Antigone e il Capitano

L’articolo che segue è una sorta di continuazione-ampliamento del precedente Joe e il capitano, prende spunto dal caso Priebke e in esso cercherò di rispondere alla domanda se e quando è moralmente lecito per un soldato rifiutarsi di ubbidire agli ordini, così come si è preteso Priebke avrebbe dovuto fare per la rappresaglia delle Fosse Ardeatine, e più in generale, un cittadino decidere di non rispettare le leggi per motivi di coscienza.

Noi sappiamo che in un contesto come quello della seconda guerra mondiale era del tutto impensabile che i soldati tedeschi, combattenti di una nazione impegnata in una lotta per la vita se mai ve n’è stata una, potessero rifiutarsi di ubbidire agli ordini, e nulla e nessuno, nemmeno il tribunale di Norimberga, ha il diritto di pretendere l’impossibile, ma immaginando che le circostanze storiche fossero diverse, si può pretendere da un soldato, da chi indossa una divisa la non esecuzione degli ordini? Ancora più in generale, una persona, un cittadino ha il diritto o addirittura il dovere di disapplicare le leggi e le regole quando queste contrastino a qualsiasi titolo con la propria coscienza personale?

La questione non è sicuramente di oggi né si è presentata per la prima volta nel corso della seconda guerra mondiale: compare già nel mito greco di Antigone da cui Sofocle ha tratto la sua tragedia forse più famosa. Questo mito si collega a quello di Edipo. Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si odiano di un odio mortale. Eteocle diventa re di Tebe dopo la morte di Edipo, e Polinice conduce una spedizione contro di lui e contro la città. Affrontandosi in duello i due fratelli si danno la morte a vicenda. Il nuovo re, Creonte, decreta che Eteocle sia sepolto con tutti gli onori, ma che il cadavere di Polinice, in quanto traditore della città, sia lasciato insepolto. Antigone, sorella dei due, decide di seppellire Polinice sfidando le leggi della città e l’autorità di Creonte, da qui l’inevitabile punizione. Il mito e la tragedia di Sofocle ci segnalano che il conflitto fra legge pubblica e morale individuale risale almeno all’antichità ellenica.

In tempi moderni, lo psicologo Erich Fromm si è segnalato per il suo tentativo di conciliare cristianesimo e psicanalisi (e noi già capiamo che mettendo insieme due ingredienti uno più indigesto dell’altro, è ben difficile che ne esca qualcosa di appetibile). Egli osserva – e su questo si può tranquillamente concordare – che Sigmund Freud per inventarsi il complesso di Edipo, ha dato del mito di Edipo, in verità molto complesso e ricco di significati, una lettura riduttiva e mutila incentrata esclusivamente sugli aspetti sessuali.

Se non che Fromm, che nell’ambito del mito edipico ha concentrato il suo interesse soprattutto sulla figura di Antigone, facendone un’eroina moderna, una cristiana o una marxista ante litteram, una ribelle che sfida le convenzioni in nome di un’etica personale, ha dimostrato di avere profondamente frainteso l’antichità greca (un giorno, forse, ma ne dubito molto, qualcuno di quei cattolici tradizionalisti avrà il coraggio di renderci conto delle evidenti convergenze fra la dottrina del Discorso della Montagna e quella del Capitale).

Lo storico Alessandro Passerin D’Entreves ci ha spiegato che: “La contrapposizione, il dualismo del bene individuale e del bene dello Stato sono assolutamente estranei al pensiero greco: l’associazione politica rappresenta la piena attuazione del fine individuale, quindi la forma più alta della vita. Il pensiero greco non conobbe la distinzione tra vita politica e vita morale”.

Quello di Antigone non è un gesto ribellistico di tipo moderno cristiano-marxista, ma l’appello a una morale più arcaica di tipo familistico, tribale, che affonda forse le radici nello spirito matriarcale pelasgico, contrapposta alla legge della polis.

Tuttavia, una volta chiarito questo, il problema del conflitto fra etica personale e legge pubblica rimane. A prescindere dal fatto che nel mondo ellenico come contraltare alla figura di Antigone si erge quella di Socrate che preferisce morire pur di non trasgredire le leggi, è visibile come se si accetta il principio che chiunque può disapplicare le leggi, trasgredire gli ordini in nome della propria etica o ideologia personale, si apre la porta a un’involuzione estremamente pericolosa della vita civile. Quale esercito può vincere una battaglia se i soldati non eseguono gli ordini? L’obiezione di coscienza, molti hanno avuto la pretesa di estenderla al pagamento delle imposte, dato che una parte di esse va alle spese militari. Per gli islamici è moralmente giusto uccidere gli “infedeli” e via dicendo.

Scopro un’inaspettata simpatia per Creonte, l’uomo cui spetta il compito di far rispettare la legge e di opporsi al caos, che Fromm definisce “la tipica figura del tiranno” e manca poco che lo chiami “fascista” in contrapposizione alla cristiano-marxista Antigone (quella di Fromm, non quella di Sofocle).

Poiché nessuna comunità umana può sopravvivere a lungo in preda al caos, noi sappiamo come si risolve praticamente e storicamente il problema, con l’emergere di un’autorità, di un potere “terzo” (auto)deputato a dare i valori morali e contrapposto all’autorità civile e alle sue leggi, generato da quella stessa tendenza, espressione di quella stessa forza che ha provocato la frattura nell’antica unità fra “ius” e “mos”: il cristianesimo o, nell’età moderna il marxismo, che ne è semplicemente una versione laicizzata che ne ha modificato la dottrina soteriologica spostando “il paradiso” dall’aldilà ultraterreno a un indefinito futuro storico, “il sol dell’avvenire”.

Si vede allora che quella relatività dei valori etici, quella momentanea libertà di scelta che deriva dalla dissoluzione del legame fra l’uomo e la polis, la comunità nativa col suo sistema congiunto di leggi e valori, quella “libertà in cui l’uomo è gettato come un naufrago in un mare in tempesta”, come ha detto un filosofo che non voglio nominare ora per essere stato accusato di averlo citato troppo spesso, non è che una fase transitoria che prelude all’affermazione della più spaventosa delle tirannidi. La persecuzione dei seguaci dell’antica fede o dei nemici di classe, l’imposizione manu militari della “dottrina” ai popoli assoggettati, i roghi degli eretici, l’inquisizione, i gulag, l’incubo di un’ideologia tesa a riplasmare a suo gusto l’essere umano tanto nella vita associata quanto nella dimensione personale.

Una cosa che mi ha sempre colpito e alla quale mi sembra non si sia prestata sufficiente attenzione, è il fatto che il più sanguinario tiranno di tutti tempi, Josef Stalin (altro che il povero Creonte, con buona pace di Eric Fromm) non abbia rivestito alcuna carica statale ma quella di segretario del PCUS. Quest’uomo non era tanto il secondo usurpatore dopo Lenin dell’impero già appartenuto agli zar, quanto piuttosto il papa del comunismo, un papato con annesso il più gigantesco, ipertrofico, mostruoso, aggressivo “stato della Chiesa”, della Chiesa-partito che si sia mai visto, l’Unione Sovietica.

Altra versione semi-laicizzata di cristianesimo, il liberalismo che, specialmente nella sua corrente maggiormente “religiosa” ed “esoterica”, quella massonica, mostra molto bene quale sia la sua matrice, con la sua adorazione per “Il grande architetto dell’universo”, l’occhio onniveggente iscritto in un triangolo sovrapposto alla piramide che ci fissa – guarda un po’ – dai dollari, la sua aspirazione a “ricostruire il tempio di Gerusalemme”, è in tutto e per tutto una caricatura di cristianesimo che semmai ne evidenzia ancor più l’origine ebraica.

Cristianesimo, marxismo, liberalismo convivono e si fondono in quel coacervo chiamato democrazia, dove i popoli in realtà non solo non hanno alcun potere, ma sono condannati a morte, destinati a sparire nel miscuglio interrazziale.

Peggio del cristianesimo e delle sue moderne propaggini (marxismo, liberalismo, democrazia) in campo “religioso” c’è soltanto il totale assorbimento, la totale vampirizzazione della sfera civile da parte di una dimensione (pseudo)religiosa, in una parola, l’islam. Come è stato fatto notare da studiosi di vaglia del fenomeno religioso – Valli e Lorenzoni – l’islam è davvero “l’ultima religione” nel senso che più in basso di così non è possibile cadere. Se c’è una religione che si può definire totalitaria, è senz’altro l’islam, essa si impadronisce della vita del credente e tende a escludere qualsiasi cosa la possa mettere sia pure lontanamente in discussione: scienza, filosofia, cultura, ma anche semplicemente la capacità e l’attitudine a pensare in maniera autonoma, è una religione che poteva attecchire solo fra genti ignoranti e culturalmente deprivate, ma a sua volta è causa di ignoranza e di deprivazione culturale.

Cristianesimo, marxismo, liberalismo, democrazia, islam. Si vede bene che tutto questo ha la sua radice remota o prossima in qualcosa di esterno, di estraneo all’Europa, che ha un inconfondibile marchio d’origine mediorientale, e che nel suo insieme ha agito come un veleno o un acido dissolutore, ed è stato la prima causa della crisi, forse della scomparsa che ormai appare non lontanissima, della civiltà europea, una crisi che ormai fa data da qualcosa come cinque secoli, a partire da quella recrudescenza dello spirito dissolutore cristiano che è stata la riforma protestante, e si è man mano aggravata per ondate successive l’una più distruttiva dell’altra, quella crisi che nel suo insieme conosciamo come modernità.

Il principio della libertà di coscienza o ha un valore universale oppure non vale nulla, e nella prima ipotesi è una libertà che spetta anche a noi. ABBIAMO IL DIRITTO (e il dovere) DI DIRE NO, di opporre al soggettivismo etico che a partire dalla cristianizzazione ha aperto la porta alla dissoluzione della cultura europea, e oggi apre le porte all’invasione allogena del nostro continente, un insormontabile rifiuto.

Non siamo i primi a percorrere questa strada; sempre quel filosofo che non posso nominare ricordava che fascismo e nazionalsocialismo sono stati: “Forme di neopaganesimo che cercavano di ricollegare la società a un Ethos”.

Allora si vede bene che la domanda sul se e quando sia moralmente lecito trasgredire gli ordini e violare le leggi, trova una facile risposta: non è certo lo stato democratico, lo stato aureolato di una tale sacralità da indurre, sull’esempio di Socrate, a scegliere la morte piuttosto che violarne le norme.

Fra la nazione e lo stato ci dovrebbe essere un rapporto di contenuto e contenitore, di sostanza e forma. La ragione dell’esistenza dello stato dovrebbe essere quella di proteggere la nazione, tutelarne la vita materiale e spirituale, la continuità di sangue e cultura, creare le condizioni perché essa possa continuare a esistere in futuro, e se possibile prosperare e progredire. Se lo stato manca a questo fondamentale compito, o addirittura agisce in senso contrario a esso, non merita né fedeltà né rispetto, né meritano obbedienza le leggi che esso promulga. È ben visibile che è precisamente questo il caso degli stati cosiddetti democratici che opprimono l’Europa da settant’anni, a cominciare da quello forse peggiore, forse più lontano dai cittadini, forse più “casta” che abbiamo avuto la sfortuna di vedere, la democratica repubblica italiota.

Gli stati cosiddetti democratici sono di fatto dei proconsolati del dominatore statunitense che settant’anni fa vinse il confitto mondiale, e il loro compito, già previsto da lungo tempo ed entrato in fase di attuazione a pieno regime con la fine della Guerra Fredda, non è di preservare i popoli europei, ma di favorire la loro scomparsa attraverso la sommersione nell’ibridazione interrazziale conseguente all’immigrazione/invasione dal Terzo Mondo appositamente provocata. La democrazia è al di sotto di quel minimo a partire dal quale uno Stato può pretendere la lealtà dei propri cittadini. Contro la democrazia la ribellione è legittima e spesso doverosa.

Quelle che assolutamente non si possono accettare sono le leggi che sono intese a colpire la libertà di pensiero e di espressione che da vent’anni a questa parte, nelle democratiche tirannidi che opprimono il nostro continente si sono andate moltiplicando, e nei fatti smentiscono il luogo comune secondo il quale vi sarebbe una coincidenza fra i regimi cosiddetti democratici e il concetto di libertà, in barba a tutte le dichiarazioni sempre più disapplicate enunciate nelle varie costituzioni, leggi intese a colpire “l’apologia del fascismo”, ciò che i “buoni” e bigotti democratici chiamano razzismo e il più delle volte non è che la naturale espressione dell’istinto di autodifesa dei popoli europei di fronte a una turba di invasori allogeni, la ricerca storica sulla seconda guerra mondiale e soprattutto sul cosiddetto olocausto, un mito che non deve essere rimesso in discussione, perché da esso dipende il complesso di colpa instillato ancora oggi negli europei in modo che subiscano supinamente il destino loro imposto, o meglio ancora collaborino attivamente alla propria distruzione.

La libertà non può essere compartimentata, suddivisa in settori: la lesione della libertà in un ambito si riflette sugli altri: un esempio, per tappare “democraticamente” la bocca allo scrittore austriaco Gert Honsik e sbatterlo “democraticamente” in galera perché colpevole di aver rivelato nel suo omonimo libro “Il piano Kalergy in 21 punti” volto alla distruzione dei popoli europei attraverso il declino demografico provocato e l’invasione allogena del pari provocata, si è fatto ricorso alle leggi sul cosiddetto negazionismo dell’olocausto sebbene, palesemente, con l’olocausto il suo libro nulla c’entri. La verità è che i “democratici” padroni dell’Europa vogliono “democraticamente” imporci una camicia di forza che ci impedisca sempre di più di essere informati e di pensare.

Se c’è una cosa che fa ancora più schifo delle leggi ingiuste e liberticide che caratterizzano la democrazia, è la loro altrettanto ingiusta e arbitraria applicazione che di fatto distingue i cittadini in intoccabili e perseguitabili in base alle loro convinzioni. Un esempio: la legge Scelba proibisce ai partiti di dotarsi di organizzazioni paramilitari. Nel dopoguerra, fino agli anni ’80 questo divieto è stato sistematicamente violato da un solo partito, il PCI che si era dotato dell’organizzazione paramilitare nota come “Gladio rossa”.

E’ da notare che questa denominazione inventata dai giornalisti quando l’esistenza dell’organizzazione fin allora segreta, trapelò, è del tutto impropria. Gladio, la vera Gladio, o “Stay Behind” era un’organizzazione segreta ma non illecita, tutt’altro, creata in ambito NATO per organizzare la resistenza dietro le linee del nemico in caso di invasione sovietica dell’Italia.

Giulio Andreotti ne rivelò pubblicamente l’esistenza, vanificandola, allo scopo di procurarsi benemerenze presso i comunisti in vista di una sua possibile elezione a presidente della repubblica. E’ mio modesto parere che se quest’uomo della cui non remotissima scomparsa è stato impossibile addolorarsi, che è stato una delle figure più inquietanti della storia italiana recente e uno dei massimi interpreti della politica intesa come esercizio disinvolto e amorale del potere, che è stato nominato senatore a vita, avesse dovuto davvero ricevere “il premio” adeguato ai suoi “meriti”, avrebbe concluso la sua carriera politica e la sua vita non sugli scranni di Palazzo Madama ma nella cella di un carcere.

Pensate che qualche dirigente comunista sia mai stato condannato o anche solo indagato in base alla legge Scelba? Pensate forse che la legge che adesso sta per entrare in vigore sul negazionismo verrà mai applicata nei confronti di coloro che negano o addirittura fanno apologia del genocidio delle foibe? Io che vivo a Trieste dove abbiamo il dubbio onore di ospitare una consistente minoranza slovena, vi posso assicurare che nostalgici di Tito, negatori o esaltatori delle foibe ce ne sono tanti fra i “compagni” e non solo fra gli sloveni. Andiamo! Sappiamo benissimo per colpire chi e quali idee sono fatte certe leggi!

Noi dovremo cercare fin che ci sarà possibile, di essere come il leone, che può essere ucciso ma a cui nessuno può mettere il guinzaglio.

Intanto alla “nostra” democrazia comincia già a mancare il capitano Priebke scomparso appena da una decina di giorni, essa ha un bisogno spasmodico di evocare “mostri nazisti” per far leva sull’emotività della gente e far passare inosservate le proprie malefatte. Si sono subito ingegnati di trovargli un sostituto, e la “nostra” magistratura ha comminato un ergastolo che per forza di cose non potrà essere che simbolico, a un ex militare tedesco che sarebbe implicato nell’eccidio di Cefalonia (un altro episodio la cui vera storia è tutta da riscrivere) e che all’epoca rivestiva il grado – guarda un po’ – di sergente.

Il tempo lavora contro di loro: la prossima volta toccherà a un ex hitlerjugend che all’epoca dei fatti aveva i calzoni corti e le ginocchia sbucciate. Gli dei fanno impazzire coloro che vogliono rovinare, e cominciano col togliergli il senso del ridicolo.

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