nome del relativismo assoluto tutto è lecito ed anche la più grande menzogna passa per verità, piuttosto che alimentare delle confusioni (tipo il convegno sull’eredità di Evola in collaborazione con un’associazione massonica), sarebbe il caso di rinsaldare quelle che sono o devono essere delle certezze. Una di queste, e lo sottolineiamo senza se e senza ma, è che il pensiero tradizionale e la visione del mondo tradizionale, per come lo stesso Evola e meglio ancora Guenon hanno rappresentato, non hanno nulla a che fare con la “massoneria moderna”. Punto. Il resto rappresenta un esercizio dialettico o una volontà di trovare, ad ogni costo, alibi anche quando sarebbe meglio tacere. Il che, ovviamente, non giova alla chiarezza ed alla comprensione, né tantomeno a quell’opera di divulgazione e testimonianza, sincera e fedele alle proprie radici, che la Fondazione, associata ad un così nobile nome, dovrebbe fare. Mai come in questo momento sono necessarie le affermazioni sovrane (derivanti dalla dottrina tradizionale) e le negazioni assolute (nei confronti di ciò che non è limpido e chiaro). Poi si può discutere quanto si vuole, almeno per chi ne ha voglia, ma almeno non ci si prenda in giro…

Fare chiarezza

Fuori dalla conoscenza della Verità vi è l’errore, la menzogna e l’ingiustizia, ovvero la Controtradizione. La “massoneria moderna”, per lo stesso Evola, è “sicuramente una delle società promotrici delle sovversioni politiche moderne, specie nel campo della preparazione ideologica di esse” (cit. “Gli Uomini e le rovine”) e nella sua essenza e sostanza sovvertitrice e deviata è come, “una forza che, nel campo dello spirito, agisce contro lo spirito: una forza oscura appunto di antitradizione e di contro-iniziazione. Ed allora è ben possibile che i suoi riti siano meno inoffensivi di quel che si possa credere, che in molti casi essi, senza che coloro che vi partecipano se ne rendano conto, stabiliscano appunto il contatto con questa forza, inafferrabile per la coscienza ordinaria” (cit. “Il mistero del Graal”).

Ed allora, quale verità possono offrirci i seguaci dell’“Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim”? Massoneria

Qualche giorno prima del convegno, il sito “Scienza Sacra” pubblicava una nota apparsa sul numero 51 della “Rivista di Studi Tradizionali”, d’ispirazione guénoniana e anch’essa in odore di massoneria, che riportava la risposta di R. Guénon alla richiesta di maggiori informazioni circa il «Rito di Memphis e Misraim». Quando si dice che il caso non esiste! Guénon, nel merito, affermava che, in realtà, non si tratta di un’organizzazione massonica “nemmeno irregolare!”, aggiungendo:

“Bisogna assolutamente evitare qualsiasi contatto con raggruppamenti di questo genere, diretti da individui come Crowley e Bricaud; comprenderete bene che non soltanto non c’è nessun vantaggio da riceverne, ma che per di più ciò non può che essere pericoloso da diversi punti di vista». Si comprende dunque che, secondo René Guénon, si tratta di un’organizzazione pseudo-iniziatica che (come del resto può accadere ad altre forme di pseudo-iniziazione quali ad esempio gli attuali pretesi martinismi, martinesismi, gruppi rosacrociani e kremmerziani è suscettibile di servire di copertura anche ad agenti della contro-iniziazione nettamente qualificabili come tali”.

È possibile che questa nota sia sfuggita ai solerti “censori” della Fondazione Julius Evola e che loro malgrado siano incappati in un tale errore di percorso?

Chi confonde la “cultura” con la letteratura e i salotti dell’Enciclopedia, non solo ha già perso la sua battaglia in partenza, perché disarmato dalla mancanza della forza propria ad uno stile e ad un carattere derivante dalla Formazione tradizionale, ma si illude, facendo male a se stesso e agli altri, di essere qualcosa che assolutamente non è. Per il mondo della Tradizione, e per Raido in quanto realtà militante (che orrore questa parola!) che ad esso cerca di ispirarsi nella propria attività, cultura è Formazione, ovvero mettere ordine nella propria esistenza attraverso uno stile di vita che sappia vivificare i sacri principi, come ad esempio l’onore, la fedeltà, la lealtà il sacrificio, la verità, la giustizia. E tutto questo, avviene al di là di libri e biblioteche o, meglio ancora, anche mediante i libri e le biblioteche che sono solo strumenti per la formazione di un uomo nuovo, o meglio, di un uomo che possa restare in piedi tra le rovine. Leggere le opere di Evola per farne sfoggio ai convegni o per aumentare le proprie gratificazioni e i propri meriti non significa e non serve assolutamente nulla, quindi, se poi quegli insegnamenti non sono vivificati e resi attuali e reali, esempi e azioni per chi vuole cambiare la propria vita e orientarla ai principi tradizionali. Per parafrasare qualcuno, viene da dire che i libri più che riempire il cervello di nozioni dovrebbero alimentare il fuoco del cuore. Se non si procede in questa direzione, e lo ripeteremo fino alla morte!, si ghettizza Evola e la Tradizione, la si confonde con la convenzione e il conformismo, la si imbalsama in una teca piena di polvere buona per i musei, la si tende a relegare nei salotti borghesi come oggetto di conversazione per vecchi tromboni e bigotti.

Ed allora, ci domandiamo, perché questa necessità di contaminarsi se proprio Evola, indica il lavoro da compiere?

FondazioneEvolaForse qualcuno l’ha dimenticato, ma siccome verba volant ma scripta manent, forse è meglio ricordarlo: “È essenziale, che si costituisca un’élite la quale in una raccolta intensità, definisca secondo un rigore intellettuale ed assoluta intransigenza l’idea, in funzione della quale si deve essere uniti, ed affermi questa idea soprattutto nella forma dell’uomo nuovo, dell’uomo della resistenza, dell’uomo dritto fra le rovine”, affinché si possa “preparare silenziosamente l’ambiente spirituale adatto a che il simbolo di una autorità sopraelevata intangibile sia sentito e riacquisti la pienezza del suo significato” (cit. “Orientamenti”). orientamentiEd ancora: “Ed oggi conta – appunto e soltanto – il lavoro di chi sa tenersi su linee di vetta: fermo nei principi; inaccessibile a qualsiasi concessione; indifferente dinanzi alle febbri, alle convulsioni alle superstizioni e alle prostituzioni al cui ritmo danzano le generazioni ultime. Conta solo il silenzioso «tener fermo» di pochi, la cui presenza impassibile serva a creare nuovi rapporti, nuove distanze, nuovi valori” (cit. “Rivolta contro il mondo moderno”).

A onor del vero, per noi questa è l’autentica e vera “eredità” di Julius Evola… che poi siano dei “ragazzi” a ricordarlo ai professori, è un altro segno dei tempi.

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  1. Michael P
    | Rispondi

    Articolo ineccepibile. Rimane, a latere, da ricordare come anche ‘riviste’ di Studi Tradizionali e una stessa fondazione dedicata ad Evola cavalchino il modernismo in tutte le sue tragiche declinazioni, rappresentando, più che il messaggio evoliano, la sua nemesi. Nulla di nuovo, comunque, nel Kalì Juga corrente.

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