Dante e la Croce del Sud

Qualsiasi studente di Dante sa che, nella prima parte del primo canto del Purgatorio, egli sembra descrivere la costellazione della Croce del Sud, nelle due famose terzine (versi 22-27):

Dante, Divina Commedia
Dante, Divina Commedia

«I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente.
Goder pareva ‘l ciel di lor fiammelle:
oh settentrional vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle!»

Il problema è che le prime rappresentazioni cartografiche della costellazione chiamata Croce del Sud, alla quale Dante sembra qui riferirsi, sono quelle rispettivamente di Petrus Plancius del 1598 e di Jodocus Hondius del 1600: vale a dire, circa tre secoli dopo l’epoca nella quale venne composta la seconda cantica della Divina Commedia; e che quelle stelle sono interamente visibili, nel nostro emisfero, solamente a partire dal 27° parallelo di latitudine Nord, ossia dalle isole Canarie o, sul lato opposto dell’Africa, dall’estremità meridionale della Penisola del Sinai.

La Croce del Sud
La Croce del Sud

E allora? Come faceva Dante ad essere a conoscenza di una costellazione invisibile dalle latitudini dell’Europa, Italia compresa? Fiumi d’inchiostro sono stati versati a questo proposito, nel tentativo di trovare una spiegazione ragionevole dell’enigma; né noi ci ripromettiamo, in questa sede, di rifarne la storia, neppure per sommi capi. Troppo vasta e impegnativa sarebbe una simile impresa, tale da richiedere un grosso lavoro di ricerca, solo per raccogliere la bibliografia attualmente esistente.

Del resto, la curiosità circa l’identificazione delle quattro stelle vedute da Dante sulla spiaggia del Purgatorio – dunque, in pieno emisfero antartico – non ha mai smosso eccessivamente i dantisti, paghi del significato simbolico di esse, ossia le quattro virtù cardinali: giustizia, fortezza, prudenza e temperanza . Così, ad esempio, Carlo Grabher (Milano, Principato, 1985):

«Che Dante potesse pensare alla Croce del Sud, di cui si aveva notizia in opere astronomiche medievali, o ad altro gruppo di stelle realmente esistenti nell’altro emisfero, non ha per noi alcuna importanza. Le quattro stelle, che Dante ha immaginato per incarnarvi il detto simbolo [ossia le quattro virtù cardinali], poeticamente lo trascendono e brillano della loro viva chiarità indipendentemente da qualsiasi identificazione scientifica; e il cielo “ne gode” sì per il loro valore allegorico, ma anche e più per il loro reale effetto.»

Il Sapegno, da parte sua, preferisce tenersi prudentemente alla larga da ogni tentativo di identificazione astronomica; mentre Giuseppe Giacalone (Milano, Signorelli, 1974), che pure si sofferma sul problema di come interpretare l’espressione «prima gente» del verso 24, lo risolve negando recisamente anche l’identificazione delle quattro stelle con la Croce del Sud:

«È un verso molto discusso [il 24], anche dai commentatori antichi, Pietro di Dante, Buti, Anonimo Fiorentino, i quali giustamente pensavano che si trattasse di Adamo ed Eva, i quali per primi abitarono nel Paradiso Terrestre in stato d’innocenza. Questa tesi oggi è la più seguita e la più logica. Ma già il Benvenuto, seguito da altri moderni, suppose che si trattasse degli antichi romani, i quali, secondo un passo del “De Civitate Dei”, XV, praticarono le virtù cardinali, anche senza la vera religione. Ed il Lana intese, addirittura, gli uomini dell’età dell’oro. L’altra difficoltà è sul senso da dare alle quattro stelle, da alcuni identificate erroneamente con la Croce del Sud, del tutto ignota alla scienza del tempo di Dante (cfr. D’Ovidio, l. c. 21-26). Non bisogna fermasi soltanto al valore allegorico di queste stelle, ma considerare che esse sono vere stelle, che hanno una loro entità oggettiva, che contribuisce indubbiamente a quell’atmosfera di gioia diffusa in tutto quel paesaggio.»

Edi Minguzzi, La struttura occulta della Divina Commedia
Edi Minguzzi, La struttura occulta della Divina Commedia

Fa eccezione Manfredi Porena, il quale, all’identificazione delle quattro stelle, ha dedicato uno spazio molto più approfondito della maggior parte dei commentatori moderni, anche se interamente dedicato alla confutazione della identificazione delle quattro stelle con la Croce del Sud (Bologna, Zanichelli, 1972):

«Le quattro stelle sono un’invenzione di Dante, o Dante rappresenta in esse quella costellazione di quattro stelle chiamata Croce del Sud, sconosciuta ai suoi tempi al mondo civile, ma di cui potesse aver avuto notizia in qualche modo?
Questa seconda opinione è oggi molto in discredito; ma poiché ha ancora qualche tardo sostenitore, val la pena di confutarla ancora una volta: tanto più che il discorso delle quattro stelle mi darà occasione di ribadire quanto ebbe ad affermare circa il posto che deve darsi alla verità scientifica nella Divina Commedia.
Dante dice dunque che le quattro stelle non furon viste mai se non dalla “prima gente”. Evidentemente egli allude a gente rispetto a cui le condizioni di visibilità delle stelle medesime erano affatto diverse dalle nostre. L’interpretazione più ragionevole e più naturale è che si tratti di Adamo ed Eva, “prima gente” in modo assoluto: i quali dal Paradiso terrestre, che Dante immagina sulla cima del Purgatorio, potevan vedere le quattro stelle, prossime al polo sud, mentre nel nostro mondo sono invisibili perché troppo meridionali. Un’interpretazione più scientifica del “prima gente” è che si tratti invece dell’umanità primitiva, che pel fenomeno ben noto a Dante (quello stesso cui si deve la precessione degli equinozi) del rotare del cosiddetto “polo del mondo” intorno al polo dell’eclittica, potevan vedere le quattro stelle anche dalle nostre regioni, essendo allora esso polo del mondo più prossimo ad esse, che è come dire che esse erano meno meridionali. Comunque sia, si tratta sempre di prima gente vissuta in tempi lontanissimi da noi, in tutto scissa dalla nostra cultura, da cui Dante non poteva aver ricevuto alcuna informazione, diretta o indiretta. Sicché è chiaro che, tolta la finzione poetica dell’averle viste co’ suoi occhi, resta il fatto reale che egli le ha inventate. Che se, come da qualcuno si è preteso, egli avesse ricevuto notizie della Croce del Sud da fonti classiche da noi ignorate (cosa estremamente inverosimile) o da cartografi o da navigatori medievali, come avrebbe potuto dire che quelle stelle erano state viste soltanto dalla prima gente?
Ma c’è poi un altro fatto di cui non si è abbastanza tenuto conto. Le quattro stelle della Croce del Sud, salvo l’esser quattro, non corrispondono punto all’aspetto delle quattro stelle dantesche: di esse solo una è di prima grandezza, e assai meno luminosa non solo di Sirio ma di non poche stelle a noi visibili. Invece le quattro stelle di Dante sono di una luminosità superiore a tutte quelle che noi vediamo, onde l’apostrofe al “settentrional vedovo sito” che non può contemplare in cielo uno spettacolo simile.
E a chi non si rassegni a considerare le quattro stelle un’invenzione di Dante, perché inventando egli avrebbe mostrato poco rispetto per la scienza, dimostrerò ora che Dante viola ben altrimenti con esse la verità scientifica. Egli sapeva benissimo che all’Equatore vi sono abitanti: lo afferma nella “Monarchia”, chiamandoli Garamanti (I, 14); vi riaccenna nella “Quaestio de Aqua et Terra” (55). E sapeva anche che dall’Equatore si vedono tutte le stelle dell’emisfero meridionale (Inferno, XXVI, 127-9). E allora quegli abitanti dovran vedere benissimo le quattro stelle: le quali, si noti, non sono proprio neanche sul polo sud, ma, come vedremo, ruotano con notevole raggio intorno ad esso […]. Ma Dante ha voluto dimenticare tutto questo e gli è piaciuto dire che le quattro stelle non sono state mai viste se non dalla prima gente. Perché? Perché questa affermazione ha un valore simbolico: le quattro stelle simboleggiano infatti le quattro virtù cardinali, e a Dante premeva affermare che queste, nella loro pienezza, e nel loro vero splendore, non furono possedute se non da Adamo ed Eva prima del peccato.
Ecco come il nostro poeta è capace, per fini poetici e dottrinali, di metter da parte il vero scientifico; ecco quanto erra chi ragiona sulla Divina Commedia col presupposto che bisogni sempre interpretare in modo che sia salvo il vero scientifico, o quello che a Dante pareva tale secondo la scienza del tempo».

Leonardo Magini, Astronomia etrusco-romana
Leonardo Magini, Astronomia etrusco-romana

Secondo il Porena, dunque, non vi è alcuna probabilità che le quattro stelle descritte da Dante corrispondano esattamente alla Croce del Sud.
Ma siamo sicuri che ciò sia da escludere in modo assoluto?
A quanto ne sappiamo, la prima descrizione certa di questa costellazione risale ad Andrea Corsali, che, nel 1516, la descrive «così leggiadra e bella che nessun altro segno celeste vi può esser paragonato».
I navigatori che si spinsero, per primi, a sud dell’Equatore, la presero come punto di riferimento per trovare il Polo Sud celeste. Infatti, anche se, nell’emisfero sud, non esiste una stella che possa esser paragonata alla Polare dell’emisfero nord, nella Croce del Sud, che non dista molto dal Polo australe, vi sono due stelle luminose, α e γ, rispettivamente Acrux e Gacrux, che possono svolgere, approssimativamente, quella funzione.
D’altra parte, la Croce del Sud era, sì, nota agli astronomi antichi, ma come parte della costellazione del Centauro (da cui è attorniata su tre lati; mentre, sul quarto, «confina» con la costellazione della Mosca). Come costellazione autonoma, pare che essa sia «nata» solamente nel XVI secolo; e, precisamente, come la più piccola delle 88 costellazioni odierne.
Se non che, a complicare le cose, c’è il fatto che non tutti gli astronomi identificavano la Croce del Sud con la costellazione che attualmente porta quel nome (e che è divenuta famosa perché diversi Stato dell’emisfero meridionale, come il Brasile e l’Australia, la recano raffigurata nella propria bandiera nazionale).
Abbiamo citato Petrus Plancius come il primo cartografo che, nel 1598, riportò sul proprio atlante celeste la costellazione attuale della Croce del Sud. Ma proprio lui è responsabile di una notevole confusione, perché, negli anni precedenti, aveva indicato un’altra Croce del Sud in una diversa porzione del cielo australe, e precisamente a sud della costellazione dell’Eridano, là dove, attualmente, si trova la costellazione denominata dell’Idra Maschio.
E non basta ancora; perché alcuni fra i primi naviganti europei che si spinsero nell’emisfero sud descrissero l’odierna costellazione della Croce del Sud non come una «croce», ma come una «mandorla».
Un’altra osservazione è necessario fare, questa di carattere generale.
Abbiamo visto che, secondo Manfredi Porena, le quattro stelle di Dante non possono corrispondere (se non per un puro caso) alla costellazione della Croce del Sud, in quanto, a suo dire, Dante ben sapeva che, dall’Equatore, sono visibili tutte le stelle dell’emisfero meridionale. A sostegno di questa affermazione, egli cita quella terzina del XXVI canto dell’Inferno (versi 127-129) in cui Ulisse narra a Dante e a Virgilio la sua ultima, audacissima navigazione, che lo avrebbe portato al naufragio e alla morte, nello sconosciuto emisfero meridionale:

Alfonso Pérez de Laborda - Sandro Corsi, Gli antichi astronomi
Alfonso Pérez de Laborda – Sandro Corsi, Gli antichi astronomi

«Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e il nostro tanto basso
che non surgea fuor del marin suolo.»

La nave di Ulisse doveva trovarsi all’incirca a 40° di latitudine Sud quando egli fece la scoperta che poteva scorgere «tutte le stelle» dell’emisfero australe, e – dunque, anche quelle prossime al Polo Sud celeste -, ma non vedeva più quelle circumpolari settentrionali. Infatti, per chi si trova nelle località poste alle medie latitudini, vi è una parte di cielo che resta costantemente invisibile, quella che circonda il polo celeste dell’emisfero opposto. Al contrario, la regione vicina al polo celeste del proprio emisfero rimane costantemente visibile. Qui, infatti, le stelle non tramontano mai sotto l’orizzonte, ma paiono compiere un percorso circolare intorno al polo celeste (e per questo appunto sono chiamate «circumpolari»); ed esse saranno tanto più numerose, quanto più l’osservatore si trovi in prossimità del Polo.
Mano a mano che ci si avvicina all’Equatore, al contrario, le stelle circumpolari scendono verso la linea dell’orizzonte; finché, alla latitudine di zero gradi, le stelle più vicine ai due Poli celesti non sono più sempre visibili. Da questa latitudine, un osservatore può vedere, teoricamente, le stelle di tutto il cielo: i Poli Nord e Sud sono esattamente sull’orizzonte. Da lì, pertanto, è possibile vedere sia la Polare che la Croce del Sud, ma con una certa fatica. Quindi, è giusta l’osservazione del Porena, che dall’Equatore si vedono tutte le stelle dell’emisfero meridionale (e anche, aggiungiamo noi, quelle dell’emisfero settentrionale).
Dante parla dei Garamanti, popolo che controllava le antiche vie carovaniere attraverso il Deserto del Sahara, come esempio di abitatori delle regioni equatoriali; ma, in realtà, per vedere la Croce del Sud, è sufficiente trovarsi in Egitto, lungo la valle del Nilo (a partire, come si è visto, dalla latitudine di 27° di latitudine Nord).
I mercanti veneziani e genovesi che, nel Medioevo, frequentavano il porto di Alessandria, dovevano perciò conoscerla, almeno per sentito dire; e, forse, l’avevano veduta, risalendo il Nilo per motivi di commercio. E forse la videro, o ne ebbero notizia certa, anche i cavalieri che avevano partecipato alla Quinta Crociata (1217-21) sotto il duca Leopoldo d’Austria; e, dopo di essi, quelli che presero parte alla Sesta Crociata (1248-54) sotto il re di Francia San Luigi IX, dato che entrambe le spedizioni si rivolsero contro l’Egitto.

Andrea Bertolini, Dante e i Fedeli d'Amore
Andrea Bertolini, Dante e i Fedeli d’Amore

Ad ogni modo, come già abbiamo osservato, per gli studiosi di Dante in senso puramente letterario, la questione relativa all’esatta identificazione delle quattro stelle non ha mai rivestito troppa importanza.
Al contrario dei letterati dantisti, gli studiosi di esoterismo e, in genere, tutti coloro che si sforzano di cogliere il senso riposto dei versi di Dante «sotto il velame», per dirla con Giovanni Pascoli, hanno sempre visto nella rappresentazione delle quattro stelle antartiche una sorta di sfida che meritava di essere raccolta, sgombrando la mente da ogni pregiudizio e prendendo in esame tutte le ipotesi possibili; che sono, in sostanza, le seguenti:
a) Dante si è semplicemente inventato le quattro stelle, per motivi poetici e allegorici (facendone il simbolo delle quattro virtù cardinali);
b) Dante ha avuto notizia, da antichi testi di astronomia o da navigatori medievali, dell’esistenza della Croce del Sud;
c) Dante conosceva il fenomeno della precessione degli equinozi e sapeva che quelle stelle, visibili un tempo alle nostre latitudini, non lo erano più per ragioni astronomiche.
Come dicevamo, ci sarebbe impossibile, in questa sede, riassumere la sterminata bibliografia esistente sull’argomento.
Desideriamo invece, più modestamente, prendere in esame una fra le numerose proposte ed ipotesi avanzate dai moderni studiosi di archeoastronomia, che ha il vantaggio di presentarsi, al tempo stesso, come molto semplice e decisamente elegante.

Il suo autore è quel Giulio Magli, professore ordinario di meccanica razionale al Politecnico di Milano, del quale ci siamo recentemente occupati nel nostro articolo La scoperta della precessione degli equinozi può aver dato origine al culto di Mithra? (consultabile sul sito di Arianna Editrice).
Nel suo libro I segreti delle antiche civiltà megalitiche (Roma, Newton & Compton Editori, 2007, pp. 269-71), egli così scrive:

«Questa costellazione [ossia la Croce del Sud], come anche il vicino Centauro non è più visibile alle latitudini del mediterraneo. La precessione infatti portò entrambe le costellazioni a culminare al di sotto dell’orizzonte nel corso degli ultimi due millenni prima di Cristo; in Italia, la Croce scomparve progressivamente tra il 700 a. C. e il 100 a. C. circa; a latitudini un po’ più basse, per esempio all’altezza di Gerusalemme, il fenomeno avvenne qualche secolo dopo, tanto che alcuni autori hanno proposto che possa aver contribuito all’affermarsi della croce come simbolo cristiano.
Quando, all’inizio del Rinascimento, gli Europei iniziarono a viaggiare nell’emisfero sud, la Croce fu “riscoperta”; il fatto di vedere una nuova costellazione proprio in forma di croce può senza dubbio esser stato considerato un buon segno per i naviganti (anche se molti la videro in realtà come una “mandorla”, a ennesima dimostrazione che bisogna che bisogna essere molto attenti quando si cerca di assegnare forme alle costellazioni). In ogni caso è probabile che la conoscenza di questa costellazione non si fosse persa completamente durante il Medioevo. (…)
Senza dubbio Dante usa queste stelle come immagini delle quattro virtù teologali (Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza), ma è molto probabile che l’idea gli sia venuta da una conoscenza, perlomeno approssimativa, delle principali stelle dell’emisfero sud. Questa idea – oggi, ma forse è inutile dirlo, ferocemente negata dai più – venne di fatto già ad Amerigo Vespucci che, dopo aver visto per la prima volta le stelle della Croce, in una lettera datata 18 luglio 1500 e diretta a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, scrisse:

“Mi pare che il Poeta in questi versi voglia descrivere per le “quattro stelle” del polo dello altro firmamento, e non mi diffido fino a qui che quello che dice non salga verità: perché io notai quattro stelle figurate come una mandorla, che tenevano poco movimento.”

L'uomo antico e il cosmo
L

È interessante notare che Dante sembra sapere anche che queste stelle un tempo erano visibili nel Mediterraneo, quando dice “non viste mai fuor ch’a la prima gente (gli scettici obiettano però che “prima gente” potrebbe voler dire non gli antichi, ma Adamo ed Eva).
Non è facile stabilire da dove Dante abbia attinto queste informazioni, visto che le stele della Croce non compaiono come costellazione a sé stante nell’Almagesto, il trattato di astronomia compilato da Tolomeo di Alessandria che è la principale fonte scritta sull’astronomia che ci è pervenuta dal mondo classico. In Grecia infatti, quelle stelle facevano parte della costellazione del Centauro – all’epoca più estesa della nostra – che veniva a formare una specie di arco molto luminoso posto a cavallo (scusate il gioco di parole) della direzione sud; la scelta di separare le stelle della Croce in una costellazione a sé stante entrò in uso solo alla fine del XVI secolo. In ogni caso, e indipendentemente dalla spinosa questione di come venivano effettivamente individuati i contorni delle costellazioni nell’antichità, non c’è alcun dubbio sul atto che le stelle di quello che per chiarezza chiamerò “gruppo Croce-Centauro” sono state una presenza importantissima nel cielo del Mediterraneo nei millenni precedenti alla nascita di Cristo; esistono infatti solide prove archeo-astronomiche dell’interesse degli antichi per esse, ed in particolare proprio per le stelle della Croce dalla disposizione geometrica così peculiare, fin dal IV millennio a. C.»

Il Magli, infatti, avanza successivamente l’ipotesi che gli spettacolari templi megalitici dell’arcipelago di Malta, eretti a partire dal 3.400 a. C. da una civiltà della quale, praticamente, nulla sappiamo, siano stati eretti con un allineamento astronomico ben preciso: ossia presentando l’ingresso verso il settore sud-est del cielo, nella direzione del punto di levata del gruppo Croce-Centauro in quella lontana epoca storica.
La civiltà isolana di Malta subì un brusco tracollo intorno al 2.500 a. C., sicché, posteriormente a questa data, nessun tempio megalitico venne più eretto; tuttavia, ce n’è abbastanza per stuzzicare la curiosità dello studioso di astronomia antica, tanto più che edifici analoghi, con lo stesso genere di orientamento, sono stati rinvenuti in altri luoghi del Mediterraneo occidentale: precisamente a Minorca, nelle Isole Baleari, e in Sardegna (civiltà nuragica).
Che dire di tutto ciò?
Forse, gli antichi popoli stabiliti lungo le coste e nelle isole del Mediterraneo avevano elaborato una religione astrale, di cui parte fondamentale era la convinzione che, dalle stelle, venissero all’uomo dei poteri che facevano parte di un ampio collegamento tra sfera celeste, mondo terrestre e mondo sotterraneo (una parte dei misteriosi edifici sacri delle antiche civiltà megalitiche sono, infatti, ipogei).

Francesco Senatore, Medioevo. Istruzioni per l'uso
Francesco Senatore, Medioevo. Istruzioni per l’uso

Forse, quei nostri lontani progenitori credevano che i cicli della natura fossero sorretti e, per così dire, alimentati, da un complesso gioco di corrispondenze fra il mondo celeste, il mondo terrestre e il mondo sotterraneo; e che, per assicurare la fecondità della natura, fosse necessario che gli uomini riproducessero, nella loro architettura sacra, gli schemi dei gruppi stellari dotati di maggiori poteri (un’idea che si è conservata fino a tutto il Medioevo, ad esempio nell’orientamento delle cattedrali gotiche verso la direzione del sole che sorge).

Le stelle che formano l’attuale costellazione della Croce del Sud dovevano svolgere un ruolo particolarmente importante in questo tipo di religione astrale. Ciò spiegherebbe la sopravvivenza della loro memoria anche dopo che, per il fenomeno della precessione degli equinozi, esse erano divenute invisibili alla latitudine dell’Italia centrale e della Sardegna, il che divenne un fatto compiuto all’inizio dell’era volgare (mentre verso il V secolo dopo Cristo la Croce del Sud era diventata ormai completamente invisibile alla latitudine di Roma).

Può essere, pertanto, che quella memoria si sia conservata in maniera tale, che Dante ne venne a conoscenza, attraverso antichi testi di astronomia; così come può essere che egli abbia ricevuto informazioni più recenti in seguito a qualche viaggio di navigatori europei: per esempio, quello dei fratelli genovesi Ugolino e Guido Vivaldi, alla fine del XIII secolo, spintisi audacemente lungo la costa occidentale dell’Africa (che poté, forse, ispirargli l’episodio dell’ultimo viaggio di Ulisse, narrato nel XXVI canto dell’Inferno).

La Croce del Sud, secondo Giulio Magli, sarebbe identificabile, inoltre, nella costellazione chiamata Trono di Cesare, che Plinio descrive come non più visibile dall’Italia, ma ancora visibile dall’Egitto (nella Naturalis Historia, II, 68), e che ricevette tale denominazione all’epoca dell’imperatore Augusto.

Che altro dire?

Certo la questione rimane aperta ad ulteriori contributi, sia di tipo storico-letterario, che archeologico-astronomico.
Riteniamo, tuttavia che la proposta del Magli, circa la diretta conoscenza di Dante delle stelle dell’emisfero sud, e, forse, anche del fenomeno della precessione degli equinozi – il quale le avrebbe rese gradualmente invisibili alle nostre latitudini – meriti di essere presa attentamente in considerazione: se non altro, come un’ipotesi di lavoro, aperta a nuovi, possibili sviluppi.

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Tratto, con il gentile consenso dell’Autore, dal sito ariannaeditrice.it.

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Francesco Lamendola, laureato in Lettere e Filosofia, insegna in un liceo di Pieve di Soligo, di cui è stato più volte vice-preside. Si è dedicato in passato alla pittura e alla fotografia, con diverse mostre personali e collettive. Ha pubblicato una decina di libri e oltre cento articoli per svariate riviste. Tiene da anni pubbliche conferenze, oltre che per varie Amministrazioni comunali, per Associazioni culturali come l'Ateneo di Treviso, l'Istituto per la Storia del Risorgimento; la Società "Dante Alighieri"; l'"Alliance Française"; L'Associazione Eco-Filosofica; la Fondazione "Luigi Stefanini". E' il presidente della Libera Associazione Musicale "W.A. Mozart" di Santa Lucia di Piave e si è occupato di studi sulla figura e l'opera di J. S. Bach.

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