Alle fonti dell’idea di Impero

augustoSecondo la scienza politica, l’Impero risulta una costruzione politica di complessa definizione. È senz’altro « il più grande corpo politico conosciuto dall’uomo» (1). Nel XXI, l’unico Impero rimasto al mondo è l’Impero giapponese, che – tuttavia – si presenta come una moderna monarchia parlamentare. Infatti, l’Imperatore del Giappone ha principalmente doveri cerimoniali e non detiene un vero potere politico. Mentre Philippe Richardot, nel suo Les grands Empires. Histoire et géopolitique, evidenzia come il Brasile, il Canada, l’Unione indiana, gli Stati Uniti d’America, e la Russia, pur essendo sistemi politici che si estendono su ampie superfici, non sono classificabili come Imperi. Tratto peculiare dell’Impero non è infatti la sua ipertrofia territoriale. Ciò che contraddistingue l’Impero rispetto ad altre costruzioni politiche, è essenzialmente la sua funzione equilibratrice esercitata nello spazio che lo delimita, con l’obiettivo di regolare i rapporti tra le nazioni, i popoli e le etnie che lo costituiscono, in modo da salvaguardarne e proteggerne le singole caratteristiche. Altro elemento che caratterizza l’Impero è la sua Weltanschauung spirituale: ogni costruzione imperiale, infatti, esprime un’unità spirituale facente riferimento ad un unico sistema valoriale.

Per Julius Evola, l’Impero è ben più di uno Stato, così come l’Imperatore è ben più di un sovrano. Ben lo si evince da queste parole: «È assolutamente un errore che l’imperio si possa costruire sulla base di fattori economici, militareschi, industriali e anche “ideali”. L’Imperium, come secondo la concezione iranica e romana, è qualcosa di trascendente, e lo realizza soltanto chi abbia la potenza di trascendere la piccola vita dei piccoli uomini, con i loro appetiti, con i loro gretti orgogli nazionali, con i loro “valori” “non valori” e Dei» (2).

L’Impero è per Evola la forma politica che ogni civiltà che voglia definirsi normale, deve adottare: «Non vi è forma di organizzazione tradizionale – avrà a dire – che, malgrado ogni caratteristica locale, ogni esclusivismo empirico, ogni «autoctonismo» di culti ed istituzioni che essa difenda gelosamente, non celi un principio più alto, il quale viene in atto quando l’organizzazione tradizionale si eleva fino al livello e all’idea dell’Impero. Tali sono appunto le culminazioni imperiali del mondo della Tradizione. Idealmente, un’unica linea conduce dall’idea tradizionale di legge e di Stato a quella di Impero» (3). L’Impero, a differenza dello Stato borghese moderno, è da intendersi, dunque, quale approssimazione al “più che vivere” essendo la sua ragion d’essere proveniente dall’alto, e verso l’alto diretta la sua “politica”. Dirà sempre Evola: «leggi ed istituzioni, come erano dall’alto, così esse, nei quadri di ogni tipo veramente tradizionale di civiltà, erano verso l’alto. Un ordinamento politico, economico e sociale creato tutto e per tutto per la sola vita temporale, è cosa propria esclusivamente al mondo moderno, cioè al mondo dell’antitradizione» (4).

imperialismo-paganoSecondo la visione tradizionale, imprescindibile dall’idea di Impero è la figura del chakravartin, il “monarca universale”. Proprio nella Tradizione spirituale Evola individua il terreno in cui l’uomo può ritrovare il suo essere divino. Quell’essere divino che giace sepolto nel suo animo, e che dev’essere rivitalizzato per far di lui un chakravartin, un re di «pace» e «giustizia». Ma eziandio la concezione antropologica di Evola sarà fortemente debitrice dell’idea della “grande politica” di Nietzsche. Evola, infatti, parte dal fondamentale presupposto che la volontà di potenza sia conculcata dalla decadenza del mondo moderno. In Imperialismo pagano individua quale acerrimo nemico dell’idea di Impero la “religione che è venuta a prevalere in Occidente”, quel Cristianesimo basato su valori etici e morali ritenuti antitetici alla stessa natura umana, quali fratellanza, culto del debole e del povero, maggiore importanza attribuita ad una ipotetica vita nell’al di là piuttosto che alla presente (posizione “anticristiana” questa, che sarà – in seguito – abbandonata). L’Impero è invece strutturato gerarchicamente, al suo vertice vi sono figure ieratiche, numinose, che irresistibilmente si impongono alle masse. Ѐ chiaro come l’Impero sia per Evola non solo una mera organizzazione politica ma un’idea metafisica. Dirà, infatti, che l’Impero affonda le sue radici «nel sentimento di dover al divino la sua grandezza e la sua aeternitas; nell’azione come rito nel rito come azione; nell’esperienza limpida eppur possente del sovrannaturale, che […] culminò nel simbolo di Cesare come numen» (5). Paventa, altresì, l’ipotesi che durante il Medioevo, alle origini della lotta tra l’Impero e il Papato, non vi sia stata soltanto una mera rivalità politica, ma anche fra due tipi diversi di spiritualità propugnati dai “due Soli”, in quanto il “ghibellinismo” attribuiva all’autorità imperiale un fondamento spirituale pari a quello che la Chiesa pretendeva di essere la sola a possedere. Sosterrà, infatti, che: «quale istituzione sovrannaturale universale, creata dalla Provvidenza come remedium contra infirmitatem per rettificare la natura caduca e indirizzare gli uomini verso la salute eterna – l’idea dell’Impero si riafferma ancora una volta nel Medioevo ghibellino» (6).

il-re-del-mondoIn termini piuttosto simili si esprimerà René Guénon ne Il Re del Mondo, asserendo che: «mentre nel medioevo il potere supremo (stando per lo meno alle apparenze esteriori) era diviso fra il Papato e l’Impero […] nella Roma antica […] l’Imperator era al tempo stesso Pontifex Maximus» (7), e che anche «la teoria musulmana del Califfato unisce, almeno in certa misura, i due poteri, come anche avviene nella concezione estremo-orientale del Wang» (8). Tale separazione tra potere temporale e potere religioso venuta a crearsi in Occidente, è per il pensatore francese «segno di un’organizzazione incompleta al vertice, […] poiché non vi appare il principio comune da cui procedono e dipendono regolarmente i due poteri» (9). Ecco come il Guénon tratteggerà la figura del chakravartin: «il termine chakravartin, […] si adatta molto bene, in rapporto ai dati della tradizione indù, alla funzione del Manu o dei suoi rappresentanti: letteralmente è “colui che fa girare la ruota”, colui cioè che, posto al centro di tutte le cose, ne dirige il movimento senza parteciparvi egli stesso, o che, secondo l’espressione di Aristotele, ne è il “motore immobile”» (10).

Chakravartin, infatti, è un termine sanscrito che letteralmente significa “colui per il quale la ruota della legge gira”. In India con questo termine si indicava un sovrano che ambiva ad un regno universale. Reso in italiano come “Imperatore” o “sovrano universale”, nella mitologia giaina dell’India il titolo di chakravartin fu attribuito ai 12 Sovrani del mondo che, assieme ai 24 Tīrhaṃkara e ai 27 Eroi formavano la folta schiera dei 67 grandi uomini, decantati dai poeti dei Purāṇa. L’epiteto di chakravartin si trova per la prima volta attribuito al re Aśoka Moriya il Grande, che nel III sec. a.C. conquistò gran parte della penisola indiana. Aśoka fu noto per essersi convertito al Buddhismo e averne sostenuto la diffusione. Proverbiale è il carattere pio dei suoi editti cui affidò la sua missione sia legislatrice che moralizzatrice dei popoli sottomessi. Ma, sebbene Aśoka divenne un fervente sostenitore del Buddhismo, il suo manifesto sostegno a tale via spirituale non si tradusse mai in una politica discriminatoria nei confronti delle altre religioni. Una prova in tal senso è data dal suo XII editto inerente la tolleranza religiosa, che così recita: «Sua Maestà il re santo e grazioso rispetta tutte le confessioni religiose, ma desidera che gli adepti di ciascuna di esse si astengano dal denigrarsi a vicenda. Tutte le confessioni religiose vanno rispettate per una ragione o per l’altra. Chi disprezza l’altrui credo, abbassa il proprio credendo d’esaltarlo» (11). Le leggi introdotte da Aśoka rappresentarono una vera rivoluzione culturale in tutti gli ambiti della vita pubblica: fu proibita la caccia, si favorì il vegetarismo, si ridusse la gravità delle pene, furono costruiti ospedali per uomini e animali, università, sistemi di irrigazione, e nuove strade.

Altro imperatore ad essere insignito del titolo di chakravartin fu Menandro I Soter, “il Salvatore”, sovrano del Regno indo-greco nel nord dell’India e nel Pakistan tra il 165 a.C e il 130 a.C. Di lui si narra che fu tra i primi occidentali a convertirsi al Buddhismo; ciò è testimoniato dal ritrovamento di alcune monete indo-greche dell’epoca di Menandro I sulle quali è presente il simbolo buddhista della ruota a otto raggi. Dopo il regno di Menandro I, diversi sovrani indo-greci come Agatocleia, Aminta, Nicia, Peucolao, Ermeneo, Ippostrato, Menandro II e Filosseno, assunsero il titolo di chakravartin. Molte sono, infatti, le raffigurazioni che li ritraggono con la mano destra atteggiata in un gesto di benedizione identico al vitarka mudra buddista (con pollice e indice uniti, e le altre dita tese), che nel buddismo indica la trasmissione degli insegnamenti del Buddha. Simboli del chakravartin sono altresì i sapta ratna, letteralmente i ‘sette gioielli’, essi sono: la ruota, l’elefante, il cavallo, il gioiello dei desideri, la regina perfetta, il primo ministro, e il generale sempre vittorioso. Un altro simbolo connesso alla figura del chakravartin è lo swastika. L’origine di tale simbolo è da rintracciarsi nel periodo post-iperboreo, quando si racconta che un’immane catastrofe si abbatté sulla Terra causando lo spostamento dell’asse terrestre; i poli si invertirono e – secondo la tradizione indù – l’ Età dell’Oro, il Satya Yuga, ebbe termine. Il simbolismo dello swastika è duplice, esso ha sia un significato “solare”: infatti alcune interpretazioni vogliono che le sue quattro braccia simboleggino le quattro stagioni, sia un significato “polare”, connesso ad un movimento di rotazione compientesi intorno ad un centro, l’Axis Mundi, il “Polo”, l’ “invariabile mezzo”, rappresentato sulla Terra dal Re del Mondo, Signore di «Pace» e «Giustizia», il quale agisce senza agire, immobile nel centro di un immenso swastika, proprio come il dio Shiva nella sua danza cosmica.

danteUna forte analogia esiste fra la concezione orientale del chakravartin e l’idea imperiale di Dante delineata nel De Monarchia. Dante, infatti, attendeva l’arrivo dell’“Alto Arrigo”, il quale come il chakravartin orientale avrebbe congiunto in sé il potere temporale e l’autorità spirituale, restaurando o raddrizzando il corso della storia. Ma l’idea imperiale dantesca, fu già di Roma antica; del resto il termine imperatore deriva da quello latino imperator, che indicava colui che era favorito dagli dèi, cioè colui che godeva della felicitas imperatoria. Tale relazione veniva sancita il giorno dell’inauguratio, ovvero il giorno in cui gli àuguri accertavano tale condizione del re. Altresì, l’Imperator fu considerato come possessore legittimo degli auspici, purché fosse sempre pius, cioè giustamente congiunto col mondo divino. Egli, inoltre – in qualità di Pontifex Maximus -esercitava il supremo ruolo di governo sul culto religioso, presiedendo il collegio dei pontefici e gli altri collegi sacerdotali, nominando le Vestali, i Flamini ed il Rex sacrorum, regolando il calendario, ed avendo il completo controllo sul diritto romano, della cui interpretazione era custode. L’Imperatore stesso era poi oggetto di culto, il cosiddetto culto del genius principis. A ciò si aggiungeva la possibilità di una vera e propria deificatio della persona dell’Imperatore dopo la sua morte, da parte del Senato. Tali pratiche durarono sino al 375, quando l’imperatore Graziano rifiutò la carica di pontefice massimo perché non compatibile con la nuova religione cristiana. Malgrado tutto anche in ambito cristiano l’Imperatore continuò a rivestire un ruolo di tutto rilievo come vicario di Cristo e rappresentante in Terra dell’ordine celeste. Rimarchevole è quanto ebbe a sostenere il De Sanctis – messa a confronto la concezione politica dell’Alighieri con quella del Machiavelli – affermando che: «L’influenza del mondo pagano è visibile anche nel medio evo, anche in Dante Roma è presente allo spirito. Ma lì è Roma provvidenziale e imperiale, la Roma di Cesare, e qui (nella Rinascenza, nda) è Roma repubblicana, e Cesare vi è severamente giudicato. Dante chiama le gloriose imprese della repubblica miracoli della provvidenza, come preparazione all’impero […] pel Machiavelli non ci sono miracoli, o i miracoli sono i buoni ordini […] Il medio evo qui crolla in tutte le sue basi, religiosa, morale, politica, intellettuale. […] Tra l’impero e la città o il feudo, le due unità politiche del medio evo, sorge un nuovo ente, la Nazione, alla quale il Machiavelli assegna i suoi caratteri distintivi, la razza, la lingua, la storia, i confini. […] Anche la base religiosa è mutata. Il Machiavelli vuole recisa dalla religione ogni temporalità […] e fa una descrizione de’ principati ecclesiastici, notabile per la profondità dell’ironia. La religione ricondotta nella sua sfera spirituale è da lui considerata, non meno che l’educazione e l’istruzione, come istrumento di grandezza nazionale. È in fondo l’idea di una Chiesa nazionale, dipendente dallo stato, e accomodata a’ fini e agl’interessi della nazione. […] Secondo il gergo di allora, il Machiavelli non combatte la verità della fede, ma la lascia da parte, non se ne occupa, e quando vi s’incontra, ne parla con un’aria equivoca di rispetto. Risecata dal suo mondo ogni causa soprannaturale e provvidenziale, vi mette a base l’immutabilità e l’immortalità del pensiero o dello spirito umano, fattore della storia» (12). Non a caso Machiavelli è ricordato come il padre della moderna scienza politica; e proprio umanismo, storicismo e autonomia politica dalla morale, assi portanti delle cogitazioni del secretario fiorentino, saranno alla base della concezione politica moderna, ormai emancipatasi dall’idea sacrale di un potere dall’alto, che fu invece propria della società medioevale.

globus-crucigerÈ interessante ricordare, a tal proposito, quanto affermato da Carl Schmitt, ossia che: «l’impero del medioevo cristiano dura fintanto che è viva l’idea del katechon» (13). Quello del katechon è un concetto che il giurista tedesco desume dalla teologia di San Paolo, il quale presenta il katechon come colui che si oppone all’avvento dell’Anticristo. Schmitt credeva fermamente nella reale esistenza del katechon. Pensava, altresì, dovesse esserci stato un katechon per ogni epoca a partire dalla nascita di Cristo, «altrimenti non ci saremmo stati più». In tal senso Schmitt richiama alcuni esempi di katechon: come l’Imperatore del medioevo cristiano, e la Chiesa di Roma. Stando a ciò, è interessante osservare come uno dei simboli più rappresentativi sia dell’Impero che del Papato sia il c.d. globo crucigero (globus cruciger): una sfera con in cima apposta una croce. Esso rappresenta il dominio di Cristo (la croce) sul cosmo (la sfera), ed è, inoltre, presente sulla tiara papale, essendo il Papa considerato “padre dei principi e dei re, rettore del mondo, vicario in terra di Cristo”.

È bene ricordare come l’idea imperiale rappresentasse, ad un tempo, il centro e il compimento dell’esperienza umana, riproponendo, nel dominio politico-sociale, la vittoria del kosmos sul chaos. Su questo punto avrà a soffermarsi l’Evola di Rivolta: «L’Impero, – dirà – quale unità tradizionale retta dal «re dei re», […] corrisponde appunto a ciò che il principio di luce ha conquistato sul dominio del principio tenebroso ed ha per limite il mito dell’eroe Saoshyant, signore universale di un futuro, compiuto, vittorioso regno della «pace». Non diversa idea si trova, del resto, nella leggenda secondo la quale l’imperatore Alessandro avrebbe sbarrato, con una muraglia di ferro, la via alle genti di Gog e Magog, le quali qui possono rappresentare l’elemento «demonico» soggiogato nelle gerarchie tradizionali» (14).

L’idea di un sovrano universale fu comune a tutte le civiltà tradizionali. Tra le principali figure in tal senso ricordiamo quelle di Caesar e di Augustus dell’Impero romano, quella di Basileus dell’Impero bizantino, quella di Kaiser negli Imperi tedesco e austriaco; quella di Zar nell’Impero russo, di Padiscià nell’Impero ottomano, di Shāhanshāh nell’Impero persiano, quella di Huangdi nell’Impero cinese, quella di Tennō nell’Impero giapponese, quella di Khakhan nell’Impero mongolo, quella di Huey Tlatolani nell’Impero azteco.

il-tramonto-dell-occidenteLa continuità dell’idea d’Impero e la sottesa unità spirituale furono incarnate in Occidente da figure imperiali della statura di Augusto, Alessandro Magno, Marco Aurelio, Giuliano Imperatore, Carlo Magno, Federico il Barbarossa, Federico II di Svevia. Poi, con il tramontare nella coscienza europea della concezione di un mondo unito sotto un unico potere temporale e un unico potere spirituale, la nascita dello Stato nazionale con la sua visione separatista ed economicistica; Stato nazionale, che ben poco ha di che spartire con la concezione imperiale. Così Evola si esprimerà in merito, nella sua nota quanto controversa opera Imperialismo Pagano: «L’Occidente ha perso il senso del comandare e dell’obbedire […] Non conosce più lo Stato: lo Stato-valore, l’Imperio, come sintesi di spiritualità e di regalità, quale rifulse in Cina, in Egitto, in Persia, in Roma, è stato sommerso dalla miseria borghese di un trust di schiavi e di trafficanti» (15). Il barone, altresì, non risparmierà veementi critiche allo stesso fascismo, imborghesitosi e ritenuto fautore di un nazionalismo fanfaronesco: «Dichiariamo – scriverà – che nazionalismo ed imperialismo (ovviamente non si riferiva all’accezione moderna del termine imperialismo, nda) sono due cose assai distinte, se non anche contraddittorie, fra loro. E in nome di una intransigenza fascista ci opponiamo aspramente a tutti coloro che colla scusa della “tradizione” e dello “storicismo” tendono oggi ad imborghesire e “normalizzare” il fascismo, a farlo servire ai loro scopi, a ridurlo ad una cosa piccola e paesana oltre che obbediente alla legge generale della attuale decadenza politica» (16). Del resto per Evola: «Come un corpo vivente non si tiene su che in quanto vi sia una anima a dominarlo – così ogni organizzazione sociale non avente radice in una realtà spirituale è precaria ed estrinseca, incapace di mantenersi salda e identica nella vicenda delle varie forze – è non propriamente un organismo, quanto piuttosto un composto un aggregato» (17).

Molteplici sono stati i tentativi di ricreare un Impero in età moderna; ci hanno provato Carlo V, Napoleone, Hitler, ma nessuno ci è riuscito. Per quel che concerne il Sacro Romano Impero, gli ostacoli principali ad un suo pieno concretizzarsi sono da individuare soprattutto nella rivolta dei Comuni, e nella nascita degli Stati nazionali, i quali mal sopportavano l’auctoritas dell’Imperatore. Per quanto riguarda Napoleone, invece, al di là della ripresa di alcuni simboli imperiali, primo fra tutti quello dell’aquila, ed altri rivestimenti di facciata, il suo non può considerarsi un tentativo di ripristino di un Impero su basi tradizionali, in quanto a suon di codici, editti e campagne militari egli si fece esportatore delle idee della Rivoluzione Francese, idee in netta antitesi con la concezione tradizionale di Impero. Piuttosto nell’epopea napoleonica è possibile intravedere in nuce i caratteri peculiari dell’imperialismo moderno: «La personalità di Napoleone ha improntato in anticipo la storia del secolo successivo» (18), osserverà Oswald Spengler. Quanto ad Hitler, il suo esclusivismo etnocentrico, si pone in opposizione all’ecumenismo ed all’universalismo imperiali, inoltre, molta parte dell’ideologia nazionalsocialista è da considerarsi – a ben vedere – quale frutto ambiguo della modernità.

Al giorno d’oggi, la parola «Impero» e i suoi derivati sono nella maggior parte dei casi pronunciate con accezione negativa, ciò a causa del prevalere di una determinata storiografia di matrice democraticista e di una certa confusione fra la definizione classica di “Impero” e quella tutta moderna di “imperialismo”, con cui si intende l’egemonia esercitata su altri paesi – generalmente del Secondo o del Terzo mondo – da parte di alcuni Stati occidentali, ai fini di sfruttarne le risorse, e di portare a compimento la realizzazione di quel monstrum giuridico internazionale basato su meri fini economici e materiali, che prende il nome – ormai arcinoto – di globalizzazione.

Note

(1) Philippe Richardot, Les grandes empires. Histoire et géopolitique, Ellipses, 2003.
(2) Julius Evola, Imperialismo pagano, 2004.
(3) Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, 1998.
(4) Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, 1998.
(5) Julius Evola, Imperialismo pagano, 2004.
(6) Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, 1998.
(7) René Guénon, Il Re del Mondo, 2011.
(8) René Guénon, Il Re del Mondo, 2011.
(9) René Guénon, Il Re del Mondo, 2011.
(10) René Guénon, Il Re del Mondo, 2011.
(11) Gli editti di Aśoka, a cura di G. Pugliese Carratelli, 2003
(12) Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana,1996
(13) Carl Schmitt, Ex captivitate salus, 1987
(14) Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, 1998
(15) Julius Evola, Imperialismo pagano, 2004
(16) Julius Evola, Imperialismo pagano, 2004
(17) Julius Evola, Imperialismo pagano, 2004
(18) Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente.

Bibliografia

Philippe Richardot, Les grandes empires. Histoire et géopolitique, Ellipses, Edition marketing, 2003.
Julius Evola, Imperialismo pagano, Edizioni Mediterranee, 2004.
Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee, 1998
René Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi, 2011.
Gli editti di Aśoka, a cura di G. Pugliese Carratelli, Adelphi, 2003
Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Einaudi, 1996
Carl Schmitt, Ex captivitate salus, Adelphi, 1987
Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, 2008

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2 Responses

  1. Helmut Leftbuster
    | Rispondi

    Uno scritto magistrale, dotto, illuminato ma fervido senza mai divenire partigiano, ha toccato ogni lembo della concezione imperiale tradizionale e soprattutto ghibellina. Una visione attaccabile solo dalla viralità storiografica mondialista, nichilista e livellatrice per ossessione dei suoi adepti ancor prima che per ruolo istituzionale.

    Complimenti.
    Offriamo un nostro contributo inerente il concetto di “speranza” ed “impegno” attraverso cui vitalizzare l’Amore per righe come queste.

    http://aristocraziaduracruxiana.wordpress.com/2013/03/15/ricordare-e-amare-poiche-lamore-e-lunica-scelta-immortale/

    Helmut

  2. Giasone
    | Rispondi

    Mi associo a quanto già detto sopra: articolo completo e chiarificatore per tutto quanto concerne la concezione di Impero in senso tradizionale; concezione dimenticata e – peggio ancora – travisata dalla storiografia moderna.

    Complimenti davvero.

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