“Al polo australe” di Emilio Salgari, tra mito romantico e suggestioni positivistiche

Ad Emilio Salgari, nato Verona nel 1862 e morto a Val San Martino (Torino) nel 1911, è toccata una sorte per certi versi analoga a quella di Jules Verne, nel senso che quasi ogni suo connazionale ha letto almeno qualcuno dei suoi libri o, nel peggiore dei casi, ha visto le versioni cinematografiche e televisive tratte da essi, e probabilmente non ce n’è uno che non pensi di averlo capito – magari di aver capito che non c’è proprio niente da capire. Salgari è l’avventura allo stato puro; o no? Prima di rispondere a una tale domanda, notiamo però subito un’altra analogia con lo scrittore francese. I suoi romanzi furono stampati in tirature favolose, tuttavia (a parte il fatto che egli non ne ebbe alcun vantaggio economico e questo, probabilmente, contribuì alla depressione che lo spinse al suicidio) la critica “ufficiale” non lo prese mai in considerazione. Era toccato anche ad altri, più grandi di lui (come Carlo Collodi) oppure più “piccoli” – se è lecito istituire tali confronti – (come, qualche decennio dopo, sarà il caso di Liala), che come lui hanno venduto libri in quantità molto superiore alla media. Ma non è questa la sede per addentrarci in una discussione sui rispettivi meriti e sui limiti della letteratura “colta” e della narrativa popolare; ci limiteremo solo a notare – di sfuggita – che la divaricazione fra le due “culture” è in Italia più forte che in Francia (e in altri Paesi); e non solo nel campo della letteratura ma anche, per esempio, in quello della canzone d’autore.

Emilio Salgari ha scritto moltissimo (si disse, con un amaro gioco di parole, che scriveva per la fame e non per la fama), polverizzando perfino il record di Balzac, Verne ed Émile Zola, tutti scrittori estremamente prolifici: qualche cosa come 80 romanzi e 150 racconti, suddivisi in alcuni grandi cicli, il più noto dei quali è quello dei corsari: le “tigri di Mompracem”, capeggiate dal leggendario principe indiano Sandokan e dal suo fido braccio destro, il portoghese Yanez. Tra i suoi libri più famosi ricordiamo almeno I misteri della jungla nera, del 1895; I pirati della Malesia, del 1896; Il Corsaro Nero, del 1899; Le tigri di Mompracem, del 1901; Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, del 1905; Sandokan alla riscossa, del 1907. E ancora: Le stragi delle Filippine; Il raggio dell’Atlante; La scotennatrice; Le selve ardenti; I naufragatori dell’Oregon; Il re dell’aria; La favorita del Mahdi; Gli ultimi filibustieri; la stella dell’Araucania; Il Corsaro Rosso; Il Corsaro Verde; Il re del mare; Alla conquista di un impero; Le due tigri; la rivincita di Yanez; la vendetta dei Thugs; Gli scorridori del mare; Le tigri del Borneo; la figlia del Cacicco; I pescatori di Trepang; La montagna di fuoco; le pantere di Algeri; Il tesoro del presidente del Paraguay; Duemila leghe sotto l’America.

Nella sterminata produzione narrativa di Salgari, l’ambiente polare occupa un posto ragguardevole. Silvio Zavatti, in una sua monografia dedicata a tale argomento (1), ha ricordato ed esaminato brevemente nove romanzi di argomento polare, e cioè: Al Polo Australe; I naufraghi dello Spitzberg; Una sfida al Polo; Il deserto di ghiaccio; I cacciatori di foche; Al Polo Nord; I pescatori di balene; Padre Crespel nel Labrador; Verso l’Artide colla “Stella Polare”. A tale monografia rimandiamo il lettore (augurandoci che essa possa venire ristampata al più presto); noi ci limitiamo ad aggiungervi un decimo romanzo, fra l’altro uno dei migliori – a nostro giudizio – di Salgari, La Stella dell’Araucania, ambientato nelle acque dello Stretto di Magellano e fra le isole e i ghiacci della Terra del Fuoco; perché, se è vero che quelle regioni non appartengono, strictu senso, alla geografia polare, lo stesso dovrebbe valere per il romanzo Padre Crespel nel Labrador (che potrebbe aver ispirato, a nostro avviso, il celebre Mabel fra gli Eschimesi di Ginevra Pelizzari, del 1961); ma, d’altra parte, entrambi hanno un’ambientazione polare (o, quantomeno, sub-polare), quindi la loro inclusione in questo elenco appare pienamente giustificata.

al-polo-australeLa vicenda di Al Polo Australe prende l’avvio da una discussione che si accende, al circolo della Società Geografica Americana di Baltimora, fra lo statunitense Wilkye e l’inglese Linderman e che sfocia in una vera e propria scommessa, nello stile di tante situazioni analoghe di stampo verniano (a cominciare dalla più celebre di tutte, quella che fa da preambolo a Il giro del mondo in ottanta giorni). Il primo sostiene che sarà in grado di raggiungere il Polo Sud servendosi di un mezzo assolutamente innovativo: il velocipede; il secondo, invece, è sicuro di poterci arrivare per primo a bordo della sua nave moderna e ultraveloce, la Stella Polare. Nel perfetto stile degli sportsmen anglosassoni (o, almeno, nel perfetto stile della loro immagine pubblica: la realtà era un po’ diversa, come provano le penose vicende Cook-Peary per l’attribuzione del primato nella conquista del Polo Nord) decidono di partire insieme, a bordo della nave dell’inglese.

Scrive Silvio Zavatti: “Nelle vecchie edizioni il titolo era Al Polo Australe in velocipede e non si capiscono le ragioni che hanno consigliato poi a mutarlo. La trama è abbastanza semplice: due soci della Società Geografica Americana di Baltimora, uno inglese e l’altro americano, hanno una disputa originata dal fallimento delle spedizioni artiche della Jeannette di De Long e dell’Eira di Leigh Smith e l’amor di patria si muta in incontrollato e acre spirito campanilistico. L’americano, Wilkye, sfida l’inglese, Linderman, a raggiungere il Polo Sud: il primo farà il tentativo servendosi di velocipedi appositamente studiati e costruiti e il secondo di una nave molto veloce. Attraverso avventure di ogni genere, Wilkye raggiunge la meta e, al ritorno, salva Linderman la cui nave è affondata e riesce a riportarlo in America nonostante la pazzia che lo ha assalito. Nel libro i riferimenti storici sono esatti, la terminologia glaciologica polare appare perfetta e l’informazione generale segue fino allo scrupolo le conoscenze dell’epoca. Inoltre lo speciale velocipede usato da Wylkie e dai suoi compagni (fra cui un oriundo italiano) è l’immaginario prototipo dei moderni ‘gatti della neve’.” (2)

La partenza avviene solo pochi giorni dopo la scommessa; il viaggio per nave è caratterizzato da burrasche e incidenti imprevedibili, come un duello a dir poco improbabile fra la Stella polare e una  balena, che ricorda quasi una corrida o, meglio, un torneo medioevale, con i due contendenti impegnati a scagliarsi l’un contro l’altro con tutte le loro forze.

L’elemento decisamente umoristico, che dà il tono un po’ a tutto il romanzo, è qui rappresentato da un grasso commerciante di carni salate che si aggrega alla spedizione americana allo scopo – in verità piuttosto incongruo – di ingrassare ulteriormente e poter così essere eletto, al ritorno negli Stati Uniti, presidente del Club dei Grassi. Ed è proprio Bisby, il grassone, che durante lo speronamento della balena da parte della nave viene scagliato fuori bordo e cade sul dorso del cetaceo; poi, dopo che questo – mortalmente ferito – è andato a fondo, si ritrova in balìa delle onde sul gelido mare, e deve anche subire l’attacco di un albatro. Quest’ultimo episodio è meno fantasioso del precedente, anzi proprio in quelle acque si vedrà, dopo la battaglia navale delle Isole Falkland, l’8 dicembre 1914, stormi di albatri assalire i naufraghi tedeschi, facendone strage come di inermi prede. (3) Comunque, alla fine Brisby viene salvato dai marinai della Stella Polare, che si erano finalmente accorti della sua scomparsa e avevano invertito la rotta per venirlo a cercare (meno realistica, però, è la prolungata permanenza dell’uomo nelle acque sub-antartiche, che avrebbero dovuto provocarne la morte per assideramento in pochi minuti).

Il viaggio verso l’Antartide offre inolte a Salgari la possibilità di sfoggiare le sue conoscenze in fatto di storia e geografia, ad esempio mettendo in bocca ai due protagonisti, Wilkye e Linderman, una dotta conversazione sulla reale statura dei Patagoni, che, secondo Pigafetta, erano così alti che un marinaio europeo giungeva sì e no all’altezza della loro cintura. (4)

“È laggiù che vivono gli uomini più alti del globo? – chiese Bisby a Wilkye e a Linderman che osservavano la costa coi cannocchiali.

“- Sì – rispose l’americano.

” Ma che sia vero che sono di statura colossale? Mi hanno detto che gli uomini più alti della razza bianca non giungono alla loro cintola.

” – Frottole – disse Linderman. – I primi navigatori che li hanno veduti hanno affermato questo, ma hanno solennemente mentito.

“- E perché, signor Linderman? – chiese Wilkye.

” – Perché si è positivamente constatato chela statura dei Patagoni di rado supera i due metri. È bensì vero che taluni navigatori ne hanno veduti di quelli molto alti, come Falkner che nel 1740 ne misurò uno che era alto metri 2,33 e Mayne e Cunningham che videro un capo alto metri 2,88; ma queste sono eccezioni.

” – Eppure, signor Linderman, io credo che i Patagoni un tempo siano stati assai più giganteschi ed anche altre tribù indiane dovevano avere stature eccezionali. I navigatori Lemaire e Schouten, che visitarono la Patagonia nel 1615, asserirono di aver trovato degli scheletri umani che avevano 11 piedi d’altezza, circa tre metri e mezzo.

” – Ci credete?

” – Oh, non sono essi soli che hanno veduto scheletri così mostruosi. Halmas, che percorse il Perù nel 1515, vide delle ossa umane di una lunghezza eccessiva, ma che, secondo lui, dovevano rimontare ad epoche assai remote: Gnetil vide quelle ossa nel 1715 e ne accertò l’esistenza; Acosta, che fu nel Messico nel 1588, trovò pure degli scheletri giganti ed i Messicani presentarono a Cortez delle tibie e dei teschi enormi.

” – Dunque, se si deve credere a queste cose – disse l’inglese, – deve essere stata popolata da tribù di giganti. […]

” – Ma quei giganti americani, come sono scomparsi?

” -Non si sa, ma forse l’antica razza a poco a poco è deperita. Tuttavia, nei Patagoni, conserva ancora dei campioni notevoli.

” – Ed anche di quelli straordinariamente deperiti.

” – Che cosa volete dire, signor Linderman?

” – Che se in Patagonia vi sono ancora dei giganti, a poche centinaia di metri da loro vivono dei pigmei o quasi.

” – Infatti ciò è vero. Al di là dello Stretto di Magellano, che in tali punti misura una così breve larghezza che si potrebbe attraversarlo scagliando un ciottolo, vivono i Fuegiani, che si possono considerare gli indiani più piccoli della razza americana. La loro statura non supera i quattro piedi e cinque pollici, ossia neanche un metro e mezzo.

” – E come mai questa diversità di statura a una distanza così  breve? – chiese Bisby che prestava somma attenzione a quel dialogo.

” – Forse per una naturale deformazione causata dal clima, che è più freddo e dai patimenti, vivendo i Fuegiani come bestie selvagge sempre alle prese con la fame – rispose Wilkye…” (5)

Questo brano rispecchia la tipica metodologia con cui Salgari si accingeva a scrivere i suoi romanzi di ambientazione esotica. Innanzitutto si documentava, consultando tutti i testi disponibili sul Paese in cui era ambientata la vicenda, sui loro abitanti, sul clima, la flora e la fauna, ecc. – e, come giustamente osserva Silvio Zavatti, si documentava in modo serio e rigoroso: una sorpresa, forse, per quanti s’immaginavano questo scrittore “improvvisare” esotiche avventure con il solo aiuto dell’immaginazione. Poi, dopo aver costruito un contesto ambientale verosimile attorno alla vicenda ed ai protagonisti di essa (un po’ come il padre del romanzo storico italiano, Manzoni, aveva fatto per ricreare il “clima” del XVII secolo in Lombardia), amava inserire parte di quei dati direttamente nel tessuto narrativo, facendo sfoggio della sua erudizione per mezzo dei dialoghi fra i suoi personaggi – talvolta, bisogna pur dirlo, a scapito del criterio della verosimiglianza e dello stesso ritmo narrativo. Ad ogni modo, questa tecnica conferisce ai suoi romanzi una dimensione di storicità, e quasi di scientificità, che non dispiace ai lettori e specialmente al pubblico adulto, dal momento che costituisce un utile contrappeso ai voli della fantasia, talvolta scatenati, là dove Salgari mette in scena situazioni puramente d’immaginazione: come quando, in Le due tigri, fa lanciare un rinoceronte indiano alla carica del muretto dietro il quale hanno cercato riparo Sandokan e Yanez, distruggendolo come un castello di carte. (6)

Sempre ne Al Polo Australe, dopo che la nave ha superato una burrasca al largo di Capo Horn, Salgari ci offre una chiara e persuasiva spiegazione astronomica del fenomeno della notte polare, sempre servendosi di un dialogo fra i personaggi della vicenda, in questo caso l’audace Wilkye e il buffo ma simpatico Bisby.

” – Fra mezz’ora la campana ci radunerà a cena.

” – A cena?… – esclamò Bisy stupito. – A pranzo, vorrete dire.

“- No, amico mio: avete dormito dodici ore e sono quasi le nove di sera.

” – Ma voi siete pazzo o volete scherzare, Wilkye. Non vedete che splende ancora il sole?

” – E che cosa vuol dire ciò?

” – Che in nessun paese del globo, alle 9 di sera, si vede il sole. Guardate com’è ancora lontano dall’orizzonte!

” Questa regione, mio caro Bisby, è diversa dalle altre, e l’astro diurno, per ora, non tramonterà che alle undici; fra pochi giorni a mezzanotte e fra qualche settimana non si nasconderà più. Ci illuminerà per ventiquattro ore continue, anzi per tre o quattro mesi, se continueremo a scendere al sud e per sei se toccheremo il Polo.

” – Ma che storie strabilianti mi narrate, Wilkye?  Volete scherzare, approfittando della mia ignoranza?

” – No, vi do la mia parola! Guardate il mio orologio: segna le 8 e 50 minuti ed il sole non accenna a tramontare.

” – e anche il mio! – esclamò Bisby, che cadeva di sorpresa in sorpresa. – ma che paese è mai questo?… C’è da impazzire, Wilkye.

” – E perché, amco mio?

” – Perché non comprendo questo fenomeno.

” – Non è un fenomeno e la spiegazione è semplicissima, mio caro Bisby. Nelle regioni settentrionali, sapete perché le giornate d’inverno si accorciano?

” – Non ve lo sparei dire; non m’intendo che di carni salate.

” – Semplicemente pel fatto che allora il sole volge i suoi raggi più diretti verso le regioni meridionali, situate al di là dell’Equatore, le quali appunto allora godono l’estate. Il Polo Nord, essendo il più lontano dall’Equatore e quindi anche dal sole che si trova nell’emisfero australe, a causa della rotondità della terra non può ricevere alcun raggio solare. Infatti se Baltimora, e per conseguenza tutte le regioni situate sullo stesso parallelo, all’inverno godono di dieci ore di luce, quelle più al nord ne godranno solamente nove, le altre più lontane otto, sette e via via finché talune non ne avranno affatto. La stessa cosa avviene nelle regioni australi. Il sole ha passato l’Equatore e si allotana sempre più dall’emisfero settentrionale, scendendo verso sud. I paesi situati al di là del circolo antartico avranno sempre il giorno e la notte, poiché la terra gira, ma il Polo che può considerarsene come il perno, rimane quasi fisso, quindi laggiù il sole durante l’estate non tramonta mai.  Quando però si allontana e risale nell’emisfero settentrionale, piomba laggiù una notte orrenda che ha la stessa durata. Aspettate che sopraggiunga l’autunno, e in queste regioni vedrete il sole allontanarsi rapidamente, le giornate scorciarsi presto, finché regnerà un’oscurità così profonda che né le stelle né la luna riesciranno a rompere.

” – Brrr! Mi fate venire freddo, Wilkye.

“- Ne avrete allora, Bisby, e molto. Queste regioni si copriranno di nevi e di ghiacci e la temperatura discenderà a 40° e perfino a 50° sotto zero…” (7)

Non c’è dubbio che questo dialogo potrebbe ben figurare in un testo didattico per la scuola primaria; e questo è un aspetto della narrativa di Salgari che andrebbe, a nostro avviso, approfondito, se non altro per rivedere l’atteggiamento di malcelata diffidenza con il quale la pedagogia “ufficiale” accolse la straordinaria diffusione dell’opera salgariana fra la gioventù. Scrivono infatti Guido Armellini e Adriano Colombo: “Un altro scrittore per ragazzi di grande successo non ebbe intenti educativi [a differenza di Collodi], anzi fu a lungo avversato dagli educatori quanto amato dal suo pubblico. Emilio Salgari (veronese, 1862-1911) amò presentarsi come un capitano di mare a riposo ricco di ricordi;  in realtà aveva seguito studi nautici in gioventù, ma non aveva compiuto più di qualche viaggio nell’Adriatico. […] Le sue storie di avventure in mari esotici […] offrono alla fantasia del lettore situazioni drammatiche , intrecci movimentati, colori accesi: lo stile è enfatico e sommario, ma il ritmo narrativo è avvincente.” (8)

Ma se è vero che Salgari rifiuta di fare esplicitamente della morale con i suoi romanzi (come se la lealtà, il coraggio, il senso della giustizia che animano i suoi personaggi non fossero già una forma di educazione morale per i suoi giovani lettori), nel campo della didattica – specialmente geografica – i suoi romanzi formano una vera e propria enciclopedia per ragazzi. Si giudichi come egli descrive la Caverna Mammuth del Nord America, che è a tutt’oggi (con il suo sviluppo orizzontale di oltre 500 km.) la più vasta fra quelle conosciute, nel romanzo Duemila leghe sotto l’America in cui l’ingenere John Webher – a somiglianza del professor Lidenbrock di Viaggio al centro della Terra – sbuca all’aperto, dopo un viaggio emozionante, nientemeno che presso il lago Titicaca, fra Perù e Bolivia: “Nessuna caverna del vecchio mondo, per ampiezza, per profondità e per bellezza  può gareggiare con la caverna del Mammouth nel Kentucky.

“Quell’immenso antro che s’addentra nei fianchi di una montagna e che scende nelle viscere della terra trasformando il suolo in una spugna colossale, dovuto chissà mai a  quale cataclisma, si trova a breve distanza dal Green River, quasi nel cuore del Kentucky.

“Parrebbe che una simile caverna dovesse avere un’apertura smisurata, invece tutt’altro. Vi si penetra per una specie di pozzo di quaranta piedi di profondità e largo a malapena tre metri, il quale riceve, verso uno degli angoli, le acque di un ruscello che vi si precipitano dentro con un fragore diabolico, udito, là sotto, a grande distanza. La più vigorosa descrizione non può dare che una pallida idea di questa caverna della quale gli americani del nord vanno superbi.

“È un caos di tenebrosi corridoi che salgono nel monte, che scendono nelle viscere della terra or dritti, or spezzati, or vasti e alti, or stretti e tanto bassi da urtarvi con la testa; è un caos di cupole splendide, di antri bizzarri, di celle e cellette, di vòlte immense, di archi spaventevoli, di colonne smisurate, traforate, tagliuzzate, le cui cime si smarriscono sovente nella profonda tenebra.” (9)

E, accanto alla geografia, la storia: l’altra grande passione di Salgari; specialmente la storia contemporanea. I curatori delle opere di Salgari che si sono presi la briga di verificare le sue fonti, si sono resi conto che egli leggeva quasi tutto quel che era disponibile sull’argomento che intendeva trattare, anche in fatto di attualità politica. Ad esempio, quando scrisse Le stragi delle Filippine, si documentò minuziosamente sulla relazione di J. Montano, Voyage aux Philipphines, 1879-1881, pubblicato sul Tour du monde nel 1884 e ripubblicato in volume, da Hachette, nel 1886 e su altri testi ed articoli della letteratura specialistica. Il risultato è che il paragrafo conclusivo dell’opera (che ricorda, nell’impianto, quello analogo de Le due tigri per la repressione della rivolta dei Sepoys a Delhi) si può leggere come una pagina perfettamente attendibile di storia politico-militare; anche se, ironia della sorte, quando il romanzo uscì in libreria, nel 1898, lo scoppio della guerra ispano-americana doveva capovolgere totalmente l’esito della lotta d’indipendenza nell’arcipelago asiatico:“La caduta quasi contemporanea di Cavite Vecchia, di Novoleta, di Malabon e di Rosario, come aveva preveduto il generale Polavieja, aveva dato un colpo mortale all’insurrezione, tale da non poter più mai riaversi.

“Dopo quelle quattro sanguinose battaglie, per gli spagnuoli non fu che una continua vittoria, seguita da numerose sottomissioni.

“Il 10 aprile [del 1897] anche Santa Cruz veniva presa d’assalto, mentre venivano sconfitte le bande insorte di Pamplona e nuovamente quella di Bulacan.

“Alla metà dello stesso mese, in tutte le province meridionali l’insurrezione era domata ed il vittorioso generale ritornava in Spagna lasciando l’incarico al vincitore di Salitran e di S. Nicola di continuare la campagna contro le ultime bande, in attesa dell’arrivo del generale Primo Rivera.

“Il 25 un tentativo d’insurrezione a Jolo, nel gruppo delle Solù, fra i deportati, veniva prontamente soffocato colla fucilazione di tutti i capi, mentre nel maggio le truppe spagnuole, sotto la direzione di Primo Rivera e del generale Sucre espugnavano, con venti compagnie, Niaio difeso strenuamente dal capo Aguinaldo, poi Halang, Amadeo e Quintena, facendo prigioniero il capo degli insorti Andrea Bonifacio e finalmente Maragondon.

“Nel mese di giugno il generale Jaramillo espugnava Talisay mentre altre colonne spagnuole facevano prigionieri tremila insorti che avevano abbandonato poco prima la città. Verso la metà venivano iniziate le operazioni militari nel centro di Luzon sconfiggendo le ultime bande insorte. Nel luglio l’insurrezione si poteva ormai considerare come completamente vinta, dopo nove mesi di sanguinosi combattimenti e dopo la sottomissione della famiglia di Aguinaldo e di cinquemilasettecento insorti.” (10)

NOTE

1)      ZAVATTI, Silvio, Emilio Salgari e i suoi romanzi polari, pubblicazione della Scuola Media Statale Ippolito Nievo di Spilimbergo, 1957 (prov. di Pordenone; all’epoca prov. di Udine).

2)      ZAVATTI, Silvio, Ibidem, pp. 8-9.

3)      Cfr. HOUGH, Richard, La caccia all’ammiraglio von Spee, Milano, Longanesi & C., 1971, p.318.

4)      PIGAFETTA, Antonio, Relazione del primo viaggio intorno al mondo, a cura di Manfroni, Milano, Alpes, 1928; e MOSER, Giorgio, Alla scoperta di Magellano, Milano, F.lli Fabbri ed., 1974, pp. 122-24.

5)      SALGARI, Emilio, Al Polo Australe, Bologna, Carroccio, 1961, pp. 31-32.

6)      Cfr. SALGARI, Emilio, Le due tigri, Bologna, Carroccio, p. 58.

7)      SALGARI, Emilio, Al Polo Australe, cit., pp. 55-56.

8)      ARMELLINi, G.-COLOMBO, A., La letterarura italiana, Bologna, Zanichelli, 1999, vol. 8, pp. 425-426.

9)      SALGARI, Emilio, Ventimila leghe sotto l’America, Milano, Bietti, 1974, pp.27-28.

10)  SALGARI, Emilio, Le stragi delle Filippine (a cura di M. Spagnol), Milano, Mondadori, 1974, p. 222.

* * *

Tratto, con il gentile consenso dell’Autore, dal sito Arianna Editrice.

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Francesco Lamendola, laureato in Lettere e Filosofia, insegna in un liceo di Pieve di Soligo, di cui è stato più volte vice-preside. Si è dedicato in passato alla pittura e alla fotografia, con diverse mostre personali e collettive. Ha pubblicato una decina di libri e oltre cento articoli per svariate riviste. Tiene da anni pubbliche conferenze, oltre che per varie Amministrazioni comunali, per Associazioni culturali come l'Ateneo di Treviso, l'Istituto per la Storia del Risorgimento; la Società "Dante Alighieri"; l'"Alliance Française"; L'Associazione Eco-Filosofica; la Fondazione "Luigi Stefanini". E' il presidente della Libera Associazione Musicale "W.A. Mozart" di Santa Lucia di Piave e si è occupato di studi sulla figura e l'opera di J. S. Bach.

  1. vittorio sarti
    | Rispondi

    Sandokan, non è indiano, ma del Borneo.
    Il Corsaro Rosso, Il Corsaro Verde, La vendetta dei Tughs, Le tigri del Borneo, La figlia del cacicco, La montagna di Fuoco; non sono romanzi di Emilio Salgàri, ma apocrifi, o meglio “falsi”, scritti da “negri” su richiesta sia degli editori che del figlio Omar.

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