Che cos’è il fascismo?

«È un fatto, ma abbiamo sempre trovato grottesco che gli avversari del fascismo ignorassero completamente la gioia di essere fascisti, non cercassero neanche di capire da cosa nasceva questa felicità. Gioia che si potrà criticare, dichiarare abominevole o infernale, se preferite, ma sempre gioia».

Gioia, fascismo: Robert Brasillach aveva un gusto particolare per l’associazione ideale di concetti che il mondo contemporaneo tende a pensare rigorosamente in opposizione. Eppure è una considerazione, quella svolta dal poeta francese che, almeno una volta nella vita, deve esser passata per la mente di chiunque si sia trovato sotto le insegne del mondo sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale. Bersagli dell’odio, della rabbia, del livore antifascista, certo. Ma anche psicanalizzati, trattati con un misto di sbalordimento e superiorità, visti come malati e psicopatici, alla ricerca di quel vulnus psichico, di quella rotella che gira per conto suo, di quel trauma nel passato tale da poter giustificare l’adesione al male per il male. Il fascista è tale perché impotente, perché malmenato da un padre violento, perché ha da dare un senso alle frustrazioni borghesi e trovare facili capri espiatori ai suoi timori esistenziali ma mai e poi mai può essere autocosciente, trasparente a se stesso, consapevole della propria scelta. Come spiegare, allora, questa febbre che divora l’anima, quella strana luce negli occhi, quel particolare modo di vivere e di morire?

La visione antifascista o, semplicemente, non fascista del fascismo si basa in genere su un doppio equivoco. Primo: il fascista è tale prioritariamente e prevalentemente perché ha in testa un certo modello istituzionale. Secondo: la “cifra” di tale modello sarebbe una sorta di esclusivismo muscolare. Per cui, secondo tale visione fallace, il fascista sarebbe colui che vuole uno Stato che escluda da sé determinate categorie umane e la misura del grado di fascismo sarebbe dato dalla violenza con cui avviene tale esclusione e dal numero di tipologie umane che essa coinvolge. Insomma: chi vuole che i poliziotti bastonino i barboni è fascista, chi vuole che maltrattino barboni e gay lo è di più, chi vuole pubbliche esecuzioni di barboni, gay e stranieri è praticamente il massimo. Spiacente, ma non è così. Non solo perché tale esclusivismo appare caricaturale e onirico, ricordando in realtà ossessioni di igienismo sociale molto piccolo borghesi. Ma soprattutto perché appiattisce l’esser fascista su una dimensione strettamente politica che non è affatto primaria. Certo, il fascismo è anche teoria dello Stato, frutto di raffinatissimi maestri del pensiero, da Gentile a Costamagna.

Reichsparteitag Nurnberg 1934 - HJ TrommlerMa prima di tutto, al di là di ogni cosa, viene un sentimento del mondo. Un certo stile di vita, un particolare approccio all’esistenza. Una dimensione estetica, simbolica, esistenziale, prima che politica. Prima di tutto c’è un certo savoir faire che è aristocratico poiché va verso il popolo, che fa decantare lo spirito coltivando il corpo, che porta in trionfo la morte vivendo a pieno la vita, che sperimenta la libertà inquadrandola nella comunità. Qualcosa di indefinibile, un quid impastato di attivismo, goliardia, marzialità, misticismo. Un portamento sobrio ma scanzonato, tragico ma solare. Una volontà di grandezza, di potenza, di bellezza, di eternità, di universalità. Una logica di fratellanza, di cameratismo, di comunità. La consapevolezza del destino e la voglia sfrontata di sfidarlo. La capacità di vivere a pieno la banda, la squadra, il clan e di saper elevare tale vincolo al livello della nazione, dell’impero. Avere 17 anni per tutta la vita. Bramare il superamento di sé. Dare forma a se stessi e al mondo. Godere nel dar scandalo ai moralisti, ai parrucconi, ai sepolcri imbiancati. Coltivare la radicalità nel pragmatismo. Percepire il disgusto per la decadenza e per ogni bassezza di spirito ma allo stesso tempo saper vivere fino in fondo il proprio tempo, saggiare le febbri della contemporaneità, attingere all’entusiasmo faustiano per la modernità. Avere per compagni gli elementi, oltre ogni complicazione astrusa e cerebrale: il fuoco, il marmo, il sangue, la terra, il sudore, il ferro. Riuscire a far vibrare le proprie corde interiori sulla frequenza dei più umili ma rifiutare al contempo l’adulazione, l’indulgenza, la demagogia e la prostituzione intellettuale. Avere nostalgia solo del futuro. Fondare città, redimere le terre, essere portatori di un progetto di civiltà. Concepire l’esistenza come lotta, come conquista, di là da ogni risentimento. Fare dono di sé ai propri camerati, alla propria nazione, alla propria idea, se è necessario fino all’estremo sacrificio. E, infine, fare tutto ciò sempre con un certo stile, con una certa idea dell’estetica, con il giusto decoro, ben vestiti e sorridenti fino al patibolo e oltre.

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Tratto, col gentile consenso dell’Autore, dal libro Riprendersi tutto, voce “Fascismo”; poi in Ideodromo di Casapound.

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Adriano Scianca, nato nel 1980 a Orvieto (TR), è laureato in filosofia presso l'Università La Sapienza di Roma. Si occupa di attualità culturale, dinamiche sociologiche e pensiero postmoderno in varie testate web o cartacee. Cura una rubrica settimanale sul quotidiano Il Secolo d’Italia. Ha recentemente curato presso Settimo Sigillo il libro-intervista a Stefano Vaj intitolato Dove va la biopolitica?. Scrive o ha scritto articoli per riviste come Charta Minuta, Divenire, Orion, Letteratura-Tradizione, Eurasia, Italicum, Margini, Occidentale, L'Officina. Suoi articoli sono stati tradotti in spagnolo e pubblicati su riviste come Tierra y Pueblo e Disidencias. E’ redattore della rivista web Il Fondo, diretta da Miro Renzaglia.

2 Responses

  1. rita
    | Rispondi

    hanno raccolto tutte le critiche che liberamente gli muoviamo e ne hanno fatto uno scudo di cartone.

  2. OldBoy77
    | Rispondi

    Il fascismo come dottrina politica non è l'antitesi di una visione tradizionale della società?

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