Il coraggio dell’autonecrologio. Cattabiani, l’ultimo signore degli eccentrici

«Nel 1979, dopo una pluriennale persecuzione della sinistra nei confronti della sua politica culturale, giudicata una pericolosa minaccia al monopolio delle culture marxista-leninista e neoilluminista, è costretto ad abbandonare l’editoria». Così parla di sé Alfredo Cattabiani in un articolo pubblicato ieri da Il Giornale, all’indomani della sua morte, avvenuta domenica a 66 anni. L’autore lo aveva consegnato mesi fa, quando sapeva di non avere speranze. Scrivere il proprio necrologio è certamente cosa eccentrica, come eccentrico è stato Cattabiani, non soltanto per il culto elitario dello stile e della forma, ma nel senso proprio della parola che nel Dizionario Garzanti indica «chi sta fuori, lontano dal centro». E’ fuori discussione che negli anni 60 e 70, lo scrittore sia stato lontano dal centro della vita culturale ed editoriale, dominata dalle correnti di cui denuncia l’«intolleranza» anche al passo d’addio. Quella sulle egemonie culturali e relativi ostracismi è un’antica e datata polemica: Elémire Zolla ricordava che, a quei tempi, la parola «mistico» era considerata oltraggiosa e che nessuno, tranne Roberto Calasso, volle redigere un articolo in morte di un’autrice spirituale come Cristina Campo, mentre oggi non c’è editore senza il suo mistico e non passa anno senza un convegno sulla stessa Campo.

 

Per la cultura italiana, però, è stata forse una fortuna che Cattabiani sia stato «lontano dal centro». Dopo una breve esperienza alle «Edizioni dell’albero», vicine al filosofo cattolico Augusto Del Noce, Cattabiani diresse l’editrice «Borla» di Torino creando nuove collane dirette appunto da Del Noce e dallo stesso Zolla, dove comparivano nomi come Mircea Eliade, Simone Weil, il rabbino Heschel, Chogyam Trungpa, il lama tibetano che fu maestro di Ginsberg e della beat generation. Certo, in una società dove chiedersi da che parte stiano gli intellettuali è quasi un riflesso condizionato, Cattabiani fu etichettato come uomo di destra, anche se sarebbe stato più giusto parlare (per quel che valgono le definizioni) di cattolico-conservatore. Le sue scelte furono criticate, anche duramente, soprattutto dopo che Edilio Rusconi lo chiamò per creare e dirigere la sezione libri del suo gruppo, che s’impose grazie a opere come Il Signore degli Anelli di Tolkien, Difesa della luna di Ceronetti, Il flauto e il tappeto della Campo, Il quinto evangelio di Pomilio. I miti, le religioni, la spiritualità sarebbero venuti di moda quasi vent’anni dopo, ma è merito di Cattabiani se l’Italia di allora conobbe Urs von Balthasar, Coomaraswamy, Guénon, Marius Schneider, Pavel Florenskij.

 

Nel ’79, come scrive nel necrologio di se stesso, l’editor dovette mollare, ma la sua conoscenza delle religioni, dei simboli e dei miti gli aprì una via alla scrittura, anch’essa eccentrica rispetto ai canoni della modernità. Cattabiani riprese in mano antichi bestiari, erbari, florari, lunari, che divennero altrettante opere dalla preziosa iconografia dove ogni animale o pianta è il cuore di galassie di riferimenti archetipici, leggendari, popolari, poetici. Ricordiamo uno degli ultimi titoli, Planetario, dove Cattabiani passa una a una le costellazioni, descrivendone l’origine mitica e la valenza simbolicoreligiosa via via assunta nell’immaginario dei popoli. Sarebbe sciocco dare lettura politica agli straordinari viaggi di Cattabiani nel labirinto dei simboli: negli anni ’70 un mitologo di sinistra, Furio Jesi, accusava la cultura progressista di avere snobbato i miti lasciandone il monopolio alla destra. Ma nel frattempo, per fortuna, sono crollati molti muri.

 

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Tratto da Il Corriere del Sera del 20.5.2003.

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