Un’epopea russo-lituana. Vytàutas-Witold-Vitovt il Grande e la nascente Rus’ di Mosca

Il dominio di Demetrio del Don (Dmitrii Donskòi) fu diviso fra i figli: a Basilio, il maggiore, andava Mosca e le sue dipendenze, a Giorgio, Zvenigorod e Galic’, ad Andrea Mozhaisk la lontana (ma economicamente e strategicamente molto importante) Lagobianco nella Terra di Perm’ e infine a Pietro, la piccola Dimitrov o Dmitrov. Se localizziamo questi nomi sulla carta geografica vedremo che essi si trovano, più o meno, lungo le rive del Volga e dei maggiori affluenti nel suo corso superiore e tutti – questo è notevole! – confinano con la regione di Mosca.

Oltre ai territori pare poi che al primogenito fossero passati  in eredità anche alcuni progetti politici da perfezionare e da portare a compimento…

Quali? Dopo la spedizione punitiva di Toqtamysc’ del 1382 (alla quale abbiamo accennato) per ribadire l’autorità di Sarai su Mosca, già vendicarsi poteva essere il primo obbligo istituzionale di Basilio, benché nel testamento spirituale di Demetrio tramandato dalle Cronache non siano chiaramente espressi suggerimenti sul come comportarsi per liberarsi dalla soggezione dei Tatari. Qui si legge una semplice chiosa: “… se Dio farà cambiare l’Orda, i miei figli non cercheranno vie di scampo in essa…”. Ciò però vuol dire tutto e niente e per di più Basilio “in gioventù” era stato per molto tempo un ostaggio di Sarai, finché non era stato liberato per i buoni uffici degli uomini del principe lituano Vytàutas e trasferito in Moldavia. Dunque doveva conoscere bene i Tatari o per lo meno avere con loro una certa famigliarità e parlare la loro lingua…

Per queste ragioni se Basilio in realtà avesse avuto in serbo qualche velleità di affermarsi quale “erede” della Rus’ di Kiev e contro i Tatari, come si crede di leggere nelle parole di Demetrio da parte di qualche autore russo, certamente non è in questo documento che va cercata. Né esiste una scelta ben chiara da parte della Chiesa Russa del sovrano moscovita quale Riunificatore delle Terre Russe rispetto al lituano, fino a questo momento! Saranno le circostanze successive a decidere e a suggerire al Metropolita di vedere negli epigoni della dinastia moscovita i Riunificatori… in nome di Cristo!

Una di queste circostanze è, a nostro avviso, la nuova figura di sovrano di concezione occidentale che si va propagando in questi anni nel nordest.

In precedenza abbiamo parlato del sistema di governare le Terre Russe come un affare “privato” della famiglia dei Rjurikidi attraverso la famigerata lestviza, ora al contrario il nuovo modello che va di moda proprio attraverso l’esempio della Lituania è quello del monarca assoluto “benedetto da Dio” e non più investito dell’autorità dovuta all’anzianità o per il fatto di ricevere il jarlyk di Gran Principe dai Tatari.

A parte tutto questo Cipriano (favorevolissimo al matrimonio di Basilio con la figlia di Vytàutas) è accolto a braccia aperte a Mosca in virtù della sua carica. Pimen’ ormai è morto e, quando qualche anno dopo muore anche san Sergio di Radonezh, Cipriano è libero da ogni concorrente e la vecchia partita è definitivamente chiusa e la Chiesa Russa ritorna una e con un’unica autorità giurisidizionale su ortodossi “lituani” e ortodossi “russi”.

E’ vero! La capitale istituzionale della Bassa rimane ancora Vladimir-sulla-Kljazma dove Alessandro Nevskii si era fatto proclamare Gran Principe nella Cattedrale dell’Assunzione tantissimi anni prima. E’ vero che, benché questa città continuasse ad esser considerata la sede naturale del principe anziano, da tempo ormai, non appena ottenuto il jarlyk da Sarai, il Gran Principe era obbligato venire qui per farsi incoronare dal Metropolita, ma poi l’incoronato poteva decidere di continuare a risiedere nella città di provenienza e ad occuparsi dei propri affari. Vladimir dunque aveva sostituito, senza una ragione giuridica vera, Kiev in queste funzioni e per questo andava fatta una scelta per svuotarne l’importanza. Ma quale città poi mettere al suo posto? Demetrio aveva già fatto il passo fatidico ed aveva invitato e accolto presso di sé il Metropolita a Mosca con la scusa di garantirgli protezione e sicurezza. Contro chi? Non si riesce a capire bene…

Poi con la confusione creatasi intorno a questa carica ecclesiastica e col fatto che anche il Metropolita aveva bisogno di un jarlyk dai Tatari per non pagar tasse sui latifondi ecclesiali che si andavano sempre più accrescendo, abbiamo visto come la faccenda era andata a finire. A Vladimir d’altronde continuava a risiedere il Gran Baskak (esattore capo delle imposte tataro) che faceva da occhi e orecchie per il khan di Sarai e la presenza di questo personaggio era un problema di cui andava tenuto dovuto conto.

Se però guardiamo alla Chiesa Russa dal punto di vista religioso, ci accorgiamo che ad essa è dato il ruolo di interpretare i disegni divini ai quali è affidata tutta l’umanità e le azioni politiche di coloro che Dio ha scelto per governare “santamente” gli uomini. Ora però che si profilavano più centri di potere nelle Terre Russe (Lituania, Mosca, Tver e Novgorod, senza dimenticare Kiev) come fare a guidare un principe “santo”, se Dio non indica qual è quello giusto? Certo, un Metropolita eternamente itinerante “alla ricerca dell’eletto da ungere” o “da consigliare e porre sulla retta via” potrebbe essere utile, ma, se fosse così, come intervenire tempestivamente su questo Gran Principe (chiunque esso sia) quando ce n’è bisogno?

Al contrario che in Occidente la situazione di frammentarietà degli stati russi, la limitatissima osmosi fra città pensante e sudditi operanti, la quasi inesistente stratificazione in classi della società medievale russa (ora che la funesta presenza di due Metropoliti era risolta) aveva portato finora solo sconquasso nel monopolio del pensiero ecclesiastico (erano apparse le prime eresie!). Dunque andava rimesso tutto di nuovo nei canali della dottrina ufficiale “unitaria” aborrendo addirittura qualsiasi pensiero laico e laicista. Il sovrano doveva proteggere, sì!, la Chiesa, ma anche sottostare alle indicazioni che Dio gli dava attraverso i suoi “santi uomini”. Soltanto così la Chiesa Russa, unica organizzazione “pensante” delle Terre Russe, concepisce un futuro stato riunito sotto l’egida di Cristo ed elabora la teoria della santità della Rus’, purché ri-unita: E’ la teoria storico-religiosa della missione del Sobiratel’stvo Rusi…

Dall’Occidente intanto, dopo la conquista di Costantinopoli nel 1204 da parte dei Crociati, era venuta una spinta simile e la riunione di tutti i popoli cristiani era già in corso… sotto l’autorità papale che stava avendo tanto successo politico. Dobbiamo anche dire che le relazioni fra le due Chiese, Cattolica latina e Ortodossa greca che vicendevolmente si condannavano da secoli come scismatiche, sono mantenute e sono ancora buone. E allora, c’è una possibilità realistica di riunire latini e ortodossi? Cipriano lavorerà per questo dalla decentrata Mosca alleandosi e appoggiando le mosse politiche ora di Jogaila, sicuramente cattolico romano, e ora di Vytàutas, sebbene quest’ultimo passi con disinvoltura da un battesimo all’altro e litighi aspramente col cugino.

La Chiesa Russa dipende comunque da Costantinopoli (il Patriarcato è ridiventato ortodosso con Michele VII Paleologo, sebbene rimanga in trattativa coi Latini per l’Unione), ma il Patriarca non sembra aver più l’autorità di prima per intervenire e appoggiare Cipriano efficacemente, ora che ci sono duri contrasti con l’Imperatore. Sul Bosforo infatti Giovanni V Paleologo (fautore di Cipriano che allora era ancora monaco a Monte Athos) addirittura è passato alla fede latina, unica condizione – a suo dire – per avere un aiuto militare contro i Turchi che gli rubano lembo per lembo il territorio utile dell’Impero, e il Patriarca in carica ha già dichiarato che non a niente a che vedere con questa operazione che considera una questione strettamente personale dell’Imperatore.

Dai documenti che leggiamo ci pare che da questo lato Cipriano è in pratica abbandonato a se stesso e, se occorre scegliere la protezione di uno dei signori della Bassa, sarà quella del più promettente. Ora come ora però, se dovesse scegliere con chi stare nel mondo, dovrebbe accollarsi la pesante responsabilità di accrescere la confusione che regna nella regione quanto a supremazia. Perciò, prudenza! Basilio potrebbe essere il candidato buono! In particolare, dato che Vytàutas è anziano e non ha altri figli oltre Sofia, il knjaz moscovita, da unico genero, potrebbe essere benissimo il suo successore e Cipriano potrebbe giocare su entrambi i tavoli, russo e lituano, per riunificare il Regno di Cristo!

In quel XIV secolo poi, sempre a causa delle beghe della Chiesa Russa, s’è aggiunta alle altre questioni la sospettata minaccia di proclamazione dell’autocefalia da parte dell’Arcivescovo novgorodese quando la Chiesa del nord paventa degli attentati alla “sua” indipendenza amministrativa!

Qui s’inserisce la parte che Vladimiro di Serpuhov può avere in questa questione. La sua soggezione a Basilio è totale e lo sappiamo. E’ il suo padrino visto che il ragazzo gli era stato affidato da Demetrio e poi perché è molto più vecchio di lui ed ha tantissima esperienza, ma sarà stato anche geloso dell’influenza di Vytàutas sul ragazzo, quando era stato sottratto alle grinfie di Sarai e tenuto presso il lituano invece di essere subito restituito a suo padre a Mosca.

“Zio” Vladimiro dunque controlla col suo udel gran parte delle correnti di fiume che Novgorod-la-Grande usa per entrare nel Volga da destra e perciò costituisce una leva importante e ricattatoria verso la ricca città del nord dalla quale dipende tutta l’economia della Bassa. Per quanto riguarda Novgorod (attenzione a non confonderla con Novgorod-della-Bassa) aggiungiamo che (ufficialmente non dipende da Sarai non avendo bisogno di jarlyk per esistere), senza un’agricoltura sviluppata nel suo territorio, questa città è obbligata a comprare i cereali dalla Bassa e così per il quieto vivere già dal tempo di Alessandro Nevskii si è piegata (per non tagliarsi i viveri) a pagare una tassa “tatara” molto consistente e ad accettare per la propria difesa militare un Rjurikide. La tassa non era pagata regolarmente e talvolta non era arrivata neppure nelle tasche del khan in carica e proprio sulla raccolta di questa tassa un famoso avo di Basilio, Giovanni (detto a ragione il Borsello ossia col linguaggio della gente semplice, Ivàn Kalità), si era costruita la ricchezza dell’udel moscovita ed aveva inaugurato la scalata economico-territoriale-politica che Demetrio, con l’aiuto di Vladimiro di Serpuhov, aveva poi continuato. Dunque, se Mosca vuol crescere, deve contare su Novgorod-la-Grande e tenere sempre ottimi contatti con Vladimiro di Serpuhov.

Forse per questo motivo il Monastero della Trinità, sede del grande san Sergio di Radonezh, viene affidato alla protezione di Vladimiro. Ecco dunque che in Terra Russa, siccome la Chiesa in quegli anni resta l’unica istituzione che fa politica unitaria, la storia dei Rjurikidi può continuare solo all’ombra della “loro” Chiesa e noi siamo dell’avviso (ci perdonerete la digressione) che l’eredità bizantina dell’Impero Moscovita era da questo angolo di visuale un’eredità legittima che non poteva che sfociare nell’atteggiamento estremo verso il resto del mondo che ebbe e consolidò Giovanni IV detto il Terribile, vero ed ultimo Romano Imperatore e nipote diretto di quel Basilio di cui stiamo parlando in queste righe.

Fissati questi punti, continuiamo allora il nostro racconto…

Forse al nostro lettore più informato sembrerà strano che nel nostro discorso non sia ancora entrata la Morte Nera che devastò l’Europa dal 1347 al 1351 e in varie altre ondate anche negli anni successivi. Fu un avvenimento talmente micidiale da svuotare letteralmente quasi tutte le istituzioni feudali d’Occidente, cambiando radicalmente le interrelazioni fra uomo e uomo, fra regno e regno, fra Terra e Dio.

In realtà neppure le Terre Russe ne restarono immuni, se non per qualche tempo. E stranamente! Infatti la peste si era propagata dalla Cina, aveva attraversato le steppe ucraine ed aveva assalito i Genovesi proprio a Caffa sul Mar Nero prima di proseguire per l’Italia e propagarsi in Europa occidentale…

Tuttavia la peste giunse pure qui, ma anni più tardi e non fece altrettante vittime come in Occidente a causa della diversa distribuzione della popolazione e della limitatissima comunicazione fra città e campagna. Per questa ragione non provocò mutamenti altrettanto incisivi nel potere vista l’organizzazione famigliare dei Rjurikidi dove fra i tanti figli, con grande probabilità qualcuno sopravviveva sempre. Soltanto Novgorod, dove il numero di abitanti era maggiore di qualsiasi altra città russa dello stesso periodo e dove non esisteva una dinastia regnante, ne risentì pesantemente tanto che fu costretta a diminuire e a diversificare la propria produzione di merci per la mancanza di mano d’opera in quel XIV sec. I suoi traffici verso il sud cambiarono di consistenza e di valore e, soprattutto, di direzione. Certamente la peste fu solo una delle cause di queste “mutazioni” novgorodesi, mentre risultò determinante per la ripresa economica della città la crescita dei mercati europei occidentali i quali, dopo le ondate della sciagurata epidemia, erano ora diventati più attivi e con nuove e maggiori domande d’acquisto. Ecco perché sia l’Hansa di Lubecca sia i Cavalieri Teutonici, pur reduci dalla peste, proprio in questo scorcio di secolo si affermano nel Baltico come i mediatori di questi traffici e crescono commercialmente operando quasi all’unisono (le due organizzazioni d’altronde erano nate dai benevolenti della stessa città, sebbene per scopi differenti). C’era di sicuro una differenza! Se i Cavalieri destavano qualche sospetto di tentata conquista quando siglavano accordi, l’Hansa da questo punto di vista era certamente più neutra e quindi le si offrivano più possibilità di aprire proprie rappresentanze “sotto casa” dei governanti russi e così a Novgorod oltre alla Corte di san Pietro l’Hansa aveva ora incorporato anche quella di sant’Olaf, una volta appartenuta ai Goti dell’isola di Gotland e in altre parole  costituiva il maggior partner commerciale della repubblica nordica. Dell’Hansa ne godevano però pure Polozk e Smolensk dove c’erano altri uffici anseatici, tranquillamente accettati dai regimi principeschi russo-ortodossi…

Ciò però non limitava la dipendenza “alimentare” del nord dalla Bassa. Certo, Novgorod poteva comprare le derrate alimentari dall’Occidente, ma i costi sarebbero stati eccessivi. E’ molto importante tenere conto di quella situazione novgorodese poiché è proprio contro la repubblica e le sue alleanze che Basilio e Vytàutas dirigeranno il loro sguardo e le loro ambizioni. D’altronde Novgorod doveva pagare le forniture della Bassa e lo faceva con i traffici attraverso il Volga. Il fatto però che l’Orda d’Oro, in quello stesso tempo, evidentemente non riusciva più a controllare tutti i territori soggetti con i vari capi locali continuamente in lite fra di loro per la percezione dei dazi lungo le rive, avevano reso questa via d’acqua poco sicura e, vedendo che lungo il fiume si ripetono continui atti di guerra ormai quasi regolarmente ad ogni bella stagione, erano più le barche piratesche che quelle dei mercanti.

Mosca, malgrado il vantato controllo sulle vie d’acqua interne, soffre più degli altri udel per non riuscire ad imporre la propria politica per un dominio unitario e alla fine risulta esercitare un controllo (soltanto parziale!) lungo la scorciatoia fluviale nord-sud interna (dalla riva destra del Volga) da Volok Lamskii, il grande deposito logistico di Novgorod, fino al fiume Kljazma. Più in là soprattutto a partire dalla confluenza di Novgorod-della-Bassa (ossia Nizhnii Novgorod) non può impedire che regni la confusione delle competenze. Infatti, passata quest’ultima città, i balzelli non si pagavano più e soltanto – come una volta – ai Bulgari della Kama (quelli che in futuro si chiameranno i Tatari di Kazan’), ma si erano moltiplicati e rincarati poiché ciascun capo locale rivierasco voleva la sua parte a scapito di Sarai.

La prima mossa che Basilio fa come Gran Principe però è quella di rito.

E’ giunto infatti il tempo di sposare Sofia figlia di Vytàutas (Basilio ha ormai 17 anni e ha conosciuto la ragazza in Moldavia quando questa si trovava lì con suo padre) e così un bel giorno i bojari moscoviti Alessandro Polje, un certo Bjelevut e un certo Sjelivan si recano in Prussia, dove in quel momento padre e figlia si trovano ospiti dei Cavalieri Teutonici, per trasferire la promessa a Mosca e celebrare il tanto sospirato matrimonio col rito ortodosso. Questa è una mossa molto azzardata dal punto di vista religioso da parte di Vytàutas , ma sembra che in quel momento i Cavalieri non avessero delle direttive rigide a riguardo.

La giovane è figlia unica (un fratello sembra essere morto prematuramente) e viene così affidata al parente più anziano, il principe lituano Giovanni figlio di Olghimont, e la carovana, attraverso le Terre di Novgorod (chiamate i Quinti), discende verso Mosca dove finalmente si celebrerà il tanto atteso sposalizio. L’evento fu epocale per tutta la Bassa perché indicava a chiare lettere da che parte si sarebbe posta la Lituania in caso di litigi fra i Rjurikidi e come le Terre Russe ormai rientrassero nella sfera d’influenza lituana e, chissà in futuro, anche in quella della Chiesa di Roma.

Basilio non può però trascurare il peso di Sarai. Una prassi non consolidata prescriveva che il Gran Principe che, dopo la consacrazione a Vladimir da parte del Metropolita, di presentarsi per il jarlyk a Sarai e fare omaggio al khan Toqtamysc’. Basilio esegue tutto secondo la tradizione e in più avvisa il Metropolita che il jarlyk che va a prendere non potrà pagarlo tutto da solo dalla sua cassa di principe mezza vuota, ma che la Chiesa deve coprire una parte dei costi. Non ci sono soldi, Santità!

La missione finalmente è pronta e parte diretta all’Orda nel 1392. E’ stata preparata con cura e viene perciò accolta con grandi onori. Ciò non basta poiché tutti notano che questa cortesia è solo l’apparenza dovuta alla parentela di Basilio con Vytàutas (molto stimato da Toqtamysc’) e quindi, senza perder tempo, s’intavolano le richieste e gli argomenti che stanno più a cuore.

Altre però sono le preoccupazioni del khan che s’aspetta un’invasione del Tamerlano da un momento all’altro e quindi costui tergiversa e rimanda. Timur i-Lang da Samarcanda (il Tamerlano) si trova in campagna militare proprio a sud del Caspio e l’Orda ha interesse che i russi collaborino sia offrendo aiuto militare (e ce n’è bisogno) sia standosene tranquilli senza creare troppi problemi. Ritorneremo su questo un po’ più avanti…

Ad ogni buon conto, non ci crederete, ma Basilio rimane a trattare a Sarai per ben tre mesi.

Al rientro tuttavia ha ottenuto molte cose: Ha evitato di lasciare troppi uomini a guerreggiare per il khan. In più ha nelle mani un riconoscimento della sua autorità su alcune città russe lungo il Volga che interessavano in particolar modo! Soprattutto ha “carta bianca” sulla presa di possesso di Novgorod-della-Bassa dove ora c’è suo cugino Boris! L’azione è immediata. Appena giunto nelle vicinanze di Kolòmna, sulla via del ritorno da Sarai, manda a Novgorod-della-Bassa i suoi bojari insieme con i rappresentanti di Toqtamysc’ per annunciare il passaggio di proprietà della città.

In precedenza Boris aveva già paventato queste manovre contro di lui e aveva radunato i suoi per un consulto. Il capo dei suoi bojari, un certo Rumjanez, “comprato” da Basilio, lo aveva convinto allora che valeva la pena accordarsi con Mosca e perciò, quando la delegazione moscovito-tatara è sotto la città, è  proprio Rumjanez in persona che dà ordine di aprire le porte.

I bojari moscoviti corrono subito al campanile maggiore, radunano la popolazione al suono delle campane ed annunciano che il nuovo signore della città sarà un namestnik di Mosca. E Boris? Il povero principe insieme con la sua famiglia è stato messo ai ferri e sotto scorta armata mandato fuori!

Il colpo grosso dunque è fatto! Una volta impadronitisi di questa postazione daziaria, il Volga è completamente sotto controllo moscovita fino a Kazan’. Oltre Novgorod-della-Bassa infatti sono andate a Basilio anche le cittadine di Gorodez, che si trova un po’ più a monte, ma anche Murom e Mesciòra dalla parte di Mosca. Naturalmente si tratta ora di mantenere queste posizioni e logicamente si prevedono scontri frequenti con gli altri principi parenti.

Un esempio immediato? I nipoti del sopra nominato Boris, fra cui un certo Simeone, avevano continuato a sedere sui troni di Suzdal in quanto Basilio li aveva lasciati indisturbati dove erano, ma poi costoro, non appena nel 1394 seppero che Boris era morto, sfruttando la scusa della loro visita a Sarai per la conferma del jarlyk per il proprio udel e dintorni, cercarono di ricomprarsi anche quello di Novgorod-della-Bassa. E così qualche anno dopo, uno dei due discendenti di Boris, Simeone, con l’aiuto di un contingente tataro (non mandato da Sarai, ma sicuramente da qualche capetto locale intorno a Kazan’ di cui lo storico Pcelov dà il nome: Jetjak) assedia Novgorod-della-Bassa, per riconquistarla alla sua famiglia.

Basilio manda i suoi armati ausiliari con a capo il fratello Giorgio e dopo qualche scaramuccia, i Tatari e Simeone sono ricacciati verso sud (fra i Mordvini finnici della zona). Mosca però non vuole ricevere ulteriori sorprese dai figli di Boris né scontrarsi coi Tatari inutilmente. Manda a cercare Simeone e compagni per metterli sotto chiave. E’ suo fratello Giorgio che ha l’incarico della battuta che dura ben tre mesi. Costui riesce però a trovare e a catturare la moglie di Simeone, Alessandra. La deporta a Mosca, dove costei rimane finché il marito non si piega a riconoscere Basilio quale principe anziano e ad interrompere ogni ulteriore azione di disturbo. E un altro paletto é così definitivamente piantato per il controllo del Volga poiché sembra che in questa campagna si riuscì a sottomettere a tributo persino Kazan’…

Tuttavia non è finita… Ora gli occorre una collaborazione incondizionata da parte Vladimiro di Serpuhov perché teme defezioni anche da parte sua. E’ vero! Ha sottoscritto un trattato di amicizia eterna dove era persino detto espressamente che: ” Se io stesso, Basilio di Mosca, mi trovo assediato nella mia città e riesco a farti fuggire, tu uscirai, ma lascerai in ostaggio presso di me tua moglie e i tuoi figli e i tuoi fidi bojari e così farò io nel caso che fossi io ad esser fuggito, perché lascerò a te mia madre, i miei fratelli e i bojari miei.” Un accordo di ferro in piena regola… ma ne occorre uno ulteriore nel quale adesso appaia la cessione di Volok Lamskii a Mosca, in cambio di Gorodez per Vladimiro. E anche questa spartizione è fatta affinché non sorgano mai più liti con lo “zio” e tutto avvenga con il tacito assenso di Sarai e di Vytàutas…

Sebbene a quel che sembra Basilio non doveva eccellere granché rispetto agli altri suoi fratelli, salvo testardaggine e durezza come vedremo in seguito, ciò non toglie che, in questi primi anni da Gran Principe si sta dando parecchio da fare nell’espansione sistematica dell’udel.

Ed ora finalmente la sua meta prossima è Novgorod-la-Grande…

Come abbiamo detto, per tradizione la repubblica del nord prendeva ad ingaggio per periodi definiti e rinnovabili il figlio primogenito del Gran Principe kieviano affinché facesse da comandante militare alle truppe di difesa della città e del territorio annesso in caso di scontri e guerre. Da quando Kiev però non contava più come prima (o meglio per Novgorod l’itinerario via Kiev non era più interessante) e il baricentro politico dei Rjurikidi si era spostato a Vladimir-sulla-Kljazma, il comandante militare poteva a questo punto essere chiunque dei figli o degli uomini fidati del Gran Principe rjurikide con regolare jarlyk. Con tale veste Basilio perciò invita i novgorodesi a Mosca affinché “scelgano” il rappresentante militare (in russo namestnik) che lui offre. Quella volta i novgorodesi non si fecero pregare: per loro un namestnik moscovita o uno lituano o uno di un’altra città non faceva molta differenza. L’importante era però che si rispettassero i vecchi privilegi d’autonomia della città (concessi da Jaroslav figlio di san Vladimiro di Kiev secoli prima) e comunque sperando… che il namestnik sapesse fare il suo lavoro! L’accordo fu trovato lungo queste linee, benché con qualche ambiguità interpretativa, e Novgorod accettò quale capo delle forze di difesa della città il bojaro Eustachio Syt (o Sysc’), moscovita.

Risolto il problema del namestnik per Novgorod e della promessa di quella città di incrementare i traffici, restavano le questioni pendenti con la Lituania che ad ogni occasione cercava di ingerirsi degli affari di Mosca. Per quest’ultima circostanza è bene sottolineare due aspetti: La personalità forte e decisa di Sofia e quindi la sua forte influenza sul marito accondiscendente, i costanti contatti di costei con suo padre e l’accordo fra suo padre e Jogaila e fra suo padre e i Cavalieri Livonici e Teutonici.

In realtà fra questi due cugini il Gentlemen’s Agreement sarà ufficialmente stilato soltanto nel 1395 nella cittadina di Krevo, ma già in questi anni si stava cercando una linea comune di pace. A Krevo infatti fu messa per iscritto la parola fine alle beghe personali che stavano insanguinando le Terre Russe e i due principi lituano-russi si accordarono per una collaborazione perpetua. Anzi! Subito dopo la firma con una grande e solenne cerimonia a Vilnius Vytàutas viene proclamato e benedetto “cattolicamente”, vita natural durante, Granduca di Lituania e delle Terre Russe e Fratello Minore (cioè vassallo) di Jogaila, mentre quest’ultimo rimane – ormai è il suo destino – nella sfera politica della Polonia di cui è già re. Come si vede in questo discorso Mosca è tenuta assolutamente fuori.

Quella fine di secolo vede dunque grandi rivolgimenti nella regione e questi coinvolgono un po’ tutti, chi più e chi meno da nord a sud tanto che non fa meraviglia la presenza dei polacchi alla corte tatara che operano per conto di Vilnius o dei Tatari in quella moscovita. Vytàutas ha grandi mire sulla Bassa del Volga, e probabilmente il matrimonio di sua figlia con Basilio fa apparire ai suoi occhi questo dominio già come parte del suo Granducato, senz’altro ostacolo. D’altronde i Lituani sono strettamente imparentati con quasi tutti i principi della Bassa (pure con Vladimiro di Serpuhov), attraverso i cosiddetti matrimoni dinastici, e perciò non si sentono degli estranei in nessuno di quegli udel. Ciò vuol dire che, se Vytàutas aveva promesso moltissimi suoi interventi politici ai Cavalieri Teutonici in questa zona, se e quando fosse asceso al potere supremo nelle Terre Russe e se costoro in cambio gli avessero offerto dei vantaggi sul Baltico o contro suo cugino Jogaila, non aveva detto delle millanterie…

L’unica incognita non governabile in questo quadro restava la Chiesa il cui regista lontano era il Patriarca di Costantinopoli che, in certo qual modo, si muoveva contro il Papa di Roma (capo supremo dei Cavalieri). Come avremo notato nelle beghe intestine della Chiesa Russa, benché fosse la seconda figura della gerarchia ecclesiastica kieviana, l’Arcivescovo di Novgorod – questo è importante – non compare quasi mai. Come mai? Eppure il vladyka (monsignore) in questi ultimi anni era diventato più potente personaggio di Novgorod, quasi un vero principe-arcivescovo di modello tedesco.

A ben riflettere sulla questione novgorodese neppure Basilio poteva agire senza guastare le proprie relazioni col suocero e proprio per questo motivo Mosca premeva su Monsignore per attirarlo dalla sua parte, usando con discrezione i partigiani locali ben pagati e le proprie spie. Ciò però non bastava. Senza dover ricorrere alla forza, occorreva lasciare agire il Metropolita, l’unico superiore nella gerarchia. Mosca tentò anche questa via, sebbene poi quando si accennava alle relazioni fra Mosca e Novgorod-la-Grande non si diceva mai che la prima volesse assoggettare la repubblica e si continuava a dire nel linguaggio diplomatico del tempo che, secondo i “costumi del passato” (po starinù in russo) la repubblica apparteneva al Gran Principe.

Cipriano è dunque una pedina molto importante e ormai lo conosciamo. Bulgaro di nascita e cultura (era nato a Tirnovo la Grande), ma scrittore entusiasta nella nuova lingua grande russa, è ritornato a Mosca nel 1390, ed ormai si trova sotto la protezione di Basilio e addirittura benedice qualsiasi mossa del Principe tesa alla riunificazione delle Terre Russe. Per rendersi utile e ingraziarsi di più il “suo” rjurikide, cerca in primo luogo di penetrare in modo più diretto nell’amministrazione del patrimonio ecclesiastico che continua ad accrescersi in tutta la Terra Russa, per poterne disporre e controllare con maggiore efficacia i contadini e affezionarli al sovrano che risiede a Mosca. Propone di lasciare amministrare i villaggi che sorgevano intorno ai numerosi monasteri, da “laici timorati di Dio” (ma nominati su raccomandazione di Basilio) invece che dai monaci, affinché la gente nuova che si raccoglieva in questi novelli nuclei abitativi e di lavoro imparasse a diventare parte di una comunità che contribuiva materialmente alla costruzione della nuova Rus’. A questa riforma “democratica” (in realtà colonialista, se vogliamo usare un termine moderno) gli rispose una specie di rivolta degli ecclesiastici implicati, perché i conventuali affermarono che i villaggi “non andavano toccati” da mani profane ed anzi, ad evitare ulteriori ingerenze dal centro moscovita che mandava esperti e stranieri a dirigere l’economia del convento, molti di questi istituirono in tutta fretta delle scuole per formare propri monaci che facessero da amministratori e da economisti. Non doveva rendersi necessario richiederne da fuori anche perché i “moscoviti” avevano fama di spioni. Un’altra piaga che fu eliminata furono i frati questuanti. I conventi, infatti, per arrotondare le loro entrare mandavano in giro i frati (imitando gli ordini poveri dell’Occidente, i Francescani soprattutto) e questi erano diventati talmente numerosi ed assillanti da suscitare il fastidio e le ire persino degli altri prelati locali che fino ad allora li avevano tollerati, ma ora, temendo che diventassero veicoli di eresia e di propaganda politica “latina”, ne fu impedita la funzione.

Abbiamo raccontato tutto questo per dare un’idea della personalità  e dell’autorità di Cipriano il quale, con la profonda conoscenza della realtà delle Terre Russe che si ritrova, per qualche anno sarà occupato esclusivamente in frequenti viaggi pastorali per riorganizzare le diverse diocesi… eccetto Novgorod.

Subito dopo la morte di Pimen’ tuttavia, insinuandosi il timore di qualche mossa inconsulta da parte di Monsignore del nord verso un’ulteriore autonomia in campo religioso che portasse (addirittura) alla “secessione” verso il mondo cattolico lituano, Cipriano si vede apertamente sollecitato a rimettere le briglie al vladyka novgorodese. Nel 1391 sarebbe pure pronto per la sua visita all’Arcivescovo novgorodese: manca solo l’invito!

Monsignor Alessio (questo era il nome dell’Arcivescovo novgorodese allora in carica) sulla nomina di questo Metropolita non era stato d’accordo per principio e quando gli si chiese di invitarlo, siccome il Sinodo locale premeva sull’accettazione del prelato consacrato dal Patriarca, preferì dimissionare e si ritirò in convento. Al suo posto fu nominato Monsignor Giovanni e Cipriano alfine poté recarsi con tutta l’ufficialità necessaria nell’Arcidiocesi del nord.

Non dobbiamo però pensare che il Sinodo locale e la Vece che avevano eletto Monsignor Giovanni, avessero rinunciato alle loro prerogative autonomistiche, ma certamente la scomparsa di Alessio dalla scena mostrava una qualche apertura nella politica “ecclesiastica” novgorodese diretta a mantenere in certo qual modo tranquille relazioni con Mosca… ora così strettamente legata alla Lituania. Vytàutas stesso ormai si confermava signore di Kiev e aveva appena richiamato da Novgorod suo nipote Lugven Simeone per farsi dare una mano nelle diverse operazioni repressive militari nelle steppe ucraine. Dunque vediamo che cosa ci richiede Sua Santità!

Cipriano, non appena ricevuto l’invito, arriva subito in città e fa la sua richiesta di abrogare certe misure amministrative “anti-metropolita” che non gli consentivano più di incassare le solite prebende. La risposta però è deludente e chiara da parte dei novgorodesi: “Santità! Noi abbiamo giurato davanti a Dio di essere sempre come un unico uomo e, dopo aver messo il suggello alla nostra nuova legge, abbiamo anche suggellato le nostre anime.” E Cipriano: “Datemi dunque quella legge ed io stesso, come capo della Chiesa, la strapperò e distruggerò i suggelli, liberando Novgorod da un giuramento ingiusto davanti a Dio e assolvendo tutti voi dall’aver commesso un così grave peccato (verso la mia persona)“.

Non ci fu niente da fare. Cipriano dovette andarsene deluso, lanciando irritatissimo il suo anatema su tutta Novgorod. Naturalmente anche Basilio rimase male e adirato e per ripicca tirò fuori la questione dei mancati pagamenti della famosa Tassa Nera per Sarai. Mandò al nord i suoi legati con la richiesta della rata dovuta e, con quella, fece dire di essere pronto (i legati ne erano stati espressamente incaricati) a sospendere la legge sui tribunali (anti-metropolita) per discutere meglio con Cipriano e togliere lo scomodo anatema.

Il rifiuto dell’Arcivescovo fu netto. Che cosa c’entrava il Principe di Mosca con gli affari della Chiesa?

Mosca però stavolta non la lasciò passare e si ritorse e in modo abbastanza duro, ma scontato… occupando Mercato Nuovo (Torzhòk) e sigillando tutti i depositi alimentari.

Si dice che questa volta l’azione moscovita fu veramente dura e spietata e chi poté dei mercatesi fuggì con moglie e figli a Novgorod o verso gli altri Quinti (così si chiamavano i territori novgorodesi intorno) lontani. Chi restò a Mercato Nuovo infatti fu costretto, suo malgrado, ad accettare malvolentieri le regole nuove (e le tasse e le corvées) che il bojaro moscovita Massimo andava fissando per conto del suo principe. Addirittura il culmine fu raggiunto quando costui fu ucciso e, alla ricerca del suo assassino, furono trovati ben settanta presunti omicidi. Questi furono deportati a Mosca, dove, come esempio della durezza imparata presso i Tatari di Sarai (così si mormorò allora), i responsabili furono condannati a morte, previe terribili torture pubbliche eseguite da aguzzini specializzati nella Piazza del Mercato di Mosca (oggi Piazza Rossa). Furono posti sulla ruota, le loro membra stirate e staccate a poco a poco, mutilati in vari modi finché stremati per il dolore e il sangue versato morirono fra lo sgomento di tutti gli astanti che raramente avevano visto una spietatezza del genere e così da vicino. Fu una brutta faccenda che la Chiesa Russa persino giustificò provocando ulteriori rancori. Novgorod dovette capitolare e sicuramente in previsione di vendette future pagò una parte della Tassa Nera e ricompensò Cipriano affinché togliesse l’anatema alla città mentre, allo stesso tempo, sospendeva la legge novgorodese anti-metropolita.

In tutto questo è inutile vedere concessioni e pentimenti perché nella realtà i tafferugli impedivano il traffico commerciale e dunque non conveniva a nessuna delle parti in causa complicarli ulteriormente. Quel che ci deve meravigliare invece è la parte di Mosca che si erge, senza giustificazione storica, a far da arbitro supremo su qualsiasi questione. Né dimentichiamo che Basilio si muove a briglia sciolta soltanto perché  Vytàutas è occupato in altre faccende.

Gli eventi nel frattempo incalzano nel bacino del Volga e, come si temeva, Toqtamysc’ da novello Cinghiz Khan si lancia, non tenendo conto dei consigli del suo baskak Jedighei, alla conquista di Samarcanda mentre Tamerlano è occupato in Persia. Tamerlano naturalmente si vendica appena può e in uno scontro sbaraglia il nostro khan nelle steppe ad est del Volga e mette in ginocchio Sarai. Poi sembra voler proseguire nel sud delle Terre Russe, ma poco sotto Kiev, ripiega e si ritira in altre direzioni. L’Orda intanto sembra andare in pezzi dopo questo insuccesso, ma Toqtamysc’ invece ripresosi si dirige di nuovo su Samarcanda. Lo scontro avviene stavolta in una zona chiamata Ornan nella Steppa della Fame ove il nostro khan è ancora una volta battuto e stavolta deve fuggire lontano dalle ire di Tamerlano. Si rifugia in Crimea, ma il Tamerlano lo scova e lo trascina in battaglia. Sulle rive del Terek nell’Anticaucaso i due si scontrano ancora una volta. Tutta la Bassa trema per paura della rappresaglia del Tamerlano poiché questo, battuto Toqtamysc’, sta risalendo su per le steppe verso nord. Basilio, come già suo padre, lascia Mosca nelle mani del vecchio Vladimiro di Serpuhov e si rifugia a Kolomna con la scusa che di là potrà controllar meglio il fiume Oka.

Cipriano è a Mosca, non sapendo dove rifugiarsi, rinchiuso a pregare nella Chiesa dell’Assunzione.

Tamerlano è ormai vicino a Kazan’ e sembra intenzionato a scovare il khan di Sarai ovunque questi si trovi nel nord. Basilio è sempre in attesa trepida cercando di raccogliere sempre più forze intorno a sé benché riconosca che poco potrebbe fare contro la furia e la fama vittoriosa di Tamerlano. L’unica difesa rimasta è la mano di Dio e la protezione della Vergine. A questa infatti ricorre il Metropolita che incita tutti i moscoviti ad implorare la salvezza della Terra Russa presso la miracolosa icona della Vergine che Andrea Bogoljubskii aveva portato da Vysc’gorod a Vladimir.

Intanto il Tamerlano fatti i conti che non vale la pena impegolarsi in un paese sconosciuto fitto di alberi decide di ritornare a sud e lungo la steppa ucraina poi dirigere verso occidente. Alla fine rinuncia a nche a questo progetto poiché non trova alcun traguardo interessante nella steppa deserta e, siccome il sogno della sua vita è quello di imitare Alessandro Magno come si diceva allora, la sua meta è l’India. Torna quindi verso il Caucaso, si ferma a svernare a Sarai fino all’estate del 1396 e in seguito abbandona definitivamente il Volga ritornando a Samarcanda dove si prepara alla spedizione indiana.

Fu la Vergine a fermare Tamerlano sul fiume Sosnà? Nessuno lo sa e dunque non possiamo dirlo con certezza. Cipriano al contrario ne fu sicurissimo. Si disse che la Vergine era venuta in sogno a Timur Aqsaq (così si chiama Tamerlano nelle Cronache Russe) e lo aveva avvertito che se avesse osato profanare la Terra Russa, grandissimo male gliene sarebbe incorso. Comunque sia Mosca è salva e nel 1395 la santissima icona della Vergine con una solenne processione lungo il fiume Kljazma da Vladimir è trasferita definitivamente nella Cattedrale a Mosca e consacra in tal maniera il ruolo “santo” della nuova capitale della Bassa.

E’ curioso leggere N. A. Polevoi quando riporta le voci che si diffusero fra la gente su quell’evento. “Si è compiuto un miracolo glorioso, una grande meraviglia per tutti! L’apparizione della Madonna ha impaurito e spaventato il cattivo imperatore. Lo ha messo in tale grande agitazione che il suo cuore si è riempito di timori, la sua anima si è addolorata e le sue ossa hanno tremato. Ha vacillato, la sua testa rasata (ci si riferisce qui all’uso dei nomadi nobili di radersi la testa e lasciare solo un ciuffo che veniva poi raccolto con un anello) è stata volta altrove da una forza irresistibile. Non siamo stati noi a mandarlo via né i nostri eserciti, ma l’ira di Dio…” Chiaramente l’evento fu suggellato dalla Chiesa da una festività a memoria della “Salvezza di Mosca” da ripetere ogni anno: il 26 agosto.

Il più bello è che Basilio rientrò a Mosca quando ormai tutto era compiuto e Cipriano fu capace di proclamare che la Vergine gli aveva evitato la battaglia con Tamerlano affinché proseguisse il compito affidatogli (quando?) di “Riunificatore delle Terre Russe” e dunque doveva essere accolto, prima di altri, come un vincitore dei Tatari… E perché una tale benedizione proprio da Cipriano?

Qui entra una questione ideologica importante per il futuro moscovita che prelato aveva portato con sé dai suoi Balcani: la famosa Teoria della Terza Roma. Questa si riferiva alla situazione dei Bulgari balcanici e affermava che, visti gli effetti della minaccia dei turchi selgiuchidi in Anatolia dove l’Impero Romano si era  ridotto ormai ad un ristretto e impoverito territorio e nella disperazione di un futuro che appariva incerto per un Regno Cristiano Universale, se fosse caduta Costantinopoli (chiamata alla sua fondazione Roma Nova o Roma Secunda), ci sarebbe stata una terza Roma, situata ancora più a Oriente. La teoria-diceria era in realtà scaturita da un monaco bulgaro di Monte Athos il quale, nel tradurre una cronaca greca del XII sec. in cui si parlava di come Costantinopoli avesse preso il posto di Roma antica, aveva sostituito il nome di Costantinopoli con quello della sua Tirnovo la Grande, quasi profetando che questa città sarebbe diventata la Terza Roma, se l’Impero sul Bosforo si fosse dissolto sotto i colpi degli infedeli. Questo finora non era più accaduto, ma quando la leggenda fu scoperta dagli studi di Cipriano, il prelato, con la sua autorità, la interpretò come un disegno profetico divino in cui si scopriva che il riferimento non era ai Bulgari balcanici bensì per quelli della Bassa (in verità ancora tutti da convertire) e che dunque non era Tirnovo la Grande, ma Mosca ad aver il ruolo di… Terza Roma! A prova di ciò, di questo destino fissato da Dio, il Metropolita Pietro – lo ricorderà espressamente Cipriano molti anni dopo nella vita di Pietro scritta da lui stesso -aveva deciso di stabilirsi e di morire a Mosca e aveva eletto la città a sua cattedra permanente prevedendo grandi destini per i Rjurikidi locali. Se questo è il destino profetizzato per la dinastia, non solo Mosca in primo luogo si abbellisce di costruzioni nuove e importanti, soprattutto chiese, ma anche le città dell’udel sono ora tenute meglio e il Velikii Kniaz si attribuisce un’autorità in cui è da solo a dover decidere di tutto e di tutti nella Bassa del Volga allo scopo di raccogliere le genti russe intorno alla sua persona. Basilio oserà persino entrare in contrasto col Patriarca quando proibirà di nominare l’Imperatore fedifrago Giovanni V nelle liturgie delle chiese moscovite proclamando (e facendolo sapere a Costantinopoli) che “Abbiamo una Chiesa, ma non abbiamo un Imperatore“.

Qui vale la pena andare un momento più a fondo nella questione. Nel 1396 in realtà l’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo e re d’Ungheria era riuscito a mettere insieme un esercito contro i Turchi, ma a Nicopoli era stato clamorosamente battuto. L’Imperatore di Costantinopoli invece aveva dovuto addirittura riconoscersi vassallo dei Selgiuchidi che ormai lo circondavano da tutti i lati e pagare loro una tassa di vassallaggio. Basilio, proclamando di essere figlio di quel Demetrio che aveva battuti altri Turchi a Kulikovo Pole, non potè accettare questa posizione e decise la drastica misura liturgica che abbiamo detto. Sua Santità il Patriarca Antonio gli ribatté pacatamente che quel suo modo di vedere era sbagliato e qui confermerà, ma senza volerlo, i fondamenti dell’eredità divina che Mosca riceverà da Costantinopoli come Terza Roma.

Citiamo da G. Ostrogorsky alcune righe della lettera del Patriarca: “E’ assolutamente impossibile per i cristiani avere una Chiesa e non avere un Imperatore. Giacché Impero e Chiesa costituiscono un tutt’unico ed è impossibile separarli. … (san Pietro disse) … Temete Dio, onorate l’Imperatore. Non disse “gli imperatori” affinché nessuno pensasse ai cosiddetti imperatori dei singoli popoli, ma disse “l’Imperatore” per indicare che nel mondo esiste un solo Imperatore… e se ora, per decreto divino, i turchi hanno accerchiato il regno dell’Imperatore, egli riceve ancora oggi dalla Chiesa la stessa consacrazione, gli stessi onori e le stesse preghiere … (come)… autocrate di tutti i cristiani.”

Malgrado ciò vantarsi dell’impresa di suo padre Demetrio non fu considerata una cosa buona da Cipriano che vedeva questa ostilità contro i Tatari e i loro affini come un ostacolo alla loro conversione, tanto che negli Annali Metropolitani Russi iniziati ad essere stesi proprio sotto questo Metropolita la Battaglia di Kulikovo Polje non è addirittura neppure menzionata. Basilio dunque deve dimenticare questo episodio, se vuol essere il primo Riunificatore della Rus’ di tutti i popoli lì presenti. E inoltre, se questa specie di proclama sul ruolo glorioso (ma futuro) di Basilio giunse alle orecchie di Vytàutas, non lo sappiamo con certezza perché il Principe lituano aveva in mente anche lui dei piani propri per riunire le Terre Russe intorno alla sua persona… a cominciare dalla repubblica del nord e includendo Mosca con suo genero.

Per la repubblica del nord, ad esempio, aveva individuato con estrema facilità che il nodo centrale del traffico diretto in Occidente era Smolensk e dunque volse lo sguardo su questa città della quale occorreva appropriarsi. Da tempo diventata un udel indipendente, questa volta non poté evitare le grinfie lituane. Fra i diversi Rjurikidi che pretendevano di occuparne il trono, uno di loro era ricorso addirittura a Rjazan’ per farsi aiutare a dirimere la questione della successione ed evitare una sempre più ingombrante ingerenza lituana. Costui a nome Giorgio aveva ricevuto la città come ricompensa da Vytàutas stesso in cambio dell’aiuto dato quando avevano assediato insieme Vitebsk per scacciarne Svitrigaila, fratello di Jogaila. Naturalmente Gleb, il fratello di Giorgio, non era assolutamente disposto a lasciare il trono dove si trovava bene perché glielo imponeva Vytàutas e così Giorgio era dovuto ricorrere a Oleg di Rjazan’ mentre Gleb era rimasto al suo posto. Il fatto di essere stato chiamato in questione aveva profondamente offeso il nostro Vytàutas il quale aveva avuto la grande idea di far vendetta senza farlo vedere.

Probabilmente chiamato in aiuto da Toqtamysc’ contro il Tamerlano aveva fatto sapere tutt’intorno che in quei giorni un’armata destinata a dirigersi verso la steppa con lui a capo sarebbe dovuta passare per Smolensk. Non appena fu in vista della città Vuytàutas richiese l’omaggio di Gleb il quale non si fece pregare e cadde nella trappola! Infatti fu immediatamente arrestato e i lituani occuparono tranquillamente la città. Vytàutas rimase a Smolensk per tutto il resto della stagione tanto che invitò Basilio a fargli visita. Insomma la campagna contro il Tamerlano era saltata. Addirittura Basilio era in compagnia di Cipriano e fra feste e banchetti confermò il “passaggio di proprietà” di Smolensk da Gleb al suocero. Le conversazioni fra i tre personaggi avevano tutt’altro oggetto e rimasero famose perché pianificavano in realtà l’ulteriore sviluppo paventato nel Grande Nord: Si formava un’alleanza per la conquista di Novgorod-la-Grande.

Nel frattempo Giorgio, il pretendente escluso, a questo punto pretese con maggior forza l’appoggio di Oleg di Rjazan’ il quale mise in marcia i suoi armati. Mosca cercò di fermare Oleg mandando un suo bojaro di fiducia a parlamentare, ma non bastò perché Vytàutas decise l’annientamento dell’armata di Rjazan’ e questa volta Basilio stette a guardare mentre i Lituani intervenivano! Anzi! Attese suo suocero a Kolomna dove ricambiò l’accoglienza con altre feste e pranzi in suo onore. In quell’occasione si tornò a parlare di Novgorod e si decise di mandare un’ambasciata comune per richiedere alla repubblica di rompere tutti i contratti con i Cavalieri e di rinunciare in futuro ad accogliere qualsiasi principe dissidente, sia di Mosca sia di Vilnius, come era accaduto finora. L’ambasciata fu affidata logicamente a Cipriano che nel 1395 si recò ancora un volta nel nord ad incontrare l’Arcivescovo novgorodese. Niente da fare! Cipriano tornò senza alcuna conclusione positiva benché fosse stato colmato di doni ed avesse benedetto la città con atto solenne.

Che fare? Controllare Novgorod risultava non facile, senza intervenire direttamente sulle autonomie repubblicane della città e senza scontrarsi con gli interessi degli altri udel della Bassa del Volga. In più come spezzare le alleanze molteplici e internazionali di Novgorod senza causare reazioni pericolose e imprevedibili nel Baltico? Se gli sbocchi mercantili di Polozk e di Pskov ad esempio (ma erano minuzie!!) con la fondazione di Riga nel 1202 alla foce della Dvinà (di Polozk) e di Reval (Tallinn) alla foce della Narva (di Pskov) erano sotto controllo dei Cavalieri, quelli di Novgorod erano ancora in Terra Russa e la strategia era molto più delicata e più a largo raggio… Quel che indispettiva di più erano le pretese di dominio consacrate addirittura dalla Bolla Papale che aveva proclamato tutta la regione, compresa Novgorod la Grande, Patrimonium Sancti Petri,  e lasciato mano libera ai Cavalieri.

Passata la mattana del Tamerlano, di certo avendolo già concordato con suo suocero, Basilio ricorre alla ritorsione armata. Occupa proditoriamente una parte del Quinto novgorodese detto Bezhezkaja che comprendeva il corso superiore della Dvinà settentrionale fino a Vologda e attende la reazione. A Mosca arrivò di tutta corsa infatti l’Arcivescovo novgorodese Giovanni insieme con il sindaco Bogdan e con altri notabili. Protestarono, cercarono con la blandizie e i doni costosi di rimettere le cose a posto, ma Basilio nicchiò per tutto il tempo finché l’ambasciata scoraggiata non decise di tornarsene nel nord per discutere meglio il da farsi.

Le Cronache riportano che la decisione presa in quella occasione dai Gospodà (il gruppo ristretto dei bojari al governo novgorodese) fu espressa nelle parole seguenti: “Padre santo! Non possiamo sopportare una tale soperchieria dal Gran Principe di Mosca, Basilio figlio di Demetrio, che ci ha sequestrato alla città, ma anche a Santa Sofia, le città delegate e le loro regioni e vogliamo riprendercele!” Poi giurarono di far di tutto pur di conseguire quello scopo e tutti uniti, baciando la croce, aggiunsero: “O riotteniamo le nostre proprietà oppure offriremo la nostra testa a Santa Sofia (ossia in altre parole, combatteremo).” Giovanni li benedisse (era cioè d’accordo) e il gruppo insieme a tre esperti generali decisero di fare una ricognizione verso la Dvinà Settentrionale, dove c’erano i famosi appannaggi del namestnik ora passati inopinatamente in mani moscovite. Non era logicamente solo una ricognizione, ma una spedizione punitiva vera e proprio contro quei funzionari novgorodesi che avevano tradito la repubblica e si erano dati a Mosca senza pensarci troppo e dunque gli uomini erano armati di tutto punto.

Lagobianco (Belo Ozero) fu così data alle fiamme, Ust-jug assediata e anch’essa distrutta col fuoco, salvo l’icona della Vergine custodita nella chiesa locale che fu requisita. Insomma in ogni città fu chiesto il giuramento di fedeltà alla repubblica sempre alla ricerca dei generali che avevano aperto le porte ai moscoviti. Trovatili, furono incatenati e trascinati al giudizio della città. Uno di loro fu subito cucito in un sacco e poi lanciato al di là del Ponte Grande nelle acque del Volhov, altri due (bojari!) furono invece chiusi in convento con il consenso dell’Arcivescovo e un altro riuscì a fuggire non si sa dove. Vendetta era fatta ed ora ci si poteva ripresentare da Basilio per concludere un patto di pace…

Mosca accettò e così anche la Lituania, naturalmente chiamata in causa per l’occasione.

Non pare strana la cosa in sé? I territori che Mosca aveva occupato e che poi erano stati ripresi da Novgorod erano proprio quelli da cui venivano quelle merci di alto valore che da qualche tempo non viaggiavano più come prima lungo il Volga, ma andavano via terra o via Baltico verso i mercati d’Occidente, fra cui le preziosissime pellicce di zibellino e l’argento degli Urali! Ora, siccome Mosca aveva bisogno di questi traffici e di queste merci che riusciva a cedere a buon prezzo ai Genovesi e ai Veneziani, come avrebbe fatto ora che aveva rinunciato così facilmente a ritirarsi dalla tenzone da essa stessa voluta?

La chiave di lettura di questa nostra storia, ma il nostro lettore l’avrà già capito per quante volte l’abbiamo ripetuto, è essenzialmente economica. La Rus’ di Kiev era una cleptocrazia (secondo la definizione di Jared Diamond) e, più che sul tributo che si sarebbe potuto ricavare dai contadini sudditi, fondava la sua ricchezza sui traffici che attraversavano il suo territorio in cui le merci rappresentavano per la stragrande maggioranza quel prelievo obbligatorio che interi villaggi o regioni erano tenuti a cedere forzosamente all’élite al potere. Le merci provenivano dalla foresta che ancora copriva con un fittissimo manto verde l’intera Pianura Russa e questa, come tale, rappresentava un’immensa risorsa la cui consistenza non era neppur ben nota agli stessi principi degli udel dei quali essa faceva parte. Le città adagiate lungo le rive dei fiumi o dei laghi percepivano i balzelli (di solito sotto forma di una parte di quelle merci che passavano loro davanti) e i loro principi Rjurikidi non si limitavano solo ad offrire una minima assistenza logistica o militare ai mercanti, ma commerciavano essi stessi! Niente di molto diverso dal resto d’Europa, a parte qui la quasi assenza di denaro sonante… Orbene, siccome Novgorod-la-Grande racchiudeva la parte di territorio più ricca, di qui partiva la maggioranza degli articoli in parte rilavorati negli opifici della città (nelle cosiddette usad’by bojare oppure nei laboratori privati), mentre il resto delle Terre Russe proseguiva a produrre con fatica le derrate alimentari per il sostentamento sia dei contadini sia delle classi dominanti.

Naturalmente se da un lato la “miniera” foresta andava mantenuta in ordine e curata (ricordiamo che le merci più preziose come pure l’argento dai lontani Urali era compreso nei prodotti “foresticoli” di Novgorod), dall’altra rimaneva un’efficace difesa militare perché impenetrabile a chi non la conoscesse e giocando in tutt’e due i casi un ruolo importante nella storia di queste terre! E questa era una delle ragioni del rallentamento della penetrazione dei Cavalieri nelle Terre Russe del nord in quegli anni!

Se le spinte della Crociata Teutonica (e Livonica) nelle Terre Russe erano ormai in declino, la potenza papale era in pieno sviluppo ideologico e stava ormai assurgendo ad impero teocratico universale, con proprie politiche imposte senza mezzi termini ai nuovi potenti, re e imperatori, che essa stessa creava. Naturalmente da qualche secolo aveva allungato un occhio ben attento sulle Terre Russe. Addirittura una parte della foresta nordica era già passata in mano cristiano-romana (dei Polacchi), ma, siccome la Polonia era ancora uno stato frammentato e disturbato dalle liti dei magnati locali e non ancora dominato da un unico signore, la produzione polacca di articoli di lusso tratti dalle foreste non aveva avuto grande sviluppo. Sarà il principe lituano Jogaila a proclamare, ma solo in seguito, la foresta polacca (oggi è quella parte condivisa con la Bielorussia, attraversata dal Bug prima che questo fiume si versi nella Vistola) “sua esclusiva proprietà privata ” per sfruttarla meglio, come vedremo…

I Cavalieri Crociati, con base nell’odierna Lituania Lettonia e Estonia, la cui presenza era stata dapprima invocata dal duca polacco Corrado di Masovia e autorizzata da Federico II, dopo la morte di questo Imperatore, erano ora direttamente gestiti dal Papa e dai suoi vescovi e nel XIV sec. erano diventati in qualche modo quasi inutili. I pagani del Baltico (i Lituani, dacché i Prussiani erano stati già decimati con le armi ed i Lettoni dovevano ancora formarsi come nazione a sé) infatti erano stati convertiti. Forse occorreva mutare l’obiettivo primario e volgersi sugli scismatici/eretici russi. I Cavalieri però avevano adocchiato un nuovo traguardo: Costruire un sistema economico stabile capace di garantire le forniture di materie prime e di prodotti di lusso sulla direttiva nord-sud ora che le vie dal Medio Oriente erano passate definitivamente in mani musulmane dopo il fiasco delle Crociate in Terra Santa. E, guarda caso, non era forse lo stesso traguardo dell’Hansa? E l’Imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo IV di Boemia, non aveva forse benedetto Lubecca per questo lavoro congiunto coi Cavalieri? Insomma le due organizzazioni collaboravano sempre più strettamente e l’Ordine Teutonico stava acquistando il ruolo di protettore di tutte le attività del Baltico in nome di Cristo e del Papa di Roma e, di abbandonare il Baltico, non se ne parlava.

L’ascesa della Lituania e la crescita della dinastia fondata da Ghedimino, primo grande signore lituano, come casata indipendente dai Rjurikidi erano proprio il frutto delle sollecitazioni della politica missionaria dei Cavalieri Teutonici e Livonici e dei consulenti papali (francescani e domenicani) mandati fra i principi locali. Lo scopo ultimo era infatti di sbriciolare il potere (che sembrava solido e monolitico, senza esserlo) dei Rjurikidi nelle Terre Russe e così i lituani, neofiti della politica papale e credendo in un’alleanza automatica coi Cavalieri per l’accrescimento del loro stato attraverso il semplice battesimo, s’erano invece trovati invasi da ferventi monaci (polacchi di solito) che facevano missionariato e interferivano nelle faccende politiche in nome del Cristo “cattolico”. Ciò diventava un ostacolo nel mantenere gli obblighi di parentela, legame importantissimo fra i principi delle Terre Russe, e i buoni rapporti di consenso con quei sudditi che erano da sempre in stragrande maggioranza fedeli all’ortodossia.

In tal modo, sebbene i lituani avessero tutte le carte in regola per essere la potenza dominante nelle Terre Russe in sostituzione della vecchia Rus’ di Kiev, a quanto sembra continuavano ad incappare in vari malintesi con la Chiesa Cattolica Romana e con la Chiesa Ortodossa Russa per le decisioni politiche che li coinvolgevano a volte insostenibili per la loro ambiguità religiosa. Non dimentichiamo il vecchio principio che il Cristianesimo occidentale stava introducendo anche qui nelle nazioni nuove: Cuius regio, eius religio e quindi chi sta sotto quel signore, deve accettare anche la sua religione.

Per queste ragioni ad un bel momento Jogaila e Vytàutas dovettero scegliere in nome di quale Cristo governare i propri sudditi e così l’uno, Jogaila, si legò al Papa di Roma e l’altro, Vytàutas, si spostò verso Costantinopoli. L’unico neo in questa scelta era che da Roma ci si poteva aspettare un aiuto militare ed economico, mentre da Costantinopoli… Ci furono scontri fra i due sopradetti, ma poi, con l’accordo di Krevo di cui abbiamo già detto, le Terre Russe erano state inglobate nel Gran Ducato di Lituania che risultava unito al Regno di Polonia attraverso il loro legame di sangue e, sebbene si stabilisse che la massima autorità sarebbe rimasto Jogaila nell’altisonante veste di Re di Polonia (aveva sposato a questo scopo l’erede al trono polacco Jadviga e disdetto l’accordo fatto tanti anni prima di sposare invece una sorella di Basilio), Vytàutas, vita natural durante, rimaneva Granduca di Lituania e delle Terre Russe.

A questo punto visto che tutto dipendeva dall’avere i mezzi economici per condurre politiche realistiche e conseguire i traguardi fissati Vytàutas in questi anni tenta, giocando astutamente fra Cavalieri e Principi Russi e Jogaila (e suo genero!), di deviare o attirare i traffici di Novgorod verso il sud ucraino. L’ostacolo maggiore all’espansione economica fu proprio il potentissimo arcivescovo novgorodese ossia la seconda personalità ortodossa della Chiesa Russa che si opponeva in qualsiasi modo all’ingerenza lituana (ma anche di qualsiasi altra potenza vicina) nei propri affari! Una “repubblica” come Novgorod restava un’anomalia, a dir poco, fuori da qualsiasi regola di quel tempo! Per mettere in difficoltà la “repubblica” occorreva poi saltare l’Hansa germanica e ricattare i Cavalieri e, allo stesso tempo collaborare con le repubbliche marinare italiane che sembrano avere ottimi sbocchi economici quanto la stessa Hansa, guardando come operano da qualche tempo con Mosca che ha concesso loro un mercato riservato nella cittadina dell’estremo nord, Ust-jug.

Gli itinerari commerciali che portano alle coste del Mar Nero implicano tuttavia le trattative con i nomadi che si trovano nelle steppe ucraine!

Per tutte queste ragioni Vytàutas si reca a Königsberg perché, dopo le solite liti con Jogaila, caduto in una delle sue solite depressioni era andato a consultarsi col Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, Corrado von Jüngingen. Costui lo ospitava volentieri (Vytàutas opportunamente si era fatto battezzare nella fede cattolica) perché lo considerava una pedina molto importante nella campagna di dominio sulla Polonia e sulla costa baltica (i due ordini, Teutonico e Livonico, erano divisi territorialmente da un tratto di costa baltica in mano a Vytàutas) e dunque contro Jogaila-Jagellone che reclamava la restituzione di tutto il territorio concesso da Federico II, visto che la missione originaria era ormai esaurita e che la Lituania era ormai cristiana e cattolica. Facciamo allora qualche passo indietro…

Vytàutas sta tessendo da tempo una trama molto complicata e, siccome gli interessi dell’Orda di Sarai sono pari ai suoi nelle steppe meridionali, nel 1391 non troppo inaspettatamente, ma sicuramente non con grande sorpresa, aveva lasciato senza intervenire che i Tatari di Toqtamysc’ movessero verso il nord del Volga in missione militare…

Il khan ha mandato un suo figlio, di nome  Bektut, per una spedizione punitiva non contro Mosca stavolta, ma contro la Repubblica di Vjatka. I pirati-mercanti di questa organizzazione novgorodese lungo il fiume invece di pagare i balzelli dovuti, disturbano il traffico nel punto daziario della giovane città di Kazan’. Bektut riesce a conquistare qualche città in Vjatka e fa anche parecchi prigionieri, naturalmente avviati in Oriente per essere venduti schiavi, ma è però penetrato troppo a nord ed ha messo in allarme non solo Novgorod, ma  persino Mosca che ha i suoi interessi in Ust-jug.

Per primi sono i novgorodesi a reagire, appena venuti a conoscenza dai fuggiaschi di Vjatka della presenza tatara e, quando i profughi richiesero a gran voce una rappresaglia esemplare contro gli infedeli di base a Kazan’, avevano immediatamente risposto all’appello mandando una flottiglia armata sul fiume. Erano scesi fino a Kazan’, dove avevano compiuto devastazioni e rapinato tutti i mercanti lì presenti, senza far distinzioni. L’impresa in sé non era così clamorosa se non fosse stato per un “piccolo” particolare: Si trovavano in zone dove i bojari moscoviti consideravano tali manovre “illecite” da parte dei novgorodesi. Ed infatti, per impedirne di ulteriori, i bojari convinsero Basilio, non appena si fosse recato dall’Orda per avere il jarlyk, di fare le proprie rimostranze e lamentarsi che nella Bassa niente doveva accadere senza avvertire prima Mosca. Questi furono dunque gli altri argomenti discussi durante la già detta visita del 1392.

Vytàutas lasciò fare quella volta perché geograficamente era un problema al di fuori della sua portata e attese gli eventi. Tuttavia sapeva benissimo che l’Orda era sull’orlo del tracollo e bastava attendere che si sfasciasse completamente, per avere mano libera fino alla foce del Volga e persino sulla regione dell’Orda di Nogai, ridotta a poche città in Crimea da quando il khan Mamai, l’unico capace di opporglisi con le armi, era scomparso dalla scena del mondo nel 1380.

Intanto a Sarai si susseguono sommosse e sconvolgimenti tanto che Toqtamysc’ è costretto a fuggire e a lasciare il suo posto a Temir Kutlug che diventa così il nuovo khan nella capitale dell’Orda d’Oro. L’ex khan si rifugia presso Vytàutas che lo sta ad ascoltare attentamente e che gli fa grandi promesse di aiuto. Il Tataro a questo punto è praticamente nelle mani del suo ospite che con una tale buona carta da giocare stila con lui un accordo clamoroso riportato nelle Cronache con parole lapidarie: “Io, Vytàutas, ti rimetterò sul trono di Sarai e tu, Toqtamysc’, mi metterai su quello di Mosca quale Gran Principe della Bassa e di tutte le Terre Russe (inclusa Novgorod)!” Non ci sono commenti da fare su questo accordo, salvo uno: Non è sicuro che l’accordo fosse stato stipulato in quei termini proprio perché era segreto e il testo tramandato potrebbe essere solo una diceria sparsa per screditare i due alleati di fronte agli epigoni di Basilio e giustificare le loro azioni successive contro i lituani in generale e contro Sarai in particolare.

Mosca nel frattempo (e in questa misura la seguono volentieri tutti gli udel della Bassa) capeggia una cordata ribelle che non paga più alcun tributo ad un khan considerato illegittimo, come Temir Kutlug. Che  si accontenti dei doni spontanei che gli fanno i mercanti per continuare a vivere! Neppure in questo caso si può dire che questa “ribellione” non rispondesse ad accordi previi con la Lituania (per favorire  Toqtamysc’), ma ad ogni buon conto Basilio si vede investito di un’autorità che nessuno gli ha mai ufficialmente concesso. Ed allora come l’userà, se la userà in futuro?

Da parte sua Vytàutas al contrario si dichiara pronto a scendere in campagna contro l’Orda di Sarai per togliere di mezzo l’usurpatore Temir Kutlug e ripristinare Toqtamysc’. E’ una dichiarazione di guerra! Il vecchio Jedighei, ex consigliere di Toqtamysc’, è messo immediatamente in moto e si presenta puntuale all’appuntamento per scontrarsi coi lituani. Naturalmente è stato richiesto l’aiuto di Mosca oltre che da Vytàutas, probabilmente anche dal khan, ma Basilio ha poco da offrire sia all’uno che all’altro. A Vytàutas però assicura che, mentre il suocero si muove dal lato sud delle steppe ucraine, i moscoviti disturberanno Sarai dal lato del Volga. Senza troppa animosità e con grande ambiguità, sperando che Temir Kutlug interpreti le sue azioni come pure spedizioni punitive contro i ribelli rivieraschi del Volga e, se Dio vuole Toqtamysc’ di nuovo sul trono, che questi sia riconoscente a Basilio.

Sofia e i bimbi comunque sono mandati a Smolensk sotto la protezione lituana…

Vytàutas chiamati a raduno polacchi e moscoviti (un contingente a capo del quale c’era il vecchio condottiero di Kulikovo Polje Demetrio Bobrok) con l’armata va allo scontro sul fiume Vorskla dove si stanno già radunando i Tatari.

Jedighei dall’altra riva, non appena lo vede arrivare, chiede di interrompere questa guerra. Basterà che gli venga riconsegnato Toqtamysc’ e se ne andrà. La risposta è un rifiuto poiché Vytàutas è sicuro della vittoria! Ha con lui persino i Teutonici che gli hanno mandato un drappello di esperti cavalieri armati. Per il momento malgrado tutto l’urto non ha luogo perché s’intavolano trattative su trattative.

Le notizie su queste lunghe conversazioni fra Jedighei e Vytàutas riportate dalle Cronache sono abbastanza curiose! Sembra che il tataro tentasse di convincere il Lituano a ritirarsi in ragione del fatto che è alla fine della sua vita (e invece morirà molto vecchio nel 1430) e quindi non val la pena morire in una battaglia come questa. Sarebbe consigliabile accordarsi, pagare un tributo, restituire Toqtamysc’ e finirla lì. Niente da fare! Il 12 agosto 1399  lo scontro c’è. I Lituani si sono presentati con le nuove armi che circolano ormai in Europa da qualche tempo: I cannoni! Ma questo non basterà perché Jedighei è un vecchio esperto e sa che questi arnesi spaventevoli e rumorosi alla fine sono difficili da manovrare e da guadare mentre i suoi arcieri a cavallo sono mobilissimi e attaccano da tutti i lati. In poche parole alla fine Jedighei sbaraglia i Lituani e i loro alleati! Molti knjaz caddero quella volta, dice la Cronaca, e il Tataro inseguì il nemico sconfitto fin sotto Kiev. Chiese ed ottenne un indennizzo per fermarsi a quel punto e dopo aver saccheggiato i dintorni se ne tornò a casa, sebbene senza Toqtamysc’.

Jogaila, appena saputo dell’insuccesso del cugino, pensò bene, come Re di Polonia e futuro signore delle Terre Russe, di cessare ogni atteggiamento ostile contro Novgorod, facendo pervenire alla città tramite suo fratello Lugven, ospite di Mosca da un bel po’ di tempo, il seguente proclama, che sarebbe stato lettoprima di insediarsi quale namestnik, questo occorre sottolinearlo, di Jogaila: “Siccome Sua Maestà Ladislao, Re di Polonia, signore della Lituania e delle Terre  Russe e di altri domini, ci ha posto quale protettore sugli uomini e sui nobili di questa città, monsignor Grande Novgorod, così noi al re e alla regina Jadviga, promettemmo e promettiamo, finché saremo i protettori di questa città, di rimanere amici della corona polacca e di non allontanarci mai da essa!”

A questa mossa illegittima Vytàutas sicuramente scivolò in un’ennesima profonda crisi (le Cronache ci dicono che era fatto così). Alla fine non si sentiva affatto vinto dall’Orda d’Oro. Che fare? Novgorod è forse persa? Deve ribellarsi a suo cugino? O fare intervenire Mosca? E come?

Persino Basilio, provocatoriamente secondo noi, fa sposare suo fratello Giorgio con la figlia dello spodestato principe di Smolensk. Mettersi contro suo suocero che ritorna perdente dalla battaglia sulla Vorskla, son forse queste le sue intenzioni? Glielo ha consigliato Jogaila? La città di Smolensk infatti è e rimane in mano lituana, ma ora a quale dei due cugini risponderà? Insomma troppe pedine sono state mosse e la situazione è davvero di stallo…

Nel 1400 muore il vecchio Oleg di Rjazan’ suocero del padre di Basilio e dunque suo zio materno. Era stato un eterno ribelle in un certo senso. Sempre pronto a battersi per la propria indipendenza oppure a piegarsi al compromesso, ma comunque riservandosi la riscossa. Il figlio Teodoro che gli succede è ormai già legato mani e piedi a Basilio e perciò da adesso in poi Rjazan’ diventa parte integrante del feudo di Mosca.

Un altro potenziale avversario di Mosca era morto già l’anno prima: il rivale di Demetrio (e dunque anche di Basilio) Michele di Tver’! A quanto pare questa città è ormai rassegnata ad un suo ruolo inferiore nella Bassa e sta per entrare sotto l’ala moscovita. Anzi! Qualche anno prima Michele, su pressione dei  parenti Lituani, aveva sottoscritto un accordo con Basilio in cui si dichiarava che non avrebbe mai più accettato il jarlyk di Gran Principe di Vladimir anche se concesso dall’Orda spontaneamente, ma in cambio avrebbe preteso aiuti da Mosca nel caso di scontri con i Cavalieri Portaspada (cosa abbastanza improbabile).

Michele non era mai stato così battagliero come un suo antenato omonimo né come suo nipote omonimo che incontreremo più avanti. Lo abbiamo visto a Sarai una sola volta cercare di sottrarre il jarlyk a Demetrio, ma poi aveva rinunciato e si era messo da parte abbastanza pacificamente e aveva accettato le condizioni volute da Mosca. Manteneva contatti diretti col Patriarcato costantinopolitano e quando era stato chiesto aiuto contro i Turchi che minacciavano la capitale sul Bosforo aveva mandato soldi e doni di gran valore insieme con Mosca. Da uomo pio quando la tempesta turca sembrava essere passata, si racconta che in cambio dei doni inviati aveva richiesto un’icona santa tutta per sé. Era ormai giunto a tarda età quando fu assalito dal male che lo avrebbe portato alla tomba (la peste!). Deciso di andare in convento per le sue ultime ore con Dio, dettò le sue ultime volontà: l’udel fu diviso fra i suoi tre figli e il nipote (il quarto figlio era già deceduto) avvisando ciascuno delle condizioni sottoscritte con Basilio. E proprio in quei giorni aveva ricevuto il segno della gratitudine patriarcale e cioè l’icona miracolosa del Giorno del Giudizio richiesta portata dal prete Daniele passato da Costantinopoli nel suo ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa! Michele sembrò riaversi e ordinò di portargli immediatamente l’immagine per poterla baciare e perciò guarire. Si alzò dal letto per andare di persona incontro a Daniele, si salutò con tutti i suoi e si avviò alla chiesa dove il prete l’aspettava. Mentre camminava però sentì che gli mancavano le forze e, fattosi accompagnare in Convento, si fece monaco e morì qualche giorno dopo, senza neppure il conforto dell’icona. Per inciso, aggiungiamo che il prete Daniele rimase famoso nella storia russa non tanto per questo episodio, quanto invece per aver lasciato una specie di guida per il pellegrino russo che va in Terra Santa.

Tuttavia la rivalità con Tver’ non era per niente finita. Infatti il figlio di Michele, Giovanni, aveva tutt’altri piani e non riconobbe l’accordo fatto da suo padre. Da anni si trovava in dissidenza presso l’Orda di Sarai e a questo punto non gli restava che richiedere il jarlyk…. sebbene non di Gran Principe di Vladimir, ma almeno per il suo udel, formalmente rispettando il patto paterno, per garantirsi l’indipendenza da Mosca. Basilio non reclamò e accettò suo malgrado lo status quo contando su quella città comunque per l’aiuto futuro nel caso di azioni militari contro Novgorod-la-Grande.

A nostro avviso tutte queste mosse, sia moscovite che lituane, erano una specie di piano d’assedio intorno a Novgorod-la-Grande, sempre alla stregua di quanto abbiamo detto al principio del capitolo, più che contro i piani moscoviti… Nel 1401 c’è ancora una nuova mossa: Convocato (con la complicità di Cipriano, naturalmente) l’Arcivescovo novgorodese a Mosca, il prelato viene imprigionato nel Convento dei Miracoli all’interno della cinta del Cremlino e trattenuto per… ben tre anni! Fu un vero scandalo, ma procurò poi dei vantaggi? E come mai Cipriano aveva avallato una tale mossa eccessiva e pericolosa?

Facciamo un passo indietro.

Se ben ricordiamo Cipriano aveva lasciato Novgorod con un anatema sulla città che non aveva mai ritirato, ponendo così in imbarazzo la stessa autorità arcivescovile. E Novgorod aveva tentato tutto affinché la grave misura ecclesiastica fosse revocata al più presto! Era stata mandata allora una delegazione perché intercedesse presso S. S. Antonio a Costantinopoli, saltando Cipriano (e cioè Mosca). Naturalmente si usarono in quell’occasione tutti i ricatti possibili: dall’arma delle grandi donazioni a quella della minaccia d’abiura, ossia di passare al Papa di Roma. Il Patriarca, già informato da Cipriano, consigliò insistentemente ai bojari novgorodesi di trattare direttamente col Metropolita e magari anche con il principe di Mosca! Insomma per farla breve con la loro solita praticità i novgorodesi decisero di chinare la testa. Si accettò di abrogare la legge “autonomistica” e dopo aver pagato ben 350 rubli al Metropolita. La storia però non aveva trovato ancora una conclusione perché tre anni dopo Cipriano, come era di regola nel passato, si era recato senza essere invitato a Novgorod per il mese giudiziario, secondo una vecchia usanza non più in vigore. Né venne da solo, ma addirittura con un inviato di Costantinopoli con la scusa di far visitare questa importante arcidiocesi e affinché constatasse de visu lo stato dei fatti…

Grande accoglienza, imposizione delle mani sull’Arcivescovo Giovanni, ma niente giudizi o sentenze da emettere e dunque niente prebende da incassare. Che fare? Cipriano, a causa della presenza dell’inviato greco, decise di soprassedere da misure estreme e benedisse con gran solennità la città, prima di essere accompagnato lungo il fiume sulla via del ritorno insieme al suo ospite.  L’anatema finalmente era stato ufficialmente tolto…

Al ritorno a Mosca però Cipriano si lamentò con forza e Basilio promise al “suo” Metropolita che i novgorodesi l’avrebbero pagata cara e, dopo aver ponderato bene la situazione, con il consenso di Vytàutas e sfruttando la scusa che la ricca città del nord continuava a mantenere i suoi traffici con le città anseatiche del Baltico infischiandosene dell’ostilità dei tedeschi verso la Lituania e verso Mosca e la “sua” santa Chiesa, mandò i suoi plenipotenziari (insieme a quelli di Vytàutas beninteso!) a Novgorod, per esigere la rottura immediata degli accordi coi tedeschi “eretici” dell’Hansa.

Era una richiesta assurda e inaccettabile per i novgorodesi benché comprensibile se fatta da parte di Basilio e la risposta più logica non poté essere che la seguente: “Principe Basilio! Noi facciamo accordi con chi vogliamo e con chi ci conviene e quindi siamo in pace con voi, con Vytàutas ed anche con i tedeschi!”

In definitiva quelle richieste erano delle provocazioni fatte apposta ed infatti, non appena i bojari se ne tornarono a casa con la risposta negativa, l’armata moscovita, già pronta, si mosse per occupare con l’aiuto di Vladimiro di Serpuhov Volok Lamskii, Mercato Nuovo e Vòlogda. Da Mosca viene annunciato a chiare lettere che ogni accordo precedente non è più in vigore. Volok Lamskii viene addirittura ceduta a Svitrigaila, altro fratello di Jogaila, per ben 10 anni, sebbene… sotto la supervisione di Vladimiro di Serpuhov.

Che fare? Anche i novgorodesi rispondono con un analogo proclama di abolizione degli accordi, ma dopo qualche tempo (anche per la conseguenze economiche che ne seguirono), chiesero di negoziare nuovi patti. Anzi! Colsero ingenuamente l’occasione della chiamata del loro Monsignore a Mosca da parte del Metropolita (anche questa era una scusa di Basilio concordata con Cipriano) per affiancarlo con una delegazione bojara di tutto rispetto e con… tanti doni.

Monsignore, apparentemente chiamato per questioni ecclesiastiche, incontrò Basilio e lo benedisse, dicendo: “Sire, Gran Principe! Ti benedico e ti prego di accogliere benevolmente le richieste del mio gregge novgorodese!” Le richieste erano abbastanza semplici: Che si rilasciassero e si restituissero tutte le città occupate da Mosca. Purtroppo neppure Monsignore riuscì a smuovere Basilio e così, passato l’inverno, i bojari novgorodesi attesero invano che l’Arcivescovo Giovanni tornasse a Santa Sofia. Finalmente Monsignor Giovanni tornò e tenne una riunione con i bojari che espressero le loro preoccupazioni e i loro dubbi.

La missione con gli armigeri novgorodesi lungo la strada incontra un tale che racconta come il principe Teodoro di Rostov, agli ordini di Basilio, è stato mandato a governare nella regione di Vjatka arrogandosi tutti i diritti che una volta appartenevano esclusivamente alla città e ai suoi funzionari… perché soltanto Basilio è autorizzato dal jarlyk.  A questo punto, non c’è più scelta! Se Basilio agisce in questo modo, occorre che i novgorodesi agiscano in modo simile e così, mentre Monsignore se ne torna a casa, i bojari e gli armigeri oltrepassano il confine con Lago Bianco e assalgono questa città, la conquistano, la saccheggiano e poi la danno alle fiamme.

Continuarono queste azioni militari fino a Ust-jug che fu devastata e i mercanti stranieri (genovesi per lo più) maltrattati indicibilmente. Da tempo la cittadina era diventata una concorrente fastidiosa di Novgorod (e di Vjatka) per la presenza dei mercanti italiani e il fatto che fosse sotto il controllo di Mosca, aggravava oltremodo il fastidio dei novgorodesi sugli affari delle preziosissime pellicce pregiate.

Non si fermarono però qui. Proseguendo verso sud (avevano armato bel 250 barche) giunsero alfine dove si trovava Teodoro di Rostov. Costui fu spogliato di ogni cosa e offeso in tutti i modi. Sommamente felici del successo i nostri bojari ritornano a Novgorod con un grande bottino e portando con sé alcuni notabili fatti prigionieri con l’accusa di alto tradimento. Intanto i novgorodesi avevano già mandato a Mosca una nuova ambasciata formata dall’Arciprete di Santa Sofia (l’Arcivescovo evitò, non andando, l’umiliazione di prostrarsi ancora davanti al Principe), dal tysiazkii, dal posadnik e da due esponenti cosiddetti autosufficienti per concludere le liti in pendenza. Le ragioni della rappresaglia condotta da Novgorod erano abbastanza semplici: La città si era ripresi dei territori che erano da sempre stati di sua proprietà.

Insomma i rapporti fra Mosca e Novgorod erano sempre più tesi e sempre più aspri. Lo stesso Vytàutas con grande opportunismo non teneva né per una né per l’altra parte ed anzi lasciava che i due avversari si sfibrassero a vicenda tanto che (fra i vari dispetti vicendevoli) accadeva spesso e volentieri che qualsiasi fuggitivo da Mosca o dai territori sotto influenza moscovita fosse sempre benaccolto nella città novgorodese o presso i Lituani. Già questo la dice molto lunga sui rancori che si andavano accumulando.

D’altronde quali diritti poteva vantare Mosca su Novgorod-la-Grande? Nessuno concretamente, sebbene Basilio (sempre sotto l’egida di Cipriano e il tacito consenso di Vytàutas) scegliesse di rifarsi alle antiche tradizioni che stavano scritte nelle Cronache dei Monasteri in cui la repubblica dipendeva da Kiev e tutto il resto.

E’ il 1406! Cipriano muore lasciando la sua grande eredità spirituale (per la verità dobbiamo dire che rimase nascosta nei suoi scritti per lungo tempo) alla dinastia moscovita e a tutti i Grandi Russi, quella di ricostruire l’Impero Romano Cristiano universale… da Terza Roma.

E’ l’occasione buona per Vytàutas per raccogliere sotto la sua ala quest’alta carica ecclesiastica, sottraendola all’influenza di Mosca. Fa sapere al Patriarca che avrebbe preferito che fosse nominato quale successore un monaco greco che viveva già in Lituania, monsignor Teodosio Arcivescovo di Polozk, e mandò quest’ultimo di corsa a Costantinopoli. Basilio come al solito non sapeva che fare e si limitò ad inoltrare la sua preghiera al patriarca di dare l’incarico alla vecchia maniera e basta. Il Patriarca intanto aveva scelto un altro monaco a nome Fozio e costui era già a Costantinopoli per l’imposizione delle mani. Vedendo cadere il suo candidato, Vytàutas va su tutte le furie e mette in opera varie manovre per impedire a Fozio di raggiungere la sede moscovita… Anzi! Appena sa del suo arrivo a Kiev senza mezzi termini gli comunica che Kiev è la santa e vera sua residenza e che quindi si dimentichi di Mosca.

Il povero Fozio dovette ubbidire e rimase. Pensate che s’insedierà a Mosca solo nel 1409.

Proprio in quell’anno Jogaila avevano incominciato la sua campagna propagandistica contro i Cavalieri Teutonici che occupavano il territorio polacco quando ormai di pagani non ce n’erano più. Non trova però l’appoggio presso suo cugino. Anzi! E’ ancora occupato con Novgorod e il nord e, in particolare, in un accordo con l’Ordine Livonico del 1398 era chiaramente detto che Vytàutas avrebbe aiutato i Cavalieri a piegare e a conquistare Pskov e i Cavalieri, a loro volta, l’avrebbero aiutato a conquistare Novgorod in barba ai voleri di Jogaila. Dunque non ha tempo per partecipare alle mosse di Jogaila ed ora che è giunto il momento giusto, nel 1405, con la scusa che Novgorod ha accolto in città Giorgio di Smolensk suo nemico giurato (e genero di Basilio!), dichiara guerra alla città! Entra dapprima nel territorio di Pskov dove si scontra. Devastazioni, prigionieri, incendi: tutta la regione lungo il fiume Velikà viene messa a soqquadro. Contemporaneamente manda una lettera a Novgorod in cui si impone quasi sotto forma di ultimatum di accettare la protezione lituana esclusivamente da lui e mai più da Jogaila e dai suoi luogotenenti, se si vogliono evitare guai maggiori.

Naturalmente Pskov appollaiata su una collina e circondata dai due fiumi Pleskavà e Velikà (in russo il fiume Grande) era una fortezza abbastanza difficile da conquistare, ma l’intenzione del principe lituano era solo di spaventare e minacciare indirettamente Novgorod-la-Grande. Basilio volle essere anche lui partecipe ed aveva dato il suo nullaosta affinché il figlio di suo fratello Costantino che era in quel momento in ingaggio a Novgorod andasse in apparente aiuto di Pskov e contro Vytàutas. Forse era stanco delle improvvisazioni di suo suocero o osò troppo quando in quei frangenti dichiarò che gli avrebbe fatto guerra “…per aver invaso il territorio di Pskov che è demanio del principe di Mosca…” e per non averlo avvisato prima. In realtà erano esagerazioni perché di proposito gli aiuti novgorodesi a Pskov arrivarono solo quando Vytàutas si era già ritirato con il bottino e tanti prigionieri!

Per di più, quando Pskov cercò di convincere i novgorodesi ad unirsi a loro per assediare Polozk, la risposta suggerita da Basilio fu in questi termini: “Monsignore non ci ha benedetto per questa impresa in Lituania e Novgorod non ci ha detto di andare con voi contro i tedeschi.” Che fare? I cittadini di Pskov rimandarono indispettiti a casa i novgorodesi e si diressero da soli verso i territori lituani.

Non ottennero però grandi risultati e solo l’anno dopo, stavolta col consenso di Mosca, assedieranno Polozk, ma senza riuscire ad espugnare la città benché l’assedio durasse ben tre giorni! Come d’abitudine si devastarono e si saccheggiarono i dintorni e si ritornò a casa soddisfatti, almeno di essersi parzialmente vendicati e del bottino che ripagava le spese sostenute…

Quella vendetta di Pskov provocò naturalmente la contromisura di Vytàutas nella regione di Polozk e di Vitebsk, tanto odiosa quanto inutile: La persecuzione religiosa dei novgorodesi e dei cittadini di Pskov che risiedevano in territorio lituano! Questi erano facilmente riconoscibili dal loro dialetto e dal loro vestire. E’ logico che ci fu un conseguente fuggi-fuggi verso nordest della gente perseguitata e gran parte di questa fu persino accolta da Mosca e alloggiata nei dintorni.

Alla fine Basilio, come è evidente, aveva appoggiato tutta l’azione di Vytàutas sebbene avesse fatto mostra coi suoi armigeri di volersi scontrare con lui. E sul fiume Vjazma genero e suocero s’incontrano e si  dividono lo scacchiere e ora Basilio da una parte e Vytàutas dall’altra cominciano a devastare tutta la zona per mettere in ginocchio per prima Novgorod-la-Grande, la più lontana, ma poi anche  Pskov, la più vicina, giudicate ree di tenere rapporti amichevoli… coi Cavalieri Livonici! E gli accordi con questi ultimi? In fumo…

Aggiungiamo che queste azioni concordate di suocero e genero mettevano sempre in allarme Sarai la quale attraverso propri segreti canali cercava di mettere zizzania fra i due parenti ora sfidando l’uno ora attaccando l’altro. In una di queste “liti” nel 1408 Vytàutas e di Basilio si incontrano sulle rive opposte, stavolta del fiume Ugrà. Qui le trattative andranno per le lunghe per i troppi festini, ma si concluderanno con la pace, e, cosa molto importante, si definisce il fiume Ugrà quale confine fra i due campi di influenza. Dalla riva sinistra è Lituania e dalla riva destra è Mosca. E così si chiude il ciclo di ostilità fra suocero e genero in barba alle manovre di Sarai…

Nubi nere si levano all’orizzonte però! I Tatari non perdonano! La notizia pervenuta a Mosca è che si organizzano per scendere in campagna militare. Contro chi? Probabilmente sia contro Basilio sia contro Vytàutas poiché il vecchio Jedighei considera illegittimo ogni accordo fra suocero e genero. Si è fatta anche l’ipotesi che i Cavalieri Livonici avessero messo il loro zampino in questi preparativi, ma non si può affermarlo con sicurezza dai documenti…

In breve un bel giorno del novembre del 1408 sotto il Cremlino moscovita si presentano i Tatari e Basilio ha appena il tempo di asserragliarsi in difesa, mentre tutta la città bassa (il Posàd) è data alle fiamme. Neppure Vladimiro di Serpuhov riesce ad organizzare una resistenza efficace visto che si trova anche lui nel Cremlino. Basilio intanto è già riuscito a lasciare Mosca per rinchiudersi nel nord a Kostromà a tentare di smuovere i fratelli a dargli una mano. In realtà questi, Andrea e Pietro, sono a Mosca insieme a Vladimiro di Serpuhov e non riescono a passare alcun ordine ai loro bojari. Jedighei però non ha intenzione di espugnare la città, ma solo di fare bottino nella regione intorno e quindi non è molto propenso ad un lungo assedio. Anzi! Cerca di riattizzare l’inimicizia tradizionale con Tver’ e manda i suoi a “dare ordine” al principe Giovanni, figlio del defunto Michele, perché accorra sotto le mura Mosca con i cannoni che ha ricevuto dalla Lituania! Giovanni però ha un problema: deve da una parte rispettare il patto con Mosca e dall’altra obbedire al Tataro, pena la perdita del jarlyk d’indipendenza! Come fare? La soluzione che troverà sarà quella di tirarla per le lunghe, andare molto piano con i cannoni che pesano e impicciano e non arrivare mai…

Intanto gli uomini di Jedighei in giro da una città all’altra vicina requisiscono e saccheggiano. Persino il complesso monasteriale di san Sergio di Radonezh (oggi Sergiiev Posad) viene devastato! Per tre settimane va avanti così, finché Jedighei non viene raggiunto dalla notizia che in sua assenza suo figlio sta per essere rovesciato dal riapparso Toqtamysc’. A questo punto disposto a ritirarsi proclama che, se gli si paga un certo riscatto, se ne andrà. Si raccolgono 3000 rubli (una somma considerevolissima!) e i Tatari alla fine si ritirano…

Jedighei lascia una lunga lettera a Basilio tramandataci nei seguenti termini (testo adattato da ACM): “Ossequi da Jedighei a Basilio! Ecco qui il nostro jarlyk e ti dico che mi ha mandato il nostro khan d’accordo col suo consiglio di stato. Abbiamo saputo che tu hai in ostaggio i figli di Toqtamysc’ e per riprenderceli siamo venuti da te in forze. Non solo per  questo però perché ci è stato anche detto che i nostri mercanti e i nostri inviati quando vengono a farti visita sono trattati abbastanza male. Ciò non va bene! Nel passato il tuo udel ha sempre mostrato soggezione al khan e ha sempre pagato quanto doveva. Ha sempre trattato con deferenza i nostri messi e nostri mercanti e certamente lo sanno i tuoi anziani come avveniva prima. Ora invece non ascolti neanche loro e fai male! Quando era khan Temir Kutlug non ti sei fatto vedere. E’ diventato khan Sciadi beg (questo era il figlio di Jedighei!) e non hai mandato nessuno dei tuoi a fargli omaggio. Dopo tre anni che Sciadi Beg è stato il tuo khan, ora lo è diventato Bulat Sultan (nipote di Jedighei) e di nuovo nessuno dei tuoi è mai venuti a Sarai per l’omaggio dovuto. Ma non sei forse tu il Gran Principe? Non è un tuo uomo Teodoro Kosc’ka? Quello sì, che è un uomo dabbene e ti ha ricordato qui, presso di noi a Sarai! Non sono alla tua corte suo figlio Giovanni, il tuo detentore della cassa principesca e i vecchi consiglieri? E tu perché non li ascolti? E perché vuoi comportarti da canaglia e uccidere servendoti di loro? Non lo fare. I giovani non sanno mai consigliare il giusto! Se vuoi rimanere sul tuo trono allora ascolta gli anziani e pensaci per bene. Mandaci dunque quanto da sempre abbiamo avuto da voi come ai tempi del khan Giani Beg e vedrai che non avrai guai, né tu ne i tuoi sudditi… Se vuoi aumentare i tuoi territori con la conquista devi lavorare duro… E ricordati che se qualcuno dei tuoi parenti principi o la Lituania ti offendono, non vorrai forse vendicarti? Eccoci pronti allora a darti una mano. Manda l’informazione e Sarai sarà a tua disposizione. Non eravamo d’accordo per un rublo ogni due aratri? E dove è andato a finire questo denaro? …”

Il tono della lettera non è esattamente minaccioso, ma di rimprovero severo e dunque Jedighei non vuole proprio inimicarsi Basilio del tutto. Tuttavia Mosca è a terra. Il colpo inferto è stato duro e parecchi prigionieri sono stati catturati e trasferiti a Sarai. L’esito insomma è stato spaventoso e non si può che leggere le Cronache per capire quale grande colpo era stato sferrato quella volta di quel lontano 1408.

Fu dolorosissimo vedere … come un solo Tataro si trascinava dietro anche 40 giovani incatenati e come li batteva senza alcuna pietà. Molti erano caduti in battaglia, ma altri era morti anche per il gelo e per la fame e… in tutte le Terre Russe tutte le famiglie furono colpiti nel loro interno e le lacrime furono molte e inconsolabili e il dolore e i singhiozzi si udirono dappertutto da Rjazan’ fino a Galic’ e fino nel nord a Lagobianco… (testo ridotto da ACM)”.

A questo punto davanti a tutti questi insuccessi siamo convinti che Mosca è davvero incapace di tenere a bada i Tatari e Basilio ora come ora sarebbe impotente ad affrontare gli avvenimenti che lo incalzano. Se davvero c’era stato insomma, dov’era andato a finire lo spirito battagliero di Kulikovo Polje?

Neppure Vytàutas gli dà un aiuto. E’ forse d’accordo con quanto fatto da Sarai ai danni di Mosca? Già nel 1410 il Lituano aveva raccolto migliaia di Tatari contro i Cavalieri Teutonici… Come mai per Mosca adesso invece non si trovano modi per fermare il Tataro? Insomma, secondo noi c’è qualcosa che le Cronache  ci hanno nascosto.  Ci deve essere stato forse un accordo silente o segreto fra il Lituano e il khan di Sarai per fare in modo di tenere Mosca in crisi permanente, sebbene Sarai poi continui ad incolpare la Lituania per la protezione offerta a Toqtamysc’ e ai figli di questi.

Jedighei segue la solita politica in cui Mosca è ancora la realtà politica di una città piccola e ribelle sperduta nella foresta tanto che, quando aveva lasciato i dintorni l’ultima volta, restituisce Novgorod-della-Bassa ai figli del defunto Boris, così maltrattato da Basilio anni prima, e costoro sono addirittura incaricati (e per questo Jedighei mette a disposizione un buon contingente di Tatari armati) di rimettere ordine a Vladimir per reinsediare il Gran Baskak. Per Sarai occorre ridare una rinnovata dignità a Vladimir-sulla-Kljazma e mettere il guinzaglio a Mosca… Vladimir dunque verrà attaccata a mezzogiorno quando la gente dorme e sarà sottoposta al saccheggio.

In realtà non è un saccheggio di per sé, se non invece una punizione per i moscoviti che vi dominano. Le Cronache scritte dai monaci naturalmente metteranno in risalto in questa occasione il martirio di un certo prete di nome Patrizio al quale era affidata la Cattedrale dell’Assunzione in nome del Metropolita di Mosca. Siccome noi sappiamo che la chiesa era anche un forziere è chiaro che costui custodisse tutti quegli oggetti preziosi insieme coi fedeli rifugiati presso di lui in uno scantinato. I Tatari irrompono nella chiesa e, non riuscendo a trovare le ricchezze previste né persone da mandare schiavi, cominciano a torturare il prete perché sveli dove ha nascosto uomini e cose. Patrizio si fa maltrattare fino alla morte, ma non dice nulla e la gente e le suppellettili “sacre” sono salve. Non così la chiesa e lui stesso! Diventerà un santo martire contro gli infedeli! E la profanazione del tempio cristiano? Soltanto un avvertimento per Basilio e il suo Metropolita!

Vytàutas comunque è ancora impegnato nel nord con suo cugino Jogaila contro i Teutonici nella famosa Battaglia di Grunwald Tannenberg, e Jedighei sapendo di aver campo libero si spinge fino in Crimea, dove fa base Toqtamysc’ con i suoi fidi.

Mosca perciò langue senza poter reagire come vorrebbe. Muore anche Vladimiro di Serpuhov, ma nel suo testamento ribadisce ai suoi figli di servire il Gran Principe di Mosca senza mai ribellarsi! Anzi! Siccome Radonezh e il Monastero di san Sergio si trovano sotto la giurisdizione di Serpuhov, il testamento viene redatto proprio dall’igumeno del convento e i figli devono sottoscriverlo! Quindi niente defezioni in questa parte così importante della regione moscovita!

A Sarai a Bulat Sultan intanto è successo ora il khan di Astrahan Timur Aghlen, quando Vytàutas trionfante ritorna dal nord e di nuovo rinnova il suo appoggio ai discendenti di Toqtamysc’, e così nel 1412 uno di questi, Zeleni Sultan, riesce a salire sul trono di Sarai e a Jedighei dalle steppe ucraine viene impedito di tornare sul Volga.

Insomma le circostanze si fanno sempre più stringenti e a Mosca occorre un po’ di tempo in pace per riprendere le forze. Ritorna sempre il maledetto problema del pagamento del jarlyk al nuovo khan che si può coprire soltanto se Novgorod-la-Grande paga la famosa tassa annuale (detta “nera”). Così nel 1412 Basilio su sollecitazione del suocero, ora che a Sarai c’è un protetto di Vytàutas, scende per il Volga e si reca dal khan. Tuttavia all’arrivo di Basilio il nuovo khan è cambiato ancora perché Zeleni Sultan è stato ucciso da suo fratello Kerim Berdei che ora è sul trono. Qualche risultato l’ottiene, parlando sempre a nome di suo suocero, ma sono solo esiti parziali perché per il momento non ci sono né uomini né mezzi per prendere posizioni diverse.

Lasciamo per un attimo Basilio e rivogliamoci ancora a Vytàutas e ai suoi rapporti con la Chiesa Russa. Non era stato mai d’accordo con suo cugino che ora si mostrava sempre in preghiera e sottomesso ai voleri del Papa e dei suoi messi e si sentiva cattolico solo in superficie, se così si può dire. Per la lui la scelta religiosa era fatta in base alle convenienze politiche. Si racconta come ancora nel 1414 avesse permesso senza batter ciglio che si svolgessero nella bella stagione celebrazioni pagane in Samogizia! D’altro canto, apprezzava ancor meno l’atteggiamento papale ostile verso gli ortodossi. Così, se nelle regioni sotto governo polacco (e cioè di Jogaila) non erano permessi e puniti duramente i matrimoni fra cattolici ed ortodossi (questi ultimi non erano nemmeno ammessi in carriere statali!), Vytàutas nei suoi domini concedeva la piena libertà. Quel che però non gli andava era vedere il Metropolita sempre a Mosca mentre le maggiori prebende le raccoglieva nelle sue terre e fra i suoi sudditi. Non poté fare granché finché Cipriano fu vivo (quest’ultimo sapeva come tenerlo buono!), ma appena questi morì le dispute per il Metropolita ricominciarono. Abbiamo detto della proposta di monsignor Teodosio di Polozk e come invece da Costantinopoli arrivasse il nuovo prelato, Fozio, dopo ben tre anni d’attesa e di litigi.

Avevamo lasciato Fozio a Kiev nelle mani di Vytàutas il quale soltanto nel 1410, mentre aveva il suo bel da fare contro i Cavalieri, gli permise di andare a Mosca “in visita pastorale”. Non si deve però pensare che tutto si svolgesse in maniera così semplice. Quando Fozio tornò a Kiev appena passato l’inverno, Vytàutas gli fece sapere ancora una volta che se intendeva far la spola fra le due città doveva allora chiedere al Patriarca di nominare un altro Metropolita per i fedeli ortodossi di Lituania che lo sostituisse per sempre. E poi se ne sarebbe potuto restare a Mosca.

Che fare? Occorreva andare a Costantinopoli per discutere della faccenda. Stranamente però, quando Fozio chiese l’autorizzazione per partire, gli fu negato ogni permesso di viaggiare. Non restava che andarsene a Mosca di nascosto, con tutta la cassa metropolitana e seguire l’altro famigerato itinerario. Naturalmente i Lituani lo aspettavano al varco. Lo spogliarono di tutto e soltanto dopo lo lasciarono proseguire.

Intorno nel 1414 poi un sinodo speciale composto dal vescovo di Cernìgov, Polozk,  Galic’, Smolensk, Holm, Cerven’ e Turov, città abbastanza importanti nelle regioni sotto il dominio lituano, invocò l’intervento di Vytàutas contro Fozio perché costui stando sempre nella Bassa, trascurava le loro diocesi. Accusarono ancora una volta il Metropolita di raccogliere troppi soldi e di non passare alcunché alle diocesi lituane. Vytàutas accolse le lamentele, requisì tutte le proprietà metropolitane e consigliò ai vescovi di scegliersi un nuovo Metropolita esclusivamente per le diocesi ortodosse della Lituania (cioè per Kiev, Volynia e Lituania propriamente detta) e per la nomina ci avrebbe pensato personalmente. I prelati lo fecero, ma imposero che lo scelto fosse consacrato dal Patriarca non essendo il Sinodo in forza per poter nominare una tale carica.

Fozio, presente al Sinodo, sperava che il Patriarca avrebbe capito e si sarebbe rifiutato di consacrare un altro prelato al suo posto e cioè il monaco Gregorio Zamblak scelto dal sinodo “lituano”. Infatti questo fu respinto! Vytàutas non si rassegna e ricorre ad un’altra arma. Riunito il sinodo a Novogrudok fa proclamare dai vescovi presenti Gregorio Zamblak, Metropolita di Kiev. Si risalì ai tempi di Clemente Smoljatic’ tanti anni prima in cui a Kiev c’erano stati due Metropoliti contrapposti uno greco e uno russo e per giustificare questa presa di posizione. Il Sinodo approvò anche la mozione con la quale il nuovo Metropolita per le Terre Lituane e per la Volynia non avrebbe mai rinnegato la religione ortodossa né l’autorità del Patriarca costantinopolitano. Gregorio era però una persona molto intelligente e saggia e, benché avesse tutti i numeri per occupare il nuovo soglio di Kiev e Volynia, non voleva mettersi contro Fozio. Non riuscì però ad impedire che i prelati russi della Bassa accusassero in una lettera al Patriarca che Vytàutas volesse dividere la Chiesa Russa e volesse mettere gli uni contro gli altri usando Gregorio Zamblak stesso che, per questa ragione, fu maledetto e scomunicato.

E’ il 15 novembre 1415 e intanto a Mosca tutto tace…

Alla Battaglia di Grunwald Tannenberg del 1410 combattuta nel territorio sedicente polacco, ma ancora sotto l’Ordine Teutonico, fra Vytàutas e Jogaila da una parte e i Cavalieri dall’altra, i due cugini, giunti a Marienburg, la centrale dell’Ordine, avevano rinunciato a coronare la loro vittoria con la definitiva conquista del castello e del suo complesso perché di fronte all’assoluta imprendibibilità dell’enorme fortezza s’accorsero di non essere all’altezza dell’impresa. Malgrado ciò, dopo la battaglia alcuni termini dei rapporti fra i due cugini, fra Vytàutas e suo genero Basilio e fra Jogaila e i Cavalieri cambiarono.

Vytàutas ora diventava più libero nei territori “lituani” e si sentiva investito di una maggiore autorità sul destino e sulla vita della Bassa e sulle imprese politiche di Basilio e cambiava anche l’atteggiamento suo verso il “nodo” novgorodese! E questo spiega il tenore di una lunga lettera mandata congiuntamente da Jogaila, Vytàutas e Lugven a Novgorod senza informare Basilio nel 1412 in cui si legge:

Noi vi avevamo proposto di essere con noi  contro i Cavalieri e voi avete allora rifiutato. Bene, ciò non ha guastato molto i nostri rapporti con voi. Poi vi abbiamo mandato Nemir e Zenobio figlio di Bratosc’b e voi avete detto loro che Novgorod non può acconsentire alle richieste del Re di Polonia perché è in amicizia con la Lituania e perché è in amicizia anche coi Cavalieri. Noi abbiamo poi richiamato il principe Lugven, con i Cavalieri abbiamo stilato un atto di pace eterno, ma anche con gli ungheresi e con tutti i vicini confinanti. E voi? Avete dimenticato la parola data. Ancora avete combattuto contro le nostre genti e le avete persino offese chiamandole “pagane”. Per di più avete accolto il nostro nemico, il Principe Giorgio di Smolensk! Lugven ha detto anche che si scusa, ma deve sciogliere il giuramento fatto con voi a suo tempo, perché Lugven in questo patto è dalla parte nostra.”

In verità il tono è vagamente minaccioso, ma non prelude a scontri sanguinosi. Anzi! Nel 1414 Novgorod manderà una delegazione per trattare, come già aveva fatto Pskov qualche mese prima. E’ da notare che anche stavolta Novgorod viene trattato come uno stato a sé stante dai Lituani e non come dominio tradizionale moscovita…

Successivamente Lugven ritorna a Novgorod in pratica con l’ordine di costituire là un partito lituano affinché questa città si convinca “per autonoma decisione” a far parte del Regno di Vytàutas o per lo meno ad orbitare intorno ad esso. Anzi! Fu forse proprio per eliminare le perplessità dell’Arcivescovo sulla sua non necessaria obbedienza al Metropolita che risiede a Mosca che Vytàutas fece eleggere alla Metropolia di Kiev il già nominato Gregorio Zamblak!

Basilio, sornione, ma soprattutto privo di risorse materiali, aspetta che la situazione evolva…  Altro non può, se non cercare di avere un qualche peso nel decadente Impero Romano d’Oriente e sul Patriarca! In quegli anni infatti non solo manderà doni e sostanze a Costantinopoli, ma anche sua figlia andrà in sposa al futuro Giovanni VII Paleologo! Questa sua forzata inerzia evidentemente lascia più spazio a Vytàutas.

Il Lituano si scontra ancora una volta con Jedighei che, avendo ceduto Sarai ai figli di Toqtamysc’, aveva cercato di rifarsi un regno nelle steppe ucraine dove era rimasto bloccato anni prima, disturbando gli interessi lituani nella zona. Sappiamo che alla fine, pur di finire la sua vita in pace, il Tataro aveva mandato una lettera al Vytàutas accompagnata da tre cammelli coperti da eleganti drappi rossi più 27 cavalli della steppa e in essa c’era scritto che sia Jedighei sia Vytàutas erano ormai dei vecchi (ritorna sul suo modo di vedere) e che dovevano lasciare il loro posto ai giovani. Il sangue che avevano versato era ormai stato inghiottito dalla terra e che la cattive parole che si erano dette l’un l’altro erano state portate via dal vento per sempre. Dunque ora i loro cuori erano vuoti dall’odio e dovevano far la pace! E la pace fu fatta, proprio mentre giungevano le prime notizie di un vecchio flagello proveniente dalle steppe: La peste bubbonica.

Nel 1417 infatti ecco come è descritta nelle Cronache:

Si è colpiti improvvisamente e improvvisamente si cade come urtati da un grosso animale e la febbre comincia a divorarti. Dicono di aver sentito un colpo nel mezzo del petto o fra le scapole e di non sapersi tenere più in piedi. Ed ecco con la febbre si comincia a tossire senza potersi fermare, ma non è sputo che viene dalla bocca, ma sangue… E poi si comincia a sudare e si è percorsi da brividi e tremiti terribili che fanno battere tutte le giunture. Compaiono poi bubboni su tutto il corpo, specialmente fra le cosce o sotto le ascelle o sul collo e talvolta sotto gli zigomi deformando il viso dell’infermo orribilmente. Si muore dopo pochissimi giorni oppure si sopravvive svuotati e dimagriti come non mai, ma a questi miracolati è concesso vivere per sempre in mezzo ai morti! Se il bubbone è blu allora ci sono solo tre giorni di vita ancora, se invece è rosso allora c’è la speranza di sopravvivere…”

La peste arrivò dal Baltico. Attraversò Novgorod, Ladoga, Russa, Pskov, Mercato Nuovo, Tver, e s’insinuò funesta dappertutto, fin nei monasteri. Ne morivano tanti che i vivi non riuscivano più a seppellirli e dovevano lasciarli lì sulla strada ai corvi e ai cani. Certe case rimasero con due o tre persone vive, delle venti o trenta che vi abitavano, e moltissime rimasero completamente vuote. I credenti che volevano morire in vesti d’angelo, come si diceva a quel tempo, appena sentivano qualche stranezza dentro il proprio corpo correvano a farsi monaci e così a volte infettavano tutto un convento, senza che nessuno lo sospettasse.

Chi l’aveva portata? E perché Dio puniva i cristiani così violentemente? Sulla Piazza del Mercato di Novgorod-la-Grande furono bruciati ben 12 maghi (volhvy) perché accusati di portar la peste! E non bastò…

Contro il flagello, oltre alle preghiere e al digiuno, la Chiesa trovò un modo nuovo per combatterlo in città, naturalmente senza successo: La costruzione di una chiesa in “un solo giorno”, chiamate in russo obidenki ossia “dell’espiazione dei peccati”! Naturalmente non erano chiese molto grandi, erano più che altro cappelle, ma in quei terribili giorni si videro persone affaticate a trasportare tronchi sulle spalle e sui cavalli, sulle barche e con le gomene a piedi, e poi a lavorarli con ascia e sega per costruire finalmente la chiesa, guardando il sole che pian piano calava, e, appena finita, si correva a chiamare il prete per benedirla e a dir la prima messa. Solo così tutta la gente intorno si sentiva quasi sicura di salvarsi dal flagello. E fu veramente terribile quest’ultima ondata pestifera. Un visitatore tedesco, un certo Kranz, riferì che a Novgorod e dintorni  erano morte ben 80 mila persone in soli sei mesi! La stessa cosa avvenne a Mosca e a Tver… Come conseguenza della peste, seguì di nuovo una diminuzione delle forze lavoro e una pesante carestia sfociando in una crisi economica mai vista che non trovava più sbocco! Aggiungiamo che questo decennio si chiuse con altri eventi naturali terribili. Fra gli altri:

  • nel 1419 cadde la neve a settembre per settimane facendo morire tutte le messi
  • nel 1421 un’inondazione tenne sott’acqua Novgorod-la-Grande per settimane
  • nel 1422 la temperatura nella Bassa scese a livelli bassissimi e raramente raggiunti prima con conseguente pesante carestia…

Facciamo allora il punto della situazione per prepararci agli eventi che seguono.

Se abbiamo avuto l’impressione che Mosca stia preparando chissà quale riscossa contro le numerose ingerenze dei parenti lituani, in realtà non è proprio così. L’udel di Basilio è un regno non tanto grande, in grande crisi economica, ma anche politica e morale, proprio perché ha da contrastare un suocero che, malgrado alcune incertezze, sta andando sempre più in auge in tutte le Terre Russe battendolo  in popolarità.

Costantinopoli invece è in piena decadenza, sia materiale che spirituale, in seguito al rafforzamento della potenza turca negli ex territori dell’Impero Romano in Anatolia e in Tracia e ciò porta, com’è naturale, all’indebolimento cronico dell’autorità del Metropolita e al suo allontanamento dalle eparchie russe, senza avere alle spalle un forte e autorevole Patriarcato. I diversi vescovi ortodossi dunque sono fondamentalmente incerti sull’autorità del loro superiore e, chi più e chi meno, seguono delle politiche molto autonome nella gestione dei propri affari. Di qui gli sforzi sempre maggiori di Fozio, che si sente unico responsabile della Chiesa Russa, a combattere come può per affermare la propria autorità personale, partendo dall’eparchia più importante ossia da Novgorod.

Brevemente possiamo dire che le più importanti diocesi nella Bassa rimangono quella di Vladimir-sulla-Kljazma e quella di Rostov-la-Grande, ma sono un nulla rispetto a Novgorod. In particolare Mosca in sé ha un’importanza religioso-politica solo per la presenza del Metropolita entro le mura del suo Cremlino, ma niente di più. Per di più la Metropolia della Rus di Kiev è ormai divisa da Vladimir o da Mosca. L’altro  Metropolita Gregorio Zamblak è ancora in funzione e, quando morirà nel 1419, lascerà il suo posto a Gerasimo che sarà consacrato dal Patriarca di Costantinopoli nel 1433! La frattura non si risanerà mai più!

Neppure il Papato Romano ha più l’autorità che ha avuto finora. Nel 1408 si giunge ad avere ben tre Papi! Inoltre si va diffondendo l’idea del cosiddetto Conciliarismo in cui il Papa di Roma non è più un sovrano anche temporale (e addirittura il più autorevole in quanto sedicente rappresentante del potere divino universale), ma deriva tutta la sua autorità dal Concilio dei Vescovi e dei Prelati che lo eleggono e che quindi hanno la prerogativa di deporlo, in caso di comportamenti ritenuti gravemente illeciti.

Nel 1414 finalmente si apre il Concilio di Costanza, molto importante pure per il mondo slavo in generale  sebbene indetto dal Papa di Roma. In questa sede viene riconosciuta l’idea di nazione che fino a quel momento non era impersonata dal popolo e dalla cultura particolare, ma dal principe che la dominava, e viene sancito il fatto che “…da padrone che era stato, il Papa era ora il servo della Chiesa, un semplice funzionario, e la Chiesa poteva sempre limitare, modificare o anche togliergli il potere che il Concilio Generale gli aveva conferito… (citato da W. Ullmann)”.

Di qui si può subito comprendere perché i Cavalieri Teutonici (e il loro ramo Livonico) cominciano a muoversi più indipendentemente di prima ed addirittura presto si sentiranno in grado di costituire uno stato a sé, non più dipendente dal Papa e con politiche diverse, specie verso i popoli della Pianura Russa, e di qui, sottolineiamolo, verso Novgorod che non sarà più vista come una terra di scismatici o di eretici, ma come un “possibile” stato col quale confrontarsi e con il quale trattare.

E Mosca? Segue pedissequamente le politiche lituane (non ne ha altre!) perché questo è l’unico modo per non essere schiacciata fra Vilnius e l’agonizzante Sarai.

Su consiglio di Vytàutas e su pressione della moglie Sofia, Basilio ha già introdotto il principio giuridico che sul trono di Mosca non sarà più il principe più anziano della famiglia a sedere, ma un figlio in vita del principe defunto, in modo che non ci siano spezzettamenti del territorio e non nascano inutili lotte famigliari, come è stato finora. Addirittura ci sono stati tramandati ben due testamenti spirituali stesi molti anni prima da Basilio. In uno destina il suo patrimonio al primogenito e nel secondo, steso evidentemente un po’ più tardi, fa la stessa cosa, ma stavolta lascia tutto a Basilio Junior. Ciò è spiegabile col fatto che ebbe tre figli maschi e che due gli premorirono, uno in tenera età e l’altro a nome Giovanni nel 1417. Nei due documenti comunque è chiaro invece che moglie, figli e nipoti sono affidati interamente alla protezione del suocero Vytàutas o del suo successore affinché vegli che non ci siano inutili liti e confusione dopo di lui.

Nel 1420, quando si viene a sapere delle sue intenzioni testamentarie, c’è uno scontro con suo fratello Costantino sulle nuove regole sul trono di Mosca rispetto alla tradizionale lestviza, tanto che Costantino è costretto a cercare rifugio a Novgorod…

Questi fatti sconvolsero per qualche tempo la Bassa, disconoscendo ogni autorità giurisdizionale a Basilio sul patrimonio di famiglia, com’era invece era stato nel passato, e di qui il timore di questo principe per assicurarsi la protezione del suocero. A parte ciò, Vytàutas, per conto suo, non aveva grande interesse a mantenere Mosca e dintorni troppo potente nella Bassa e considerava la città in cui, chiunque sedesse sul trono, non era altro che il suo luogotenente. L’unico tassello che manca per avere un impero consolidato e ricco sotto di lui è Novgorod-la-Grande…

Abbiamo già raccontato come la Lituania ha già cercato di conquistare la città del nord e non c’è riuscita per varie ragioni, mentre Mosca è ricorsa e ricorre ai continui ricatti economici e religiosi , anch’essa con fallimenti palesi. Sembra perciò che l’unico modo per sgretolare o deviare il potere bojaro-democratico della repubblica attraverso sia il finanziamento di partiti a favorevoli a Mosca o a Vilnius. Entrambi quindi si mettono a sovvenzionare fazioni politiche bojare pro o contro e, siccome poi queste fazioni si compongono anche del popolino che vota nella Vece (l’assemblea popolare cittadina), è difficile controllare tanta gente “anonima” da lontano… se non si coinvolge la Chiesa che può incidere profondamente dagli altari sulle coscienze cittadine individuali. Insomma ancora una volta torna in ballo l’Arcivescovo! Per questo motivo faremo sempre più attenzione alle persone che siederanno sulla cattedra di Santa Sofia di Novgorod.

In quello stesso anno i novgorodesi incontrano i Cavalieri Livonici sulla Narva. Nell’incontro c’è il Maestro Provinciale, Siefert, il Commendatore livonico di Reval, Dietrich, e, in una specie di rappresentanza moscovito-lituana (ma senza alcun peso politico), il principe Teodoro figlio di Patrizio il Lituano. Per Novgorod c’è il posadnik in carica più un altro collega in pensione e tre bojari. Viene siglato un accordo per la definizione dei famosi  confini fra la repubblica e le aree rivierasche del Baltico e ci si accorda che per i traffici e l’eventuale logistica si discuterà con l’autorità della città di Reval in presenza di Monsignore, a Novgorod. Dunque il Volga e la sua Bassa contano sempre di meno.

Nel febbraio del 1425 muore Basilio, in seguito alla nuova ondata di peste, e lascia il trono, almeno secondo le nuove regole “latine” di successione, a suo figlio di appena 10 anni di nome pure Basilio (che abbiamo chiamato appunto Junior, come diremmo noi oggi, ma noto nella storiografia come Basilio II) sotto la tutela di sua madre Sofia. Questo ragazzino era il più piccolo rimasto vivo. Anzi! Alla sua nascita non c’erano stati presagi favorevoli: Sua madre stava quasi per morire e, se non fosse stato per l’intervento divino (come riportano le Cronache) di san Giovanni Battista e del suo Monastero, madre e figlio sarebbero morti.

A parte la nota folcloristica, dovrebbe filar tutto liscio e invece ad opporsi a quella successione è, primo fra tutti, lo zio Giorgio che vuol sedere sul trono appellandosi alle vecchie regole e al testamento di Demetrio del Don! Naturalmente trova l’opposizione dei bojari e della cognata Sofia! Ci sono lunghe trattative e un armistizio… che dura fino al 29 giugno 1425!

Giorgio evidentemente non è soddisfatto e si ritira nella sua Galic’ ad affilare le armi. La questione deve essere risolta e chi la può dirimere? Il khan! Nel 1431 zio e nipote perciò si recano a Sarai e, guarda caso, il jarlyk è di Basilio, con una calda raccomandazione da parte del khan Ulu Muhammed di pagare il famoso vyhod ossia la tassa annuale di soggezione a Sarai.

Pieno di rancore Giorgio, non appena sa che la cerimonia d’incoronazione del nipote sta per aver luogo addirittura, scandalo enorme!, non più a Vladimir, ma nella cattedrale moscovita dell’Assunzione a Mosca in presenza del rappresentante del khan, manda i suoi ad impedirlo minacciando subito la guerra.

Il fatto che lo zio Giorgio tenga molto al trono di Mosca denuncia due cose: O il riconoscimento della maggiore importanza strategica e politica di questa città sulle altre della Bassa oppure una cassa piena di soldi da saccheggiare, ma lo capiremo meglio nel seguito del nostro racconto.

A Kostromà, Basilio Junior (in realtà, sappiamo benissimo che il ragazzo non è ancora in grado di far politica alla sua età e quindi è sua madre coi bojari che agisce al suo posto) cerca di riunire anche gli altri zii Costantino Andrea e Pietro intorno a sé affinché in qualche modo riconoscano la sua autorità e così convincano Giorgio di Galic’ con la forza della ragione evitando scontri armati.

Costantino promette. Si prende l’incarico di placare le ire del fratello e riesce infatti a concludere con lui una pace di un anno… ma armata. In realtà Giorgio ha acconsentito perché gli occorre tempo per riuscire a mettere insieme un’armata abbastanza consistente e delle alleanze opportune prima di muovere ulteriori passi contro Mosca. Non è facile raccogliere armati dopo carestie e pestilenze nei villaggi spopolati dalle ultime calamità e i giovani che si raccolgono intorno a lui sono solo contadini sopravvissuti che cercano di far fortuna rispondendo all’appello e alle promesse del principe di un ricco bottino se riuscirà ad entrare nel Cremlino.

Mosca è perciò in pessime condizioni e, quando Sofia si rivolge al padre per aiuto, questi consiglia di mandare a Galic’ il Metropolita al quale di solito tutti danno ascolto. Fozio si reca da Giorgio, ma, quando quest’ultimo gli fa vedere l’esercito che ha raccolto pronto a partire contro Mosca, diventa chiara la ridicolaggine della minaccia armata e la falsità della sua intenzione di pace. Fozio s’accorge bene che per  Giorgio armare uomini e assaltare Mosca è davvero impossibile nelle condizioni in cui adesso si trova. L’unica realtà è che non ha rinunciato a Mosca in alcun modo e, adiratosi della visita praticamente inutile, lascia Galic’ e se ne torna a casa.

Intanto scoppia ancora la peste che miete moltissime vittime fra i principi, oltre che fra la gente comune, e di conseguenza nella Bassa ci sono dei “naturali” aggiustamenti del potere.

Sempre a Galic’ in particolare, i contadini, visto come si muore velocemente e senza scampo, cominciano a mormorare contro Giorgio dicendo che la colpa di questo malanno è sua, perché ha mandato via il Santo Metropolita e costui, per vendicarsi, ha attirato gli spiriti maligni che ora uccidono senza pietà. Anche Giorgio ne è convinto tanto che corre verso Fozio che si era attardato sulla via del ritorno. Raggiuntolo, chiede che benedica la sua gente affinché la peste finisca e promette che farà la pace come è stato richiesto, accettando Basilio II quale principe anziano.

Fozio acconsente, ma alla peste segue una grave siccità e, a questa, ancora una volta nel ’42 e dopo un intervallo ancora nel ’48…

Non dimentichiamo che tutta l’area intorno a Mosca è il “granaio” della Bassa e di Novgorod e  che quando avvengono questi malaugurati eventi naturali, si corre sempre il rischio di impoverimento non solo economico, ma soprattutto demografico sia per le morti sia perché i contadini fuggono e abbandonano le aree maledette. Un mancato raccolto poi non significa soltanto morte per i contadini locali, ma anche difficoltà di approvvigionamento alimentare per Novgorod-la-Grande.

La situazione favorisce invece Vytàutas che riprende la sua politica di “assimilazione” delle Terre Russe. A Sarai c’è Ulu Muhammed, il figlio del suo pupillo Gelal ed-Din che aveva vissuto presso di lui quando era ancora bambino. A Mosca c’è suo nipote Basilio II e sua figlia Sofia che fa da reggente! Perciò sembra giunto il tempo di fondare un nuovo Regno Russo sotto il suo scettro e la sua corona a modello del regno che ora ha Jogaila.

Questo suo progetto ha però un punto debole: Vytàutas non ha eredi al trono di Lituania, tutt’al più può nominare Basilio II suo erede, ma come imporlo ai sudditi lituani e come annullare gli accordi di Krevo con suo cugino? Bisogna affrettarsi però perché è già in un’età avanzatissima…

E poi al quadro manca sempre Novgorod-la-Grande.

La repubblica in quegli anni di completo disfacimento degli ordini politici pregressi aveva già cercato l’avvicinamento con Vytàutas, riconoscendolo come sovrano maggiore dell’area, ma questi aveva ignorato il bonario tentativo e nel 1426 era entrato nei Quinti intenzionato a condurre una lunga campagna contro la città, dopo essersi presa Pskov. Per fortuna però, poi si era arrestato a causa di altre priorità e si era “accontentato” di 10 mila rubli d’argento per lasciare il Quinto di Ladoga dove era riuscito a giungere.

Nel 1427 c’è un nuovo accordo con Jogaila sulla divisione dei poteri nelle Terre Russe e finalmente a Vytàutas, nel 1429 alla famosa Conferenza di Luzk di cui parleremo più avanti, sarà riconosciuto il diritto di farsi proclamare Re.

Intanto Novgorod ha il tempo di reclamare un accordo sui confini fra Lituania e i Quinti, simili a quelli che sono stati fissati con Mosca anni prima sull’Ugrà. Vytàutas, ancora una volta, decide di risolvere la questione con la pressione armata. Fa fondere una bombarda (sono le prime grosse armi da fuoco arrivate dall’Occidente) così pesante da dover essere trainata da ben 40 cavalli e attacca la fortezza di Porkhov sul fiume Scelon’ sulla via per Novgorod. La bombarda spara e sfonda una parte delle mura, ma allo stesso tempo va in mille pezzi uccidendo molti lituani intorno. Lo spavento è grandissimo, ma l’effetto sulle autorità novgorodesi di Porkhov è immenso. Il posadnik della fortezza, Gregorio, e il bojaro “aggiunto”,  Isacco Borezkii (notiamo questo nome) infatti decidono immediatamente di capitolare, mettendo mano alla borsa. Da Novgorod arriva persino l’Arcivescovo Eutimio con l’incarico di chiudere la questione a tutti i costi, prima che Vytàutas vada oltre con queste armi diaboliche.

Porkhov pagherà 5000 rubli (e dovrà essere ricostruita) e Novgorod altri 5000 più un migliaio per il riscatto dei prigionieri. Vytàutas allegramente incassa e promette formalmente che non entrerà mai più nei Quinti di Novgorod.

La città in quegli anni non stava attraversando, malgrado tutto, un buon periodo. Tutte le sue attività risultavano sconvolte a causa sia delle calamità naturali che continuavano a susseguirsi sia delle conseguenze che queste provocavano nel lungo termine e sembrava che l’unico modo per uscire dalla crisi fosse la pace e l’unione con le altre forze vicine, fermo restando quanto fosse difficile scegliere fra l’amico e chi non lo era… Dal secolo d’oro della città sono ormai passati quasi 150 anni e il mondo intorno si è trasformato. I commerci internazionali hanno cambiato strada e prodotti e le calamità naturali hanno impedito un ingrandimento del territorio e le vecchie mura raccolgono più o meno ancora gli stessi abitanti del XII-XIII sec. sebbene siano sempre un bel numero per gli standard del tempo di varie decine di migliaia di abitanti.

La frequentazione degli stranieri non è aumentata e si è diversificata. Con la venuta dei Cavalieri e con l’introduzione delle nuove tecniche di coltivazione ormai ben sperimentate nella vallata del fiume Reno, lungo la costa baltica alcune coltivazioni si sono intensificate e danno ormai dei raccolti tali da permettere addirittura l’esportazione. La segala ormai ha un’importanza primaria al posto del frumento e dai porti di Riga o Danzica è possibile comprarne, attraverso l’Hansa, in quantità consistenti. A Novgorod l’acquisto dei cereali era stato sempre fatto a livello collettivo e, una volta fissato il prezzo d’acquisto e di vendita, veniva fatto arrivare in città e rivenduto. Altre derrate il cui consumo si era intensificato erano le radici ipogee come le rape o le varie liliacee (aglio, cipolla, dille etc.), mentre i frutti di bosco strettamente stagionali continuavano a raccogliersi coi metodi vecchi. Se qualche frutto si riusciva a seccarlo o a conservarlo addirittura in salamoia, poi si poteva consumarlo durante l’inverno o venderlo al mercato.

La campagna novgorodese al nord del lago Ilmen era poverissima sebbene da poco fosse anche arrivato l’aratro con il vomere di ferro nei campi a sud del lago, dando qualche vantaggio in più ai contadini. Nei Quinti novgorodesi dunque la vita continuava ad essere precaria e l’unica attività che rendeva perché permetteva lo scambio con le derrate “meridionali” era la caccia ai piccoli roditori da pelliccia. Di questi animaletti naturalmente, se la pelliccia veniva venduta, la carne veniva consumata o affumicata per mangiarla in altri momenti di necessità.

Dal punto di vista spirituale Novgorod continuò ad essere una città coltissima, a tutti i livelli, ed è sintomatico di questa situazione che proprio qui si poterono elaborare teorie di riforma della vita religiosa, senza elaborare invece teorie politiche per una nuova vita civile come stava accadendo con le borghesie occidentali. Probabilmente si era così avvinti agli insegnamenti della Chiesa, alla staticità della propria vita e della società che un cambiamento di costume o di governo era visto come un peccato grave. E la Chiesa Russa cominciò a diffondere l’idea che tutto il male venisse proprio dalla “latinità”…

Odiare la latinità costò moltissimo a tutta questa parte d’Europa perché in questo modo si sottrasse tutta una massa di persone all’evoluzione tecnologica molto più rapida che coinvolse l’Occidente, ma questo accadrà successivamente. Qui al contrario nelle Terre Russe si inseguiva un ideale di purezza ormai sorpassato, come quello della santità del sovrano e della sacralità del suo agire e anche Novgorod, come diremo, condivise questo modo di vedere. Monsignore infatti capì che per mantenere lo status della sua posizione di potere, occorreva o cristallizzarsi nella struttura immobile della Chiesa Russa di fattura moscovita oppure entrare nel sistema di potere occidentale e legarsi al Papa come principe arcivescovo. La scelta in senso autonomo “occidentale” comunque non sarà fatta e accadrà negli ultimi tempi che saranno i namestniki a lasciare la città e non la città a cacciarli via per inadempienza ai loro compiti. I namestniki stessi constateranno che la società cittadina è diventata… troppo conservatrice.

Dobbiamo immaginare che la Vece (l’Assemblea legislativa cittadina) cominciò ad essere adunata molto più spesso, ma continuò ad essere una specie di spettacolo in cui gli astanti erano invitati e pagati da coloro che facevano da attori protagonisti, costituendo così un pubblico plaudente su comando, ma senza contare politicamente. A Novgorod non c’è un Robespierre o un posadnik coraggioso capace di trascinare le folle dietro un programma politico chiaro. Noi purtroppo abbiamo poche informazioni sulla vita quotidiana della gente comune poiché le Cronache si interessano sempre della classe al potere e poco ci dicono, se non per cenni vaghi e indiretti, su come scorreva una giornata di un cittadino comune. Possiamo solo stimare la popolazione della grande città e l’abbiamo fatto, ma, lo sottolineiamo, con grande approssimazione.

Ad esempio, da quel che abbiamo detto prima sul riscatto pagato a Vytàutas a Porkhov, sappiamo dai documenti che per raccogliere tutti questi soldi, 11000 rubli e dunque una somma enorme, la città aveva tassato gli abbienti per 1 rublo ogni dieci uomini da loro dipendenti per cui possiamo dedurre che più o meno la gente sotto il diretto governo novgorodese, compresa la città stessa, era di 110000 persone almeno.

A cosa serve questo dato? Ci dà il metro per giudicare l’importanza che Novgorod-la-Grande aveva per i destini delle Terre Russe tutte e per chiunque se ne fosse impadronito o se la repubblica si fosse costituita in stato a sé.

In questi anni, per quanto detto, Mosca e Vilnius sono occupate a cercare di prevalere l’una sull’altra, ma il punto di vista di Vytàutas, specialmente, è molto diverso da quello di Basilio II sulla repubblica del nord. Quello pensa di poter decidere dei destini della Bassa senza interferenze da parte del nipote che comunque ne potrebbe diventare l’erede e Sofia, col figlio, che vorrebbe assecondare il padre, ma che è intenzionata seriamente a radunare le Terre Russe sotto il proprio scettro (ossia di suo figlio Basilio II). In questa tenzone c’è un segno importante: La Chiesa di Roma ha intensificato la sua azione ideologico-religiosa, nelle Terre Russe sotto il dominio di Vytàutas, da quando a costui  è stata ventilata la possibilità di incoronarlo Re cattolico… come Jogaila. E per questa corona Vytàutas è disposto a tutto. Vuole dominare però un regno grande e ricco e perciò tutte le guerre e guerricciole nelle Terre Russe che il principe lituano favorisce o conduce personalmente sono lotte per il mercato, per assicurarsi un’economia ricca e favorevole alla sua Lituania, senza la quale un regno non potrebbe sussistere. Con la speranza di diventare re ed acquisire automaticamente attraverso la religione i diritti alla conquista delle terre del nordest, aveva persino coinvolto l’Imperatore del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, Sigismondo.

Purtroppo i prelati polacchi che Vilnius aveva mandato al Papa a perorare la candidatura a re erano dalla parte di Jogaila e prospettarono ben altra situazione a Roma, ora che tutto sembrava indicare che unire la Chiesa Ortodossa con quella Cattolica Romana era un traguardo prossimo. In altre parole, se Vytàutas avesse ricevuto la corona di Re della Lituania e della Rus’, sicuramente avrebbe dovuto ascoltare le richieste separatiste dei prelati russi, a partire da quello di Novgorod, e chi poteva garantire che gli eretici sarebbero tornati nel seno della Chiesa di Roma? I prelati russi avrebbero impedito qualsiasi opera di proselitismo ai monaci cattolici, anche in Terra Lituana! Già c’erano stati episodi di intolleranza a Polozk… Dunque c’erano dei problemi e delle trattative ancora da condurre…

La buona occasione per Vytàutas fu proprio la Conferenza di Lucesk (oggi Luzk in Volynia) indetta per vedere tutte le possibilità di mettere pace nelle Terre Russe.

Alla conferenza sono presenti Jagellone Ladislao con l’attuale sposa ed altri notabili polacchi. C’è l’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo e il re danese Eric in rappresentanza della Livonia. Naturalmente c’è Basilio II (con sua madre Sofia) accompagnato da Giovanni di Rjazan’ e Boris di Tver e dal Metropolita Fozio. Ci sono i khan dell’Orda di Sarai e quello dell’Orda di Crimea. E’ presente il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri Portaspada di Livonia e il rappresentante dei Cavalieri Teutonici. C’è infine il legato del Papa e il rappresentante dell’Imperatore di Bisanzio…

Si devono discutere molte cose, ma solo alcune ci interessano da vicino e cioè:

  • Come riunire le due Chiese, Cattolica Romana ed Ortodossa
  • Concedere la corona regale a Vytàutas
  • Separazione politica della Lituania dalla Polonia

Quando la conferenza si chiuse, in realtà nessuna delle problematiche fu risolta, ma almeno per quanto riguarda Vytàutas si riconobbe che, come signore cattolico e secondo gli accordi fatti con Jagellone, potesse essere incoronato re.

Vytàutas è ormai all’apice della sua gloria e non può più aspettare per avere la benedetta corona, ha quasi ottant’anni! E così il novello futuro re preparò tutta la cerimonia relativa. In primo luogo ordinò la corona in Germania a Norimberga che fosse la più bella e la più ricca possibile e poi organizzò la grande festa.

Non si può evitare di dare qualche dato numerico su questo grande spettacolo organizzato a Trakai,  nel castello nuovo appena finito vicino a Vilnius, poiché dà l’idea del modo di fare di quei tempi.

Si prepararono per il consumo 700 botti di mjod (l’idromele, una specie di acquavite del tempo), oltre al vino per gli stranieri e la birra. Furono scannati ben 700 fra vacche, tori e manzi, 1400 montoni, 100 uri, altrettanti porci enormi e altri cibi prelibati. I banchetti cominciarono subito e continuarono per ben 2 mesi in attesa dell’arrivo della corona e del Legato Papale che l’avrebbe posta sul capo di Vytàutas in nome del Papa di Roma.

Purtroppo Jagellone manovrava affinché tale incoronazione, che avrebbe portato ad una divisione della Lituania dalla Polonia, non avvenisse e ciò, in quel momento storico (siamo nel 1430), significava la fine del potente stato che aveva sognato. A causa di ciò, ma senza far trasparire nulla né negli atteggiamenti né nelle parole, decise di impedire l’entrata in Lituania del Legato Papale (certamente col consenso di Sigismondo). La corona venne sequestrata alla frontiera, fatta in pezzi e divisa fra gli ufficiali doganali.

Risultato? Vytàutas fu talmente scosso quando gli fu dato l’annuncio di quel che era successo che dopo qualche mese, colto da un colpo apoplettico, morì!

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