Drieu La Rochelle: il mito dell’Europa

Voi morirete democratici o risorgerete trasformandovi in fascisti

Qualche anno fa un libro di Paul Serant, Romanticismo fascista, rivelava al distratto pubblico italiano l’opera e la figura di Pierre Drieu La Rochelle, lo scrittore collaborazionista morto suicida nel 1945. Quasi contemporaneamente in Francia si cominciava a dare alle stampe gli inediti di Drieu: Les chiens de paille, Recit secret, Histoires deplaisantes etc. Sulla scia di questa « riscoperta » in Italia venivano tradotte alcune delle opere più significative: Gilles, La commedia di Charleroi, Fuoco fatuo, mentre recentemente l’editore Volpe ha pubblicato una importante raccolta di scritti politici.

Diciamo subito che Drieu non è il solito scrittore che ci si decide a « riscoprire » per impinguare congiunture librarie o booms editoriali. Non è uno di quei minori che ogni tanto vengono levati dall’oblio per illustrare questo o quell’aspetto particolare di una letteratura. Drieu è una forte personalità, uno scrittore di grande temperamento, un romanziere, un polemista, un saggista come pochi ne ha prodotti l’Europa negli ultimi cento anni.

A questo punto ci si può chiedere il motivo della (relativamente) scarsa notorietà di Drieu all’infuori dello ambiente francese. Il fatto è che Drieu è stato uno di quelli che hanno compreso che non si possono servire due padroni, la verità e la notorietà, e che hanno preferito essere compresi poco e male nel loro tempo per dire cose la cui validità si manifesta intera a distanza di decenni. « Inattuale », come già Nietzsche lo era stato, Drieu ha lasciato che la sua attualità si dispiegasse gradualmente nel tempo.

Scegliendo la verità Drieu ha contemporaneamente scelto l’impopolarità. Istintivamente, infallibilmente egli si è ribellato alle menzogne del momento dicendo contro di esse le verità più aspre e più spiacevoli.

Valoroso combattente della Grande Guerra, ferito a Charleroi e a Verdun, urta i sentimenti della censura patriottica con i suoi primi versi, pubblicati nel 1917 :

«A voi Tedeschi — con la mia bocca per lungo tempo muta per ordine militare — io parlo. Mai vi ho odiato. — Vi ho combattuto con volontà inflessibilmente tesa ad uccidervi. — La mia gioia è sboccata nel vostro sangue. Ma voi siete forti. — Non ho potuto odiare in voi la forza, madre delle cose».

Nell’immediato dopoguerra, quando il suo paese esulta per la revanche e manda truppe sul Reno e nella Ruhr, Drieu scrive quella terribile Mesure de la France dove lucidamente afferma che 40 milioni di Francesi non rappresentano più nulla di fronte ad 80 milioni di Tedeschi, 150 milioni di Americani, 180 milioni di Russi. Scriverà più tardi: « Non credevo alla vittoria. Troppi Americani, troppi negri».

Dopo la crisi del ’29, quando l’Europa è presa nella ineluttabile stretta politica che sboccherà soltanto in una nuova guerra, egli darà ancora maggiore scandalo. Mentre i suoi amici degli anni ’20, i Malraux, gli Eluard, gli Aragon si schierano dalla parte del comunismo egli si proclama apertamente fascista: «.Sono diventato fascista perché ho visto i progressi della decadenza. Ho veduto nel fascismo il mezzo per frenare ed arrestare questa decadenza ».

socialismo-fascistaNel 1936 entra nel partito di Doriot, nel ’40 si impegna a fondo nella collaborazione. Ancora egli vede più in là dei Francesi del suo tempo. Nel romanzo Les chiens de paille, scritto nel 1943, il protagonista Constant si beffa dei «patrioti» e dei resistenti: « Voi volete conservare un patriottismo provinciale all’epoca degli imperi, all’epoca in cui gli aerei varcano gli oceani in poche ore. Siete liberi di farlo. Perseverare nel proprio essere fino alla decomposizione è una fatalità alla quale ben pochi possono sfuggire… Nel 1940 né la Francia è stata vinta ne la Germania ha vinto. Tutto questo non aveva gran che a che fare con la Francia e la Germania. La Germania non è che uno strumento, come l’America e la Russia, uno strumento molto meno brutale e schiacciante di queste ultime due… Io vedo folle immense, mostruosamente armate, in marcia per ‘il mondo per costruire imperi di dimensioni continentali. Questi imperi saranno atrocemente barbari perché l’estrema civilizzazione genera l’estrema barbarie».

Infine, l’ultimo scandalo e il più grande, egli si separa non solo dai Francesi del suo tempo ma da tutti gli uomini del suo tempo, anche i fascisti, che non sono stati abbastanza rivoluzionari, anche i Tedeschi, che non hanno saputo colpire con sufficiente intelligenza, e, attraverso una serrata meditazione metafisica, si rifugia nel suicidio : «Ho bisogno di appartenere contemporaneamente a questo mondo e all’altro, dì vivere nell’azione e nella contemplazione, dentro e fuori dai confini della creazione».

* * *

Questo libro vuole offrire una immagine succinta ma completa dell’opera e della figura di Drieu la Rochelle. Esso è diviso in tre parti, ciascuna di autore differente, ciascuna dedicata ad un particolare argomento, ma tutte collegate e comunicanti.

La prima parte tratta della figura di Drieu, dalle origini normanne (« v’è in lui qualcosa di un farmacista normanno che abbia letto Gobineau invece di Voltaire e sogni dei suoi antenati vichinghi in villaggio velato di spuma marina ») alla partecipazione alla guerra (« questo reame d’uomini alle porte di Parigi: foresta delle Argonne, deserto dello Champagne, paludi di Piccardia…»), dalla vita brillante del dopoguerra all’impegno politico («Voi morirete democratici o risorgerete trasformandovi in fascisti…»), dalla collaborazione al suicidio.

La seconda parte analizza l’evoluzione del pensiero di Drieu dall’ambiente familiare al conflitto mondiale (Abbiamo restaurato la guerra – questo gioco da adolescenti crudeli…), dal nazionalismo al federalismo europeo («L’Europa si federerà o sarà divorata»), dall’adesione al fascismo all’accettazione dell’Europa fatta dalla Germania («soltanto la Germania può assumere una funzione egemonica europea»).

La terza parte esamina gli elementi di pensiero che affiorano nel complesso dell’opera di Drieu, i suoi legami con Nietzsche, la sua meditazione sulla decadenza dello Occidente, l’aspirazione ad una disciplina del corpo e dell’anima, la religiosità di tipo pagano.

Drieu non è uno di quegli autori che si studiano per arricchire la propria conoscenza di un periodo storico. Il suo pensiero non è per nulla superato, anzi sta conquistando la sua più profonda attualità proprio in questi anni. Non è un caso che il libro più bello e più vivo su Drieu lo abbia scritto Jean Mabire, un reduce della guerra algerina, un esponente della nuova generazione. Quali sono le affermazioni fondamentali di Drieu, quelle destinate a diventare patrimonio spirituale di quanti vogliono ancora lottare contro la decadenza dell’Occidente?

In primo luogo l’idea europea. Già nel primo dopoguerra, in un’epoca di nazionalismo cieco e trionfante, Drieu vedeva con inesorabile chiarezza che l’Europa doveva pervenire all’unità politica per non diventare una colonia della Russia o dell’ America. Ricco, amato dalle donne, circondato da una aureola di scintillante notorietà parigina Drieu non volle diventare il solito comunista da salotto ma il primo dei militanti europei:

Noi siamo uomini d’oggi.
Noi siamo soli.
Non abbiamo più dei.
Non abbiamo più idee.
Non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx.
Bisogna che immediatamente,
Subito,
In questo stesso attimo,
Costruiamo la torre della nostra disperazione e del nostro orgoglio.
Con il sudore ed il sangue di tutte le classi
Dobbiamo costruire una patria come non si è mai vista.
Compatta come un blocco d’acciaio, come una calamita.
Tutta la limatura d’Europa vi si aggregherà
per amore o per forza.
E allora davanti al blocco
della nostra Europa
l’Asia, l’America e l’Africa
diventeranno polvere.

Coerentemente, Drieu comprese che questa Europa poteva organizzarsi solo intorno al blocco degli 80 milioni di Tedeschi cui il Nazismo aveva dato forza, unità, disciplina. Egli accettò lucidamente l’Europa fatta dalla Germania perché vedeva in essa l’ultima chance del nostro continente, minacciato dagli imperialismi d’Oriente ed Occidente: « In ogni caso il Nazismo mi è parso e mi pare… l’ultima diga di qualche libertà in Europa, di quella poca libertà che può essere salvata dalla calata dei Russi e dalle distruzioni irreparabili provocate da un conflitto finale tra Russia e America». La disperazione di Drieu all’alba del tragico 1945 è anche la disperazione di tutti i veri europei: «Povera Europa sconvolta e perduta. Hai chiamato da un lato gli Americani e dall’altro i Russi. E ora sei calpestata e spinta al peggiore degli (qui sul manoscritto c’è una parola illeggibile), ai peggiori sradicamenti irrimediabili. Europa— Grecia».

Pierre Drieu La Rochelle, Racconto segreto. Diario 1944-1945. EsordioIn secondo luogo Drieu è il profeta di una nuova disciplina sociale e razziale. La sua Europa non è una Europa neutra, l’aborto esangue ed intellettuale dei federalisti di Strasburgo o di altri democratici mentecatti. L’Europa di Drieu è un blocco di forza che detta la sua legge ponendo un’alternativa tra capitalismo e comunismo, democrazia anglosassone e bolscevismo russo, individualismo liberale e collettivismo marxista. Essa è una sintesi fascista dei valori di libertà e autorità, di lavoro e di capitale. Questa Europa deve fare rinascere un uomo nuovo, temprato nel corpo e nell’anima: «La rivoluzione che sta avvenendo in Europa è totale perché è la rivoluzione dei corpi, la rivoluzione dei valori nati dal corpo, e, nello stesso tempo, è la rivoluzione dell’anima che si scopre di nuovo, ritrova i suoi valori attraverso il corpo. Coraggio, pazienza, sacrificio, forza, non sono forse le virtù del corpo come quelle dell’anima?»

Drieu sottolinea poi il carattere razziale che sta alla base della sua idea d’Europa. L’Europa è la patria originaria della razza ariana che in epoca preistorica si è irradiata verso la Persia, l’India, il Mediterraneo, l’Asia Minore creando le grandi civiltà dell’antichità.

Nelle poesie scritte durante la guerra col titolo di «Runes» egli esalta l’Ordine Nuovo come il blocco della razza europea realizzato all’ombra della rossa bandiera crociuncinata:

La race des Aryens retrouve son union
Et reconnâit son dieu à l’encolure forte.
Trois cents millions d’Humains chantent dans un seul camp.
Un seul drapeau rouge à la cime des Alpes.
Voici les temps sacrés remontant des enfers.

Ma anche qui Drieu ha voluto spingere il suo sguardo più in là di quelli che gli stavano intorno. Egli vedeva che accanto all’Europa, patria originaria della stirpe ariana, si erano venute formando altre due grandi aree di razza bianca: la Russia slava e l’America anglosassone di lingua e d’origine germanica. L’8 giugno 1944, due giorni dopo lo sbarco in Normandia, egli scriveva nel suo diario: «Ieri guardavo i giovani S.S. sfilare lungo gli Champs Elyseès sui loro carri armati. Ho sempre amato questa razza bionda alla quale io stesso appartengo ma ad essa appartengono anche gli Inglesi, gli Americani e i Russi». L’Europa di Drieu deve diventare la Nazione guida dell’umanità di razza bianca, non in urto ma in collaborazione con l’America e la Russia in un’opera comune di sfruttamento dei beni della terra e di coordinamento dei popoli di colore.

C’è poi una terza fondamentale esigenza che si rinviene nell’opera di Drieu: l’esigenza di trovare una nuova forma di religiosità che possa animare dal di dentro quella disciplina totale necessaria per la resurrezione dell’uomo occidentale. Drieu ha sentito la crisi del Cristianesimo che, nel suo processo di umanizzazione del Divino, ha finito col renderlo incomprensibile alla maggioranza degli uomini: «Io dico Dio per abitudine occidentale. Ma questa parola per me non ha niente a che fare con la nozione grossolana e ridicola del Geova ebraico. Non esiste tanto Iddio quanto il divino, quel che gli Indiani chiamano il Sè, l’Atman o, con altra espressione, il Brahman». Conseguentemente Drieu ha cercato una forma di religiosità più vasta che egli trovava sia nelle opere di Guénon, del quale era appassionato lettore, sia nello studio de «gli spiriti che sempre vegliarono sulle vette, al di sopra dei due versanti del pensiero ariano: quello indiano e quello occidentale».

La religione intraveduta da Drieu non era quella semitica del Dio personale creatore e punitore ma una forma spirituale che abbracciava l’intero mondo ariano in tutta la sua latitudine, dall’India alla Norvegia, e che alimenta la sua tradizione con le Upanishad e con le Enneadi, con l’Edda e la Baghavad Gita, con Platone e con Buddha, con Seneca e con Meister Eckhart. E’ una posizione religiosa che si può chiamare «paganesimo» quando con questo termine si intende un ritorno agli orientamenti metafisici dell’Europa ariana e precristiana. Essa è molto vicina a quella di un Evola (un altro grande misconosciuto, al quale prima o poi si dovrà attribuire tutta la sua importanza), le cui opere Drieu avrebbe sicuramente tenute in gran conto, o a quella del Günther di Frömmigkeit nordischer Artung. Anche in questa ricerca spirituale Drieu non ha lavorato solo per se stesso ma per una nuova coscienza europea.

Ma quanti hanno occhi per l’Europa che Drieu intravedeva, quella per la quale è morto? I fascisti europei hanno lungamente esitato su sterili posizioni nazionalistiche prima di essere spinti quasi a forza nella direzione di una rivoluzione continentale dalla inesorabile iniziativa di Adolfo Hitler. E’ stata questa iniziativa rivoluzionaria totale a fondere in un solo fronte le forze disperse dei fascismi. L’Europa di Drieu è quella distesa tra Brest e l’Elbruz, tra Narvik e Creta, risoluta a difendere la sua rivoluzione contro il capitalismo yankee e il bolscevismo asiatico.

E’ quella dei volontari francesi e scandinavi accorsi a difendere Berlino. E’ quella delle S.S. danesi, olandesi, belghe che preferirono l’annientamento alla resa nella tragica sacca di Korsun.

Questa Europa viveva chiara e distinta nella visione di una minoranza. Ma questa minoranza ha testimoniato nel suo tempo con maggiore autorità dei molti e dei troppi. Da un superiore punto di vista storico, il sacrificio di poche centinaia di migliaia di S.S. internazionali è più significativo di quello dei milioni caduti per le vecchie concezioni nazionali. Questi hanno testimoniato per le vecchie patrie, donando l’ultimo guizzo di luce al nazionalismo morente, quelli si sono sacrificati per la nuova patria ariana del fascismo europeo. La loro testimonianza è inconfutabile. Se vi sarà ancora un fascismo esso non sarà quello della vecchia scuola ma quello di un Drieu, di un Evola, dei precursori.

Qualcuno potrà trovare importuno l’uso continuo che in questo libro si fa della parola fascismo. Potrà giudicare sbagliato legare una battaglia europea ad un programma fascista, una causa viva e affascinante a una parola vecchia e mal vista. Ma la verità, la cruda verità è che non può esservi una Europa unita senza che in qualche modo non risorga un fascismo. Sono trascorsi vent’anni dalla fine della guerra. L’Europa democratica e liberale, quella dei De Gasperi, degli Schumann, degli Spaak non si è ancora vista. E non si vedrà mai perché è assurdo che dai partiti della sconfitta, dai fiduciari e dai prefetti dei barbari di Oriente e d’Occidente, dei Russi e degli Americani, venga anche un solo atto di libertà e d’indipendenza politica.

Guardiamoci in faccia: questo antifascismo del quale si parla continuamente non è la libertà, non è la democrazia, non è il socialismo è, prima di tutto questo, la conservazione dello spirito di Yalta sul continente europeo che deve garantirne la pacifica soggezione. E’ la garanzia politica destinata a prevenire la rivolta degli Europei contro i loro padroni russi e americani. L’antifascismo è la rinuncia, è la viltà, e l’accettazione della sconfitta del 1945. In nome dell’antifascismo la coscienza dei vecchi partiti è insorta contro il tentativo dell’OAS di mantenere le posizioni europee nel Nordafrica, è per paura della accusa di Fascismo che i governi europei hanno vergognosamente abbandonato l’Africa ai negri e al caos. E’ in nome dell’antifascismo che sì continuerà a tradire, ad abbandonare, a rinnegare i valori e gli interessi dell’Europa.

Quindi, niente Europa senza Fascismo. Per ardua e difficile che possa sembrare una simile strada, essa è la unica che si possa percorrere. Scriveva Drieu che la Francia sarebbe morta democratica o sarebbe guarita diventando fascista. Noi ripetiamo che l’Europa risorgerà fascista o si spegnerà lentamente nel benessere e nella democrazia finché, nell’ora immancabile del giudizio storico finale, sarà travolta dalla rivolta mondiale dei popoli di colore guidati da una Cina fanatica e inesorabile. E’ l’Apocalisse che Drieu ha veduto venire da lontano, le «folle mostruosamente armate in marcia attraverso il pianeta per costruire imperi continentali». «D’abord les films americaines et après la fin du monde».

Noi, che non siamo né democratici né massoni, né ebrei né comunisti, vogliamo che l’Europa risorga. Agli scettici e ai critici possiamo sempre rispondere con le parole di Guglielmo il Taciturno: «Non occorre riuscire per perseverare né sperare per intraprendere ».

* * *

Questo brano costituisce l’Introduzione al volume M. Prisco – G. Giannettini – A. Romualdi, Drieu La Rochelle: il mito dell’Europa, Edizioni del Solstizio, 1965, pp. 101-136.

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