Berlusconismo ed egemonia culturale. Sogno e realtà

la-cultura-delle-desterCome sempre accade alla fine di un’epoca storica o quando un sistema politico è al tramonto, anche di fronte alla parabola discendente del berlusconismo assistiamo al fiorire di analisi filosofiche o politologiche mirate a comprendere le ragioni del successo e/o del declino del leader di Arcore. Si sa, il pensiero è la nottola di Minerva! Svolge il proprio compito alla fine del giorno, almeno secondo Hegel. Negli ultimi mesi, in questo tentativo esegetico del berlusconismo si è distinto per la tesi centrale davvero paradossale che lo sostiene, un libro dello storico contemporaneista dell’Università di Firenze, Gabriele Turi. Si tratta di La cultura delle destre. Alla ricerca dell’egemonia culturale in Italia, edito dalla Bollati Boringhieri.

L’idea di fondo che muove queste pagine è la seguente: nonostante la fine politica di Berlusconi possa essere datata al novembre 2011, quando al posto del suo governo, si insediò il gabinetto di “salvezza” nazionale (sic!) targato Monti, il berlusconismo non può dirsi affatto fuori gioco, in quanto il suo ubi consistam esistenziale e psicologico, si sarebbe diffuso come un virus nel ventre profondo del paese. Ciò in forza dell’azione svolta, sotto il profilo culturale, dalle forze politiche e intellettuali che, dagli anni Novanta, hanno dato vita a FI e al PDL. Condizione imprescindibile di questa analisi è sostenere la negazione dell’esercizio dell’egemonia culturale della sinistra in Italia a muovere dal dopoguerra. A tanto, Turi giunge per un errore di fondo, imputatogli, tra gli altri, anche da Pierluigi Panza sul Corriere della Sera del 14 Agosto scorso: seguendo Donald Sasson (La cultura degli Europei dal 1800 ad oggi, Rizzoli), Turi semplicemente identifica la cultura con l’intrattenimento popolare, con la spettacolarizzazione mediatica, non rendendosi conto che il centro-destra non è riuscito ad imporre alcun effettivo rinnovamento nella cittadella del sapere in Italia, fortificata e presidiata dalla sinistra, feudo di una élite che si è perpetuata nel tempo attraverso nepotismi, complicità baronali nelle Università, legami editoriali e mediatici ben costruiti e rafforzatisi nel tempo.

In realtà, Berlusconi e il berlusconismo per noi vanno letti secondo altre modalità. Rappresentano l’esito storico-politico del troppo mitizzato Sessantotto, la “fantasia la potere”. La cosa, con sottile e arguta ironia, è stata colta da Mario Perniola. In funzione di questa sua “liquidità”, Berlusconi non è riuscito a cambiare la condizione effettiva dell’Italia dagli anni Novanta ad oggi, non è riuscito a riempire il nulla che ha ereditato dalla Prima Repubblica. Ha blandito e assecondato l’Italia “gaia” attraverso la “politica confidenziale” che lo ha reso teatrale gigantografia dei vizi (molti) e delle virtù (poche) degli italiani contemporanei. Specchio in cui un’epoca intera può guardare se stessa, al fine di valutarsi, di là dai facili moralismi. Tutto ciò con la complicità della Destra ufficiale, rinunciataria e dimentica dei valori di fondo della propria cultura di riferimento, sacrificati sull’altare del rampante liberal-liberismo con sfumature teocon, diffuso dai pochi e, il più delle volte, inefficaci mezzi e/o iniziative di informazione intellettuale, messi in campo dalle Fondazioni create dal centro-destra, sulle quali si sofferma Turi.

Per lo studioso fiorentino, inoltre, la ricerca dell’egemonia culturale da destra, fondata sul superamento degli steccati che per troppo tempo avevano diviso liberali, cattolici e riformisti nel nostro Paese, avrebbe portato, attraverso il revisionismo storico, a una riscrittura, in funzione della giustificazione del presente politico, della storia patria e alla realizzazione di un “liberalismo popolare e di massa”. Da qui la polemica sui manuali di storia nella quale intervennero anche esponenti di primo piano del centro-destra, in tema di foibe ad esempio, o le battaglie “identitarie” a favore del crocifisso negli uffici pubblici. Quale l’esito di tanto clamore mediatico? Ad oggi non esiste di fatto un solo manuale di storia delle scuole superiori che sia espressione di una storiografia semplicemente non-conformista o di “destra”. Solo alcuni autori di testi scolastici hanno introdotto qualche paragrafo sulle responsabilità politiche riguardanti le foibe, e poco altro. Ciò è accaduto non per mancanza di storici seri a “destra” ma perché, questa la risposta delle grandi case editrici, alcune delle quali di proprietà di Berlusconi, il mercato delle adozioni dei testi scolastici è ancora egemonizzato dai docenti formatisi a sinistra nelle nostre scuole e università. Ecco il punto: l’egemonia culturale la si conquista e la si esercita nelle scuole, nelle università, nei mezzi di comunicazione di massa, dal dopoguerra controllati dalla sinistra, che ha pienamente messo in atto le indicazioni gramsciane relative al controllo della “società civile”. Inoltre, non ci pare che le battaglie identitarie abbiano inciso sulla reale struttura antropologica della società italiana, anzi!

Questa situazione mostra come la destra non abbia esercitato alcuna egemonia intellettuale. Non bastano le ampie maggioranze parlamentari per garantirla. Occorre un lavoro di coordinamento delle diverse iniziative, presenza mediatica, consistenza intellettuale. Esattamente tutto ciò che è mancato. Infatti, le pur meritorie iniziative menzionate da Turi, la diffusione di riviste telematiche nel web, le Fondazioni e i circoli messi in piedi dal centro-destra, sono state realtà effimere, per di più controllate dalle sole componenti liberale, cattolica e riformista. La cosiddetta destra tradizionale che, guarda caso, Turi si limita soltanto a citare, nonché il pensatore di maggior spessore di quest’area, Julius Evola, non solo sono stati esclusi da esse, ma addirittura ostracizzati. Questo perché il berlusconismo, rappresenta in primis il momento populista-plebiscitario del Nuovo Regime, la Governance, che ha legami sempre più flebili con la Cultura della Nazione. Solo recuperando il pensiero di Tradizione sarà possibile pensare a un’egemonia capace di rendere l’ideologia italiana sostanza politica dei processi di “ammodernamento conservatore”, anima di quella “rivoluzione conservatrice” che, all’inizio degli anni Novanta, avevamo sperato essere nelle corde del berlusconismo.

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Tratto, col gentile consenso dell’Autore, da “Il Borghese” di ottobre 2013.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".

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