Ardengo Soffici: dalla crisi dell’Ignoto toscano al vitalismo autoritario del giustiziere Lemmonio Boreo

ardengo-sofficiAssente nelle storie letterarie di sinistra per meri pregiudizi storici, l’opera di Ardengo Soffici – una delle menti più brillanti dell’Impressionismo e del Futurismo nostrani -, sopravvive (a stento) per merito di alcuni critici, senz’altro temerari, e grazie a sporadiche ristampe anastatiche, peraltro, in tiratura limitata. Eppure, il cammino intrapreso da Ardengo Soffici che si dipana dagli albori del secolo al secondo dopoguerra, più che in altri scrittori coevi, è fondamentale per comprendere una considerevole fetta della nostra letteratura, del resto spesse volte bistrattata: consente, infatti, di lumeggiare il carattere della prosa italiana, negli anni in cui si andava costituendo il gusto legato alla rivista «La Voce», poi classificato come “espressionismo vociano”, sul modello dell’analoga corrente letteraria tedesca.

A proposito di ristampe, grazie al contributo del comune di Poggio a Caiano – luogo di memorie familiari del Nostro – è stata presentata la ristampa anastatica – limitata a 250 copie (fuori commercio) – dell’esordio in prosa dell’artista: Ignoto toscano. Edito per la prima volta nel 1909, è considerato unanimemente lo scritto più rappresentativo della prima fase sofficiana.

Originariamente intitolato Tragedia e poi Figure, dopo una drastica stralciatura, il libretto viene stampato per i tipi di Successori B. Seeber con il titolo Ignoto toscano: racconto autobiografico, fondato sulla Erlebnis, risente del clima tipicamente primonovecentesco segnato dal relativismo ontologico conseguente alle scoperte scientifiche d’inizio secolo. L’innovazione tecno-scientifica si configura agli occhi di molti filosofi e romanzieri come minaccia all’integrità dell’uomo. Il timore nei confronti della scienza appare coincidente con quello generato dall’idea che la vita umana sia ridotta essenzialmente a un ventaglio di convenzioni, con la rinuncia allo slancio vitale. Si pensi al processo di reificazione che coinvolge il poeta de La via del rifugio e de I colloqui determinandone la trasformazione «in cosa vivente detta guidogozzano»; e, in Pirandello (che rintraccia l’origine del relativismo nella rivoluzione copernicana), ai “mali influssi”, derivanti dall’eliocentrismo copernicano, che sconvolgono il “teatrino” dell’antropocentrismo tolemaico, costituito da eroi valori universali. Soffici non resta indenne: proprio in quegli anni, infatti, riscopriva, «con grande sorpresa e piacere», le foscoliane Ultime lettere di Jacopo Ortis, che come noto si chiudono con il suicidio di Jacopo, con una pugnalata al cuore. Soffici giudica il romanzo di Foscolo «il migliore che si abbia in Italia» e di gran lunga superiore al modello del Werther di Goethe, leggendovi la «rappresentazione più grande e volitiva della natura». Tale entusiasmo si riverbera nell’edizione del foscoliano Tomo dell’Io (1909) e lascia tracce sostanziali nell’Ignoto toscano. Composto da circa trenta pagine corredate da note sotto forma di una lettera semiseria indirizzata all’ipotetico Professor S.C., con dedica a Filippo Ottonieri, a Didimo Chierico e al dottor Teufeldroeck, risente infatti di una meditazione esistenziale che, del resto, si pone al fondo dell’intera opera sofficiana e che talora appare sublimata in due direzioni: attraverso il convincimento di poter scoprire «nell’arte il vertice dello spirito umano»(1) e nella coscienza che tale spirito non possa sussistere «se la libertà dell’individuo non è […] sollecitata dall’invenzione, dal fuoco […] distruttivo della fantasia che incessantemente crea e annulla se medesima per successive creazioni»(2). Entrambi, comunque, si rivelano tentativi posticci, atti a celare l’evidenza drammatica della vita, “vista dal di fuori” e vissuta come «tragedia universale ed eterna»(3).

Il pessimismo di Ignoto toscano troverà il suo primo tentativo di sublimazione nel vitalismo autoritario del protagonista del romanzo “epico-contadino”, Lemmonio Boreo. Giustiziere di Toscana, Lemmonio Boreo pare prefigurare «l’ideale dello squadrista fascista»(4). E, soprattutto, partendo da una «condizione di crisi verso l’unità mistica»(5), Lemmonio sembra agire per riformare l’universo, «una volta frammentato», «in una totalità coesiva»(6), anticipando così quel processo di “palingenesi” intrapreso, invano, dal Fascismo verso lo Stato come comunità corale.

Ritornando a Ignoto toscano, il vociano Giovanni Boine scriverà a Soffici: «Codesto Ignoto toscano è per intero Ardengo Soffici col suo aspetto – tra di predicatore e di guerriero – (anch’io t’ho descritto così una volta ad un tale che non ti conosceva) e con l’odio inestinguibile a tutte quante le estetiche (specie le crociane)»(7).

Note:

(1)-(3) Marchetti, G., Ardengo Soffici, da Il Castoro, numero 151,152, agosto 1979.

(4)-(6) Dombroski, R. S., L’esistenza ubbidiente: letterati italiani sotto il fascismo, Guida editori, Napoli 1984, p. 22.

(7) Boine, G, Carteggio IV. Giovanni Boine – Amici della «Voce» – Vari (1904-1917), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1979, p. 89.

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