L’Arca dell’Alleanza

Su un monte sacro nella penisola del Sinai, nella zona dell’antico Egitto, Mosè si trovava inginocchiato davanti ad un roveto in fiamme. Egli stava ricevendo gli ordini dati dal Dio di Israele. Gli fu detto: “Farai un’arca di legno d’acacia e la rivestirai di oro puro. E dentro vi porrai la Testimonianza che io ti darò”. Seguendo alla lettera le indicazioni ricevute dal suo Dio, Mosè obbedì e costruì una cassa 125 cm di lunghezza x 75 cm di altezza x 75 cm di larghezza e la ricoprì di purissimo oro. Successivamente la coprì con il propiziatorio, ovvero un coperchio che stava a rappresentare il cielo, mentre il contenitore stava a rappresentare la terra. Secondo la tradizione cabalistica, la forma che meglio la rappresenta a livello spirituale è il cubo. Il “contenitore” era formato da tre scatole distinte: quelle esterne erano due ed erano entrambe d’oro, mentre quella mediana era di legno d’acacia. L’acacia è albero od arbusto di origine africana ed australiana, della famiglia delle Mimosaceae. Ha foglie pennate. Vi sono circa 500 specie di acacia, distribuite in tutto il mondo. Le comuni robinie, come anche la mimosa, il carrubo e l’albero di Giuda, appartengono alla famiglia delle acacie. Il suo tipico colore verde, simbolo della esistenza e della vita, ne fa il simbolo dell’immortalità e dell’incorruttibilità. Nell’antichità era considerato anche simbolo del legame tra il visibile e l’invisibile. L’acacia viene considerata sacra soprattutto perché sistematicamente impiegata dai Giudei nella fabbricazione di vari accessori del Tabernacolo. Secondo la Caballah, l’anima dei Maestri e degli Illuminati contiene due macrocategorie: quella avvolgente e quella interna. Ognuna è dotata di diversi gradi intermedi. Le Tavole della Torà all’ interno del contenitore costituiscono l’anima nascosta. Fondamentale è l’anima interiore visto che è limitata, mentre la prima si estende all’infinito. I due recipienti d’oro costituiscono il primo e il secondo grado dell’anima avvolgente (rispettivamente Chaià che rappresenta l’Anima Vivente, e Yechidà, che rappresenta l’Anima della Perfetta Unione col Divino). Infatti, uno degli scopi dell'”anima avvolgente” è quello di difendere l’organismo dagli attacchi delle entità malvagie e negative, anch’esse presenti nella dimensione dello spirito. Proprio per questo motivo il materiale usato era l’oro, che rappresenta la consapevolezza, quello che l’Alchimia chiama “oro filosofico”.

Nell’Esodo si afferma che l’universo presente è dominato dalle forme sferiche, mentre quello futuro sarà dimora soprattutto di figure cubiche. Questa trasformazione contiene il segreto del passaggio da un tempo circolare che tende a ripetersi secondo il mito del “Ritorno all’infinito” ad un tempo completamente differente, formato da linee rette, che portano verso un traguardo completamente diverso dal punto di partenza. Questo è infatti uno de punti più forti dell’innovazione del pensiero ebraico e che è giunto fino a noi. Dal punto di vista simbolico tutto ciò viene rappresentato tramutando lo spazio fisico da una forma sferica a quella cubica. Quest’insegnamento ci viene mostrato anche dal più antico testo di Caballah, il Libro della Formazione, che si occupa anche delle corrispondenze tra pianeti, lettere dell’alfabeto ebraico e segni zodiacali. Il testo parla di un “cubo dello spazio”, composto da ben dodici lati che rappresenterebbero i dodici segni zodiaco. Ma come abbiamo già detto, l’Arca dell’Alleanza non era cubica, ma a forma di parallelepipedo. Questo stava a rappresentare i “nuovi Cieli” e la “nuova Terra” in via di formazione, mentre erano ancora in movimento e non avevano ancora raggiunto uno stato di definitivo riposo. Troviamo scritto nell’Esodo (25, 18-21): “Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati al martello sulle due estremità del coperchio. Fa’ un cherubino ad una estremità e un cherubino all’altra estremità. Farete i cherubini tutti di un pezzo con il coperchio, alle sue due estremità. I due cherubini avranno le due ali stese di sopra, ricoprendola, e i loro volti saranno rivolti l’uno verso l’altro, e verso il coperchio. E porrai il coperchio sulla parte superiore dell’Arca, e collocherà nell’Arca la testimonianza che ti darò”. La tradizione ebraica dà ai cherubini il volto di bambini, simbolo di purezza, trasparenza e sincerità. Importante anche il fatto che i volti dei cherubini siano uno maschile e uno femminile. Questo vorrebbe sottolineare una sorta di matrimonio mistico, di congiunzione degli opposti, che grazie alle ali poste sopra al coperchio del contenitore, permettono di effettuare un volo nei mondi divini. Infine alcuni studiosi che si sono soffermati sulle ali degli angeli, mostrano come la loro forma possa essere ricondotta a quella del portale che un giorno “accoglierà i giusti”.

Ai lati della cassa Mosè inserì quattro anelli per agevolarne lo spostamento e per far sì che essa non fosse toccata. Questo contenitore è considerato l’oggetto più sacro della tradizione religiosa ebraica e viene denominato Arca della testimonianza. Al suo interno Mosè depose il bastone con cui separò le acque del Mar Rosso e scatenò le piaghe contro l’Egitto, una manciata della manna ricevuta durante la traversata del deserto e le Tavole dei Dieci Comandamenti, testimonianza dell’avvenuto contatto e alleanza tra Dio e l’uomo. Mosè impose poi al suo popolo, per la custodia dell’Arca dell’alleanza, una serie di ordini difficilmente comprensibili da coloro che gli stavano intorno. L’Esodo prosegue la narrazione dicendo che “Dell’Arca si occuperanno i figli di Aronne ed i leviti non vi si potranno avvicinare se non dopo che questa sia stata coperta dai sacerdoti; durante l’esodo la cassa sarà posta all’interno della Tenda del Signore, una sorta di tempio scomponibile, nelle soste e portata alla testa del popolo durante le marce; nessuno dovrà mai toccarla. E soprattutto, in particolari momenti spetterà solo a me servirmene per lasciarvi comparire Dio in trono nello spazio fra i due cherubini”. Gli ordini vennero seguiti fino a che nel 587 d.C. l’Arca scomparve, probabilmente a causa della sconfitta degli ebrei da parte dei babilonesi che li derubarono di tutti i loro averi. Fino a quel momento, una volta raggiunta la Terra Promessa, i leviti avevano posto l’Arca nel sancta sanctorum, una cella segreta sotterranea nel Tempio di Gerusalemme. Nessuno poteva eccedere alla segreta e l’Arca veniva mostrata solamente in casi particolarmente eccezionali, anche perché ad essa era attribuita una incontrollabile potenza. Per esempio i racconti biblici narrano che grazie all’Arca alla loro testa gli ebrei riuscirono ad annientare le decine di tribù nemiche incontrate durante l’esodo nel deserto del Sinai. Nel Secondo libro di Samuele si dice che chiunque toccasse l’Arca moriva percosso da Dio. Gli stessi figli di Aronne morirono così, sebbene fossero proprio loro i custodi del sacro contenitore.

Graham Hancock, Il mistero del sacro Graal Robert Charroux, scrittore francese, sostiene che l’Arca potesse sviluppare delle scariche elettriche che si aggirano intorno ai 700 volt. Questo potrebbe trovare spiegazione grazie al fatto che Mosè in Egitto aveva ricevuto nozioni di essoterismo, alchimia, meteorologia e fisica dai sacerdoti egiziani. Quindi l’Arca sarebbe stata strutturata come un condensatore elettrico che sfruttava il legno di acacia come isolante tra i due strati d’oro. Questo potrebbe spiegare anche il perché dei raggi di fuoco che le aleggiavano intorno e le terribili scosse scaricate su chi la toccava. Il tempio che avrebbe contenuto l’Arca fu saccheggiato nel 925 a.C. dagli egiziani del faraone Soshenq Iº, nel 797 da Gioas re d’Israele, nel 621 dalle forze armate caldee e babilonesi. Quando nel 516 a.C. Zorobabel fece ricostruire il Tempio di Gerusalemme, l’Arca era già scomparsa e non si sa bene in quale circostanza. Possiamo così riassumere le principali tappe dell’Arca: Gerusalemme, Elefantina, Axum. Il rabbino israeliano Shlomo Goren sostiene fermamente che l’Arca della testimonianza sia riuscita a sfuggire ai vari saccheggi e che si trovi ancora nel sancta sanctorum in cui attualmente si trova la spianata delle moschee islamiche di Gerusalemme, e le autorità religiose preferirebbero non intaccare ulteriormente quel poco equilibrio che sarebbe rimasto in quella zona. La cronaca etiope del trecento Kebra Nagast (Gloria dei re) afferma che l’oggetto sacro, identificato con l’Arca dell’alleanza, sarebbe stato portato di nascosto nella chiesa di Santa Maria di Sion ad Axum (Etiopia) da Menelik, figlio di Re Salomone e della regina di Saba conosciuta come Makeda. Tutto il mistero che si è con il tempo sviluppato intorno all’Arca, e mitizzato dai racconti di vario genere, ha coinvolto una moltitudine di ricercatori che hanno iniziato a seguire le tracce dell’Arca. Tra questi troviamo l’archeologo ebreo Vendil Indiana Jones, che ha ispirato l’omonimo personaggio cinematografico impersonato da Harrison Ford in numerosi film, e lo studioso inglese Graham Hancock, esperto di storia templare che sostiene fermamente il sacro contenitore sia custodito in una cappella nella zona del lago Tana in Etiopia. Purtroppo ognuna delle circa ventimila chiese copte dell’Etiopia custodisce una copia dell’Arca e quindi pare che trovare l’originale sia pressoché impossibile. Un’altra teoria seguita è quella che gli ebrei di Gerusalemme temessero Manasse, spietato ed incline al culto degli idoli, e che quindi l’Arca sia stata trasportata in un altro di luogo 687 a.C. circa. Dobbiamo ricordare che per gli Ebrei l’unico posto degno di poter conservare l’Arca era il Tempio di Gerusalemme, poiché tutti i territori stranieri erano blasfemi. Un gruppo di archeologi tedeschi trovò dei resti attribuiti ad un tempio giudaico risalente al 650 a.C (periodo della fuga dei sacerdoti da Manasse), sull’isola di Elefantina e le misure di questo corrispondevano più o meno alle misure del Tempio di Gerusalemme. Grazie ad alcune scoperte effettuate nell’isoletta di Tana Kirkos, nei pressi di Elefantina, una leggenda narra che l’Arca nel suo viaggio verso l’Etiopia si fermò per circa otto secoli nell’isola. Nel III secolo d.C. ecco di nuovo l’Arca in Etiopia, ad Axum, per opera di Re Ezana. Se provassimo a sottrarre gli otto secoli dal III secolo d.C. della permanenza nell’isola di Tana Kirkos, arriveremmo al V secolo a.C., che è il momento in cui dovrebbe essere stato distrutto tempio di Elefantina. Ma anche tre italiani sarebbero riusciti ad avere notizie dirette dell’Arca. Si tratterebbe del prof. Vincenzo Francaviglia, direttore del CNR per le tecnologie applicate ai Beni culturali, il prof. Giuseppe Infranca, dell’Università di Reggio Calabria, e dell’architetto Paolo Alberto Rossi del Politecnico di Milano. Trovandosi ad Axum su un invito del governo etiopico, furono invitati ad un incontro con l’abuna, la massima autorità religiosa locale. L’abuna li ricevette e li condusse a visitare la vecchia chiesa cristiana di S.Maria di Sion ad Axum, Dietro l’altare maggiore, ci sarebbe stata l’Arca protetta da un baldacchino di velluto rosso. Solo un caso permise loro di vedere quel che restava della cassa di legno scuro, lunga più o meno un metro e alta circa sessanta centimetri, con il tetto a doppio spiovente. Le lamine d’oro erano scomparse. Appena l’abuna si rese conto che i tre avevano notato il contenitore lo fece rapidamente coprire. Infatti, secondo la religione copta, nessuno può vedere l’Arca, poiché è un privilegio consentito ad un solo abuna per generazione. Nonostante in qualche modo sia possibile ripercorrere la storia dell’Arca e tutte le sue caratteristiche, non ci sono prove tangibili della sua esistenza, inserendola di diritto nella lunga lista dei tesori scomparsi. La ricerca dell’Arca, comunque, non si interromperà qui, e molti continueranno a cercare questa testimonianza dell’alleanza tra tutti gli uomini.

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Ultimi messaggi

  1. Claudio
    | Rispondi

    Personalmente sospetto che Tito regaló l ‘ arca a Berenice quando essa partì da Roma.

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